Dallo sviluppo trinitario della storia della salvezza alla creazione di un nuovo ordine monastico dove monaci, sacerdoti e laici vivevano sotto lo stesso tetto, condividevano vita e beni, per la realizzazione dell’età dello Spirito. Nel saggio viene delineato, attraverso l’interpretazione del “De vita Santi Benedicti” di Gioacchino da Fiore, l’ideale del monachesimo del filosofo e teologo medievale, confrontandolo poi con quanto da lui effettivamente realizzato nell’ordine florense.
La Chiesa per Gioacchino avrebbe dovuto lasciare la fase dell’istituzione (stato del Figlio) per approdare alla fase dello Spirito in cui prevale la libertà e la possibilità di realizzare in pieno il comandamento dell’amore. Dal testo emerge come l’ideale del teologo e monaco “di spirito profetico dotato” fosse quello di allargare a tutta la ristianità, donne e uomini, poveri e ricchi, la condizione monastica come vita nello Spirito e nella libertà. Come scrive lo stesso Gioacchino nel suo Tractatus: “se la promessa del regno di Cristo fatta ad Abramo si compì dopo il corso di numerosi anni, di modo che, invecchiando il mondo, la sinagoga generasse quel seme promesso ad abramo e a Davide, perché dispererebbe la Chiesa di poter generare, per il dono dello Spirito Santo, figli di adozione che possano, con il dono di Dio, progredire in stirpe eletta e regno spirituale?”
 
Descrizione
Dettagli prodotto

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  • Word Wise : Non abilitato
  • Lunghezza stampa : 121 pagine
  • Numeri di pagina fonte ISBN : B08FKP8NF4
  • Costo: 7,28 €.
  • ASIN : B08FCCRKQK
  • Lingua: : Italiano
  • disponibile anche in EBook: 3,50€
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La Prefazione
Il lavoro che vi propongo nacque come tesi di Laurea in Filosofia nei primi anni ‘90 del ‘900. Da giovane catto-comunista, mi aveva affascinato la figura di Gioacchino da Fiore e della sua idea di un Regno di Dio in terra, dialettico frutto del terzo stadio della storia della salvezza (lo Spirito).  In quel Regno ricchi e poveri, donne e uomini, avrebbero potuto abbracciare la bellezza della vita monastica e vivere in comunione. Filosofo e teologo in odor di eresia per le sue interpretazioni tipologiche della Bibbia, Gioacchino non studiava e scriveva soltanto: in questo piccolo saggio si comprende come l’abate volle passare ai fatti e realizzò, a San Giovanni in Fiore, sulla Sila, in Calabria, un ordine monastico diverso, principio del nuovo corso della Storia, secondo la sua prospettiva evangelicamente fondata.
Mi divenne necessario per scrivere questo studio, oltre a un lungo e per me doloroso approfondimento di testi in latino medievale, andare a San Giovanni in Fiore più volte (niente internet allora…), nei luoghi dove sorse l’ordine del Fiore (simbolo del terzo stadio dello Spirito Santo). Ci andai, da Roma, con mezzi di fortuna (una vecchia Renault 18 a GPL). Recuperai vari testi, nel centro studi locale, e dei meravigliosi disegni che Gioacchino fece realizzare per illustrare il suo “Liber Figurarum”.
Discussa la tesi il testo è rimasto per circa 30 anni in un file fino a quando non mi sono convinto che magari, pur non essendo di certo un lavoro di cui “si sente un gran bisogno”, forse può risultare utile a chi si occupa di Gioacchino da Fiore, o anche a chi insegue qualche profezia o speranza e non si limita a guardare al “qui ed ora”. Vi chiedo un po’ di comprensione riguardo allo stile: ero un ragazzotto alle prime armi con le parole, anche se nello scrivere tenevo sempre presenti le indicazioni del mio prof del ginnasio: “frasi brevi, non ti lanciare nel vuoto dei periodi troppo lunghi che a nessuno piace perdersi tra un punto e l’altro”. Per quanto riguarda il latino medievale condivido con voi un del mio dolore di cui sopra…
In ogni caso, oggi più che mai, avremmo bisogno di immaginarci un “Regno di Dio” dove vivere in comunione con il prossimo più che desiderare tristi e “ristristi” obiettivi di benessere individuale. Credo che 1000 anni fa Gioacchino abbia inseguito proprio questa utopia.
 
 
 Introduzione
Gioacchino da Fiore e il Monachesimo
Negli ultimi anni gli studi sulla figura dell’abate Gioacchino da Fiore hanno avuto un grande sviluppo. L’interesse è passato dalla semplice curiosità per un personaggio enigmatico, ad una seria indagine su un teologo, esegeta e monaco, fondamentale per lo sviluppo della filosofia e teologia occidentale.
A riguardo della posterità spirituale di Gioacchino De Lubac distingue due tendenze[1].
Una è quella degli esegeti che hanno interpretato storicamente le profezie della scrittura. Da Alessandro di Brema a Nicola di Lyre secondo De Lubac abbiamo quella “storiografia apocalittica” che consiste nella indagine della scrittura alla ricerca della storia della Chiesa e di segni per la “fine dei tempi”. Una tipologia letteralistico-storica che Gioacchino aveva privilegiato e ampliato con la sua tendenza simbolica.
L’altra eredità gioachimita è quella che una serie di teologi, profeti, filosofi e rivoluzionari hanno sviluppato a partire dall’idea dell’avvento del terzo stato, o del regno dello Spirito.
De Lubac chiama la prima un ramo disseccato, non essendoci più nessuno a sostenere quel metodo esegetico, la seconda una “selva frondosa”.
L’idea dell’avvento del regno spirituale nella chiesa è stata variamente usata e il pensiero filosofico ha sviluppato diverse interpretazioni di questa “profezia” gioachimita. Il lavoro di De Lubac rimane fondamentale per seguirne lo sviluppo.
Ma ultimamente l’interesse per Gioacchino ha assunto un carattere diverso. Con il recupero e la cernita delle opere è stato possibile un approccio più oggettivo al suo pensiero, mettendo fine così ad interpretazioni arbitrarie e fantasiose.
Uno degli aspetti più trascurati però è quello del rapporto tra Gioacchino da Fiore e il monachesimo. D’altra parte poiché Gioacchino fu monaco ed abate, e fondatore di un movimento monastico questo problema non si può eludere, anzi emerge ogni volta che ci si accosta alla sua figura.
Quali furono i motivi che lo spinsero a distaccarsi dall’ordine cistercense non sono ancora del tutto chiari. I cistercensi del tempo di Alessandro III e della fine del XII secolo godevano ancora di una grande credibilità all’interno della chiesa. Credere che Gioacchino si sia distaccato da loro perché li riteneva incapaci di incarnare il vero ideale del monachesimo benedettino sarebbe la spiegazione più semplice ma forse non la più vera.
Per cercare di capire la decisione che portò Gioacchino sulle montagne della Sila è necessario rivolgere l’attenzione alla sua teoria dello sviluppo trinitario della storia della salvezza. Nella terza età, quella dello Spirito, il monachesimo doveva assumere un ruolo particolare nella chiesa. Il nuovo ordine da lui istituito, forse doveva esserne una anticipazione.  In questo lavoro ci interessa stabilire se è possibile ritrovare nell’opera di Gioacchino degli indizi che possano confermare tale ipotesi. Per farlo analizzeremo uno degli scritti più importanti sul monachesimo: Il De Vita Sancti Benedicti.
Cercheremo quindi di delineare l’ideale del monachesimo dell’abate florense ed in seguito proveremo a confrontarlo con i pochi documenti che ci sono rimasti su l’effettiva vita dell’ordine del Fiore.
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