Il primo pontefice sudamericano della storia ha mostrato di avere molto a cuore i destini dell’Europa e ben chiari i suoi compiti. Il volume propone tre testi di papa Francesco: i discorsi al Consiglio d’Europa e al Parlamento europeo (25 novembre 2014) e quello pronunciato in occasione del Premio internazionale Carlo Magno, conferitogli il 6 maggio 2016.
A 60 anni dalla firma del Trattato di Roma (25 marzo 1957), Lucio Caracciolo e Andrea Riccardi accompagnano questi interventi con un proprio contributo di taglio geopolitico ed ecclesiale.
Sommario
I. Ridare speranza al futuro. Discorso al Parlamento Europeo (Strasburgo, 25 novembre 2014). II. L’albero e le radici. Discorso al Consiglio d’Europa (Strasburgo, 25 novembre 2014). III. Sognare l’Europa. Discorso al conferimento del Premio Carlo Magno (Città del Vaticano, 6 maggio 2016). IV. Lucio Caracciolo. Lo sguardo di Magellano. V. Andrea Riccardi. L’utopia europea di Francesco.
 
Descrizione
Titolo: Papa Francesco, Sognare l’Europa
Autori: Lucio Caracciolo e Andrea Riccardi,
Collana: «Lapislazzuli»
Editrice: EDB
Anno: Bologna 201
Pagine: pp. 128
Costo:€ 10,00
Isbn: 9788810558966
 
 
Europa Un continente da ravvivare Così ci vede il papa argentino
di Lucio Caracciolo
Sotto il titolo «Papa Francesco. Sognare l’Europa» (pp. 120, euro 10) le Edizioni Dehoniane di Bologna raccolgono tre discorsi «europeisti» di Jorge Bergoglio – i due pronunciati il 25 novembre 2014 a Strasburgo, rispettivamente al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa, e quello del 6 maggio 2016 per il conferimento del Premio Carlo Magno – commentati dall’esperto di geopolitica Lucio Caracciolo, fondatore e direttore della rivista «Limes», e dallo storico ed ex ministro per la cooperazione internazionale Andrea Riccardi. Presentiamo alcuni stralci dei due saggi.
Papa Francesco osserva l’Europa con lo sguardo di Magellano. Ovvero con l’occhio della periferia che scruta il centro. Sguardo particolarmente fecondo, perché nota ciò che non si può mettere a fuoco stando nel cuore dell’oggetto che si vorrebbe studiare. E lo stesso Bergoglio a spiegarlo in un’intervista: «Normalmente noi ci muoviamo in spazi che in un modo o nell’altro controlliamo. Questo è il centro. Nella misura in cui usciamo dal centro e ci allontaniamo da esso scopriamo più cose, e quando guardiamo al centro da queste nuove cose che abbiamo scoperto, da nuovi posti, da queste periferie, vediamo che la realtà è diversa. Un esempio: l’Europa vista da Madrid nel XVI secolo era una cosa, però quando Magellano arriva alla fine del continente americano, guarda all’Europa dal nuovo punto raggiunto e capisce un’altra cosa. La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro».
Magellano non riuscì a rientrare in Europa. Morì nelle Filippine. Se non fosse per Pigafetta, non sapremmo delle sue imprese. Bergoglio è stato invece richiamato in Europa dalla periferia argentina per servire la Chiesa dal suo centro stesso, Roma. Insediato nel centro della nostra penisola sud- europea che lega e insieme nega l’Europa al Mediterraneo. Prospettiva euromediterranea, che i flussi migratori transmediterranei rendono oggi decisiva nel formare la visione europea di papa Francesco.
In quanto argentino, papa Francesco non ha né potrebbe avere il sentimento di appartenenza dei suoi predecessori al Vecchio Continente. Non quello bavarese di Benedetto XVI né tanto meno quello di Giovanni Paolo II, il pontefice polacco che aveva vissuto sulla propria pelle i decenni della partizione fra le due Europe e che per ciò stesso indicava nell’orizzonte di un’Europa che tornasse a respirare con «due polmoni » – l’Est e l’Ovest, in senso non solo spirituale ma anche geopolitico – un obiettivo tangibile e degno di essere perseguito. Altro che sguardo di Magellano: Ratzinger e Wojtyla erano totalmente endogeni, venivano dal centro del centro dell’Europa sconvolta dalle due guerre mondiali e bisecata dalla guerra fredda.
Il problema di papa Bergoglio non è di riunire in pace l’Europa, ma di ravvivarne l’anima. La presenza della Chiesa in Europa segue in Francesco esattamente questo precetto: ridare anima a un progetto che l’ha persa. O che forse non l’ha mai avuta. Progetto, non oggetto. L’Europa di Bergoglio non è una cosa, è un divenire. È tempo, non spazio. Perché lo spazio implica dominio.
E che cos’è stata storicamente l’Europa, se non lo spazio dal quale potenze grandi e meno grandi sono mosse alla conquista del mondo? Esse ora si trovano ad affrontare – nella forma di profughi provenienti dai precari territori già coloniali sgombrati dalle potenze europee e oggi devastati dalla guerra – l’onda di risacca di quei colonialismi che certamente un papa argentino, figlio di una ex- colonia, non può apprezzare. In questo contrappasso sta il dramma geopolitico e spirituale di noi europei d’oggi.
Proprio perché avvantaggiato dalla prospettiva periferica, Francesco coglie meglio di molti europei di nascita la radice demografica e biologica dell’inaridimento di quello che fu il grande giardino della Chiesa. Siamo un continente di vecchi, che fa pochi figli. Può un continente così ridotto concedersi il lusso di erigere barriere contro i migranti? Può rifiutarsi di accogliere forze giovani – certo aliene, non facilmente integrabili – per timore di contaminarsi, di perdere consolidati privilegi? Ma soprattutto: può un continente di vecchi osare pensieri nuovi?
In ultima analisi, per papa Bergoglio solo i giovani potranno salvare l’Europa. E l’Europa si salverà solo se tornerà giovane e creerà una nuova comunità di diversi. La lezione di Francesco consiste nella tesi che questa parte di mondo ritroverà il suo impulso generatore solo aprendosi al resto del mondo. Anzitutto al contiguo mondo mediterraneo. Integrare o perire: ci voleva lo sguardo di Magellano per aprirci gli occhi sul dilemma che occuperà l’Europa per le prossime generazioni.
in “Avvenire” del 21 febbraio 2017
 
 
Europa Così ci vede il papa argentino
Il Mediterraneo? È introverso
di Andrea Riccardi
Francesco è il primo papa non europeo dopo il primo millennio della storia della Chiesa. Vari papi, specie nei primi dieci secoli dell’era cristiana, venivano dal Mediterraneo. Jorge Bergoglio è invece il primo, nato e vissuto fuori dall’Europa e dal Mediterraneo, nonostante le radici familiari – non così remote – lo rendano prossimo al Piemonte e all’Italia. Jorge Bergoglio non ignora l’Europa, ma non la considera da europeo: anzi il suo punto di vista è esterno, ma non estraneo, al Vecchio Continente.
Papa Bergoglio ha un’idea alta dell’Europa, che è quella diffusa nella cultura argentina. Il papa non nasconde il timore che il continente ormai non sia più all’altezza della sua storia. È una preoccupazione prioritaria. La fine delle ideologie, con la loro capacità di sfida al pensiero e all’azione, ha accresciuto la perdita di desiderio. Paradossalmente, il marxismo è stato l’ultima grande visione del mondo maturata in Europa ed esportata fuori di essa. Dopo l’’89, si è andati verso una postura sempre più introversa dell’Europa nel mondo, dovuta alla decadenza di grandi Paesi come la Francia, la Gran Bretagna, alle crisi italiane, ma anche all’apporto dei Paesi dell’Est che, storicamente, non hanno mai avuto una proiezione extraeuropea (né coloniale) e nemmeno paneuropea.
L’Europa è vecchia. Sembra non avere più voglia di comunicare al mondo, né di contribuire al suo cambiamento. Sono cadute le grandi visioni, restano i «tecnicismi burocratici delle sue istituzioni» dice il papa (e non può non riferirsi al macchinoso funzionamento dell’Unione): quest’atteggiamento, che può apparire anche corretto, porta alla «globalizzazione dell’indifferenza»: tema bergogliano lanciato a Lampedusa. Una linea coerente lega le scelte politiche europee ai comportamenti individuali dei suoi cittadini (la persona-monade «sempre più insensibile alle altre monadi attorno a sé»).
In questo senso c’è una chiara distanza tra la prospettiva dell’Europa e quella del papato di Roma. Anche nel secolo appena trascorso non sono mancati i conflitti tra i Paesi europei e la Chiesa cattolica. Oggi, più che di conflitti, si deve parlare di diversificazione di prospettive. Infatti, mentre l’Europa si ripiega, il papato prosegue sulla via di una prospettiva universale, non solo con l’internazionalizzazione delle sue strutture, ma con interessi e aperture a tante parti del mondo. La spinta universalistica del papato, nel Novecento, era stata accompagnata non solo dall’estroversione europea, ma dalla condivisione di tanti europei fattisi missionari nel mondo, che appoggiavano l’opera della Chiesa in tutte le latitudini o che condividevano le sue azioni e le sue visioni. Il papato ha accentuato la sua apertura, ma l’Europa e gli europei si ritrovano molto meno o per niente in questa linea.
Il papa stimola il continente ad essere all’altezza della sua storia. Francesco ha un’idea importante della vocazione e delle risorse europee, ma anche del bisogno di Europa nel mondo. Vuole spingere a una nuova estroversione. Per Francesco le radici non sono qualcosa d’ipostatizzato o di metastorico. Radici vuol dire «memoria». L’Europa non può capire se stessa, schiacciata sul presente o attraverso una serie di processi emotivi. C’è la necessità di «fare memoria», di leggere in profondità la storia. In questo senso, grandi scelte e autentiche politiche nel continente non possono essere fatte senza misurarsi con la cultura storica. Eppure la politica europea, negli ultimi decenni, volta le spalle a un rapporto con la cultura storica. Anzi tante scelte recenti rivelano proprio una perdita di memoria, che genera comportamenti sociali disumani. Lo si vede oggi nella crisi delle periferie e di fronte al terrorismo: persone spaesate, senza memoria, sono disponibili non solo a comportamenti emozionali, ma a lasciarsi trascinare dai radicalismi. Questo vale anche per intere nazioni, senza memoria, talvolta in preda a populismi che rivendicano in maniera emotiva le radici e domandano «muri». I cristiani devono aiutare la coscienza europea a non ripiegarsi.
in “Avvenire” del 21 febbraio 2017