«Oggi c’è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio»
«Oggi c’è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio» e la «teoria del gender» è «un grande nemico». Nel secondo giorno della sua visita in Georgia Francesco parla a religiosi e seminaristi nella chiesa dell’Assunta a Tbilisi, ma le parole più forti le dedica alle difficoltà delle coppie. Reagendo alla testimonianza di una madre di famiglia, Irina, la quale aveva accennato ai «problemi mondiali» che «travolgono» le famiglie cristiane citando anche quella che molti chiamano «teoria del gender», secondo la quale l’identità sessuale sarebbe di ordine culturale e non un dato naturale. «Tu Irina hai menzionato un grande nemico del matrimonio, la teoria del gender – ha risposto Bergoglio -. Oggi c’è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio, non si distrugge con le armi, ma con le idee. Ci sono colonizzazioni ideologiche che lo distruggono». Il Papa ha spiegato che il matrimonio «è la cosa più bella che Dio ha creato. La Bibbia ci dice che Dio ha creato uomo e donna a sua immagine. L’uomo e la donna che si fanno una sola carne sono l’immagine di Dio». Francesco ha anche parlato delle «incomprensioni» e delle «tentazioni» nel matrimonio, affermando che le «spese» di un divorzio sono pagate non solo dalla coppia che si disfa, ma anche da Dio «perché quando si divorzia una sola carne si sporca l’immagine di Dio». Soprattutto «pagano i bambini, i figli», che soffrono «quando vedono le liti e la separazione dei genitori». Il Papa ha ripetuto che è normale litigare in un matrimonio, ma anche se «volano i piatti», bisogna fare la pace subito, «perché la “guerra fredda” del giorno dopo è pericolosissima». La comunità cristiana «deve aiutare a salvare i matrimoni», ha sottolineato, ricordando le tre parole indispensabili per la vita di coppia: «permesso, grazie e scusa».
In mattinata Bergoglio aveva celebrato una messa per la minoritaria comunità cattolica nello stadio Meskhi. Molti i posti vuoti, poche migliaia i fedeli presenti. Nell’omelia, celebrando la festa di santa Teresina di Lisieux, il Papa ha messo in guardia la Chiesa dalla tentazione dell’efficientismo: «Beate le comunità cristiane povere di mezzi» ma «ricche di Dio». «Beati i pastori che non cavalcano la logica del successo mondano, ma seguono la legge dell’amore: l’accoglienza, l’ascolto, il servizio. Beata la Chiesa che non si affida ai criteri del funzionalismo e dell’efficienza organizzativa e non bada al ritorno di immagine». Parole significative al di là dei confini del Caucaso, applicabili anche le riforme in atto nella Curia romana.
Allo stadio, tra le delegazioni delle altre confessioni mancava quella della maggioritaria Chiesa ortodossa georgiana, nonostante lunedì scorso ne fosse stata annunciata la presenza. Una rinuncia provocata dalle polemiche interne sollevate dai gruppi oltranzisti che considerano «non benvenuto» il Papa e che avevano bollato la sua visita come un atto di «proselitismo». Ma il clima degli incontri tra Francesco e il Patriarca georgiano Ilia II è stato fraterno e si notano passi in avanti rispetto alla freddezza che qui, nel 1999, accolse Papa Wojtyla. Nell’incontro con i religiosi, Francesco è stato netto: «C’è un grosso peccato contro l’ecumenismo, il proselitismo! Mai si deve fare proselitismo con gli ortodossi. Sono fratelli e sorelle nostre, discepoli di Gesù Cristo». Dunque bisogna mostrare «amicizia e camminare insieme, pregare gli uni per gli altri, e fare opere di carità insieme quando si può».
di Andrea Tornielli, in “La Stampa” del 2 ottobre 2016
 
 
Bergoglio e la verità sul gender
di Orazio La Rocca
«È in corso una guerra mondiale di idee per distruggere la famiglia». Francesco, papa pastorale, vicino alla gente, ai più bisognosi, amato da tutti, anche non credenti e diversamente credenti. Ma anche papa politicamente scorretto ed imprevedibile. Capace di dire le sue verità senza timore di perdere consensi e facili applausi. Come ha dimostrato nella visita in Georgia, nella prolusione pronunciata a Tbilisi, dove all’improvviso “schiaffo” ricevuto dalla delegazione ortodossa che, senza preavviso, non ha assistito alla Messa allo stadio, ha reagito con un suo personalissimo “ceffone” mollato a quanti – a suo dire – «stanno minando le fondamenta della famiglia cristiana e della tradizionale morale cattolica». Un avvertimento lanciato a livello planetario, al punto da sostenere che «contro la famiglia è in corso un conflitto mondiale di natura ideologica». Parole scagliate come pietre contro quanti – partiti politici, lobby, intellettuali non in linea col verbo cristiano-cattolico – si battono, ad esempio, per il riconoscimento di unioni matrimoniali non “necessariamente” tra un uomo e una donna, diritto all’aborto e difesa della teoria gender, sostenuta da quanti teorizzano le differenze tra i sessi non su base biologica o fisica, ma su componenti di natura sociale, culturale e comportamentale. Tesi contraddette da sempre dai canoni delle gerarchie cattoliche e dai documenti papali.
Come, a livello di principi generali, ha sempre fatto e detto Jorge Mario Bergoglio sia da vescovo che da Pontefice in linea con i suoi predecessori, anche se nei suoi primi tre anni di pontificato forse non è stato mai tanto esplicito come nell’intervento fatto in Georgia, dove quasi all’improvviso ha ricordato che è giunta ormai l’ora di «sanare le ferite del corpo di Cristo», già martirizzato dalle «divisioni dei cristiani», ma ora ulteriormente «massacrato» dalla «guerra mondiale in corso contro la famiglia basata sull’unione tra un uomo ed una donna, e la difesa della vita dal concepimento fino alla fine naturale». Parole che hanno fatto sicuramente sobbalzare quei tanti fan bergogliani non cattolici, politicamente orientati a sinistra, ma anche cattolici cosiddetti progressisti aperti alle novità e al confronto con le nuove istanze sociali, che hanno sempre simpatizzato per il papa argentino, specialmente da quando si chiese pubblicamente «chi sono io per giudicare una persona gay che sinceramente cerca Dio?». Un interrogativo salutato con soddisfazione dalla stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, ma con particolare entusiasmo da quei movimenti politici omosessuali i quali per la prima volta ebbero la sensazione di avere a che fare con un pontefice disposto ad ascoltare le loro esigenze senza pregiudizi e condanne preventive.
Entusiasmi messi a dura prova dall’attacco sferrato da Bergoglio in Georgia agli «aggressori» della famiglia e ai «fautori delle teorie gender che – parola di papa Francesco – vogliono distruggere con le idee la cosa più bella che Dio ha creato», vale a dire l’uomo e la donna. Una “bellezza”, è stato il ragionamento del pontefice, resa palpabile dal fatto che «l’uomo e la donna che si fanno una sola carne attraverso il vincolo matrimoniale sono l’immagine di Dio». Per cui, «se si divorzia si sporca quell’immagine divina e i primi a pagarne le conseguenze sono i figli, costretti ad indicibili sofferenze».
Che dire? In Georgia papa Francesco ha messo un freno a quanti lo vedono come campione del progressismo e delle aperture sociali, a partire dai diritti alle coppie omosessuali e alle unioni gay a scapito della difesa della tradizione? In realtà, Francesco ha toccato tasti a cui non aveva mai rinunciato. La novità è la chiarezza di esposizione e, se vogliamo, la sorpresa. Specialmente da parte di chi confondendo la sua forza pastorale, cioè la scelta di stare da sempre accanto alle sofferenze degli ultimi, con le verità a cui non ha mai rinunciato. Verità che, comunque, non gli impediscono di dialogare con tutti, ascoltare chi soffre, chi vive nel disagio al di là di orientamenti politici, religioni, scelte sociali e orientamenti sessuali. Senza rinunziare ai princìpi cardine della tradizione cristiana.
in “Trentino” del 4 ottobre 2016
 
 
Ma il Papa ha una sua teoria del Gender. Discutiamola
di Elisabetta Addis
Caro Bergoglio, Francesco carissimo, sei di nuovo intervenuto su questo tema a Tbilisi. E io devo ripeterti cose che dovresti ormai sapere. Il gender non è una teoria, è un fatto: gender è il nome che gli studiosi di scienze sociali hanno dato al fatto che uomini e donne hanno comportamenti diversi, tutti si aspettano da loro questi comportamenti diversi, ma queste aspettative cambiano nel tempo, nelle diverse società, nelle diverse culture. Sopra una caratteristica biologica – cromosomi xy oppure xx – si creano delle aspettative culturali, che diventano stereotipi. Queste aspettative culturali non sono le stesse attraverso la storia e attraverso la geografia: io posso uscire a testa nuda, una saudita non può. Descrivere perché ci sono queste differenze di genere è produrre una spiegazione scientifica del gender, cioè una teoria. O meglio, tante teorie del gender: di spiegazioni del gender ce n’è più d’una.
Anche Tu hai una teoria del gender. La teoria cattolica del gender dice – non pretendo di essere esatta, nell’esegesi biblica ci sono diverse interpretazioni, ma più o meno a me hanno insegnato così – che la prima donna è stata fatta dalla costola del primo uomo, che poiché lei ha suggerito di mangiare un frutto proibito tutto il dolore del mondo è colpa sua, e non del primo uomo che ne ha mangiato o di entrambi. Che quando il Dio si è incarnato ha scelto una fanciulla vergine, il che suggerisce che c’è qualcosa di sbagliato nell’essere donne e non essere vergini. Nella vostra religione un dato biologico, avere un pene, è un requisito essenziale per svolgere la più importante funzione culturale, essere sacerdoti. Solo i maschi sono abilitati ad essere mediatori tra gli esseri umani e il divino: da questi sacerdoti maschi tutti, anche le donne, devono andare periodicamente a raccontare cosa hanno fatto per avere conferma che vada bene o meno. Non in tutte le religioni è così: in altre religioni ci sono state sibille e sacerdotesse; altre denominazioni cristiane hanno rifiutato un istituto di controllo sociale di un gruppo di maschi su tutti gli altri, che tale è la confessione; in alcune denominazioni sono state accettate donne nel ruolo sacerdotale.
La attuale teoria cattolica del gender riproduce caratteristiche presenti in una maggioranza di culture – non in tutte: il dominio del sesso maschile su quello femminile, e il dare maggior valore a caratteristiche e comportamenti maschili rispetto a quelli femminili. In realtà su questo secondo punto la cultura cattolica è ambivalente. Infatti per certi aspetti valorizza, nei maschi e nei sacerdoti, delle caratteristiche che nello stereotipo corrente sarebbero virtù femminili. Favorisce l’ascolto, l’accoglienza, la condivisione, la pace piuttosto che non la violenza la competizione per la vittoria, la guerra. Questa molto positiva apertura verso il femminile può essere la base di una alleanza e di una sinergia importante tra la Chiesa cattolica e le varie forme di femminismo – i femminismi sono movimenti politici che si propongono di valorizzare le donne e il femminile, rendendo uomini e donne non uguali, ma ugualmente liberi e con gli stessi diritti.
Ma questa alleanza non può avvenire se voi continuante a tener fermo il punto del dominio maschile. Vero, nel divorzio i figli soffrono. Ma come lei sa bene esiste il femminicidio, cioè il fatto che le donne, assai più spesso che non gli uomini, vengono uccise dai propri mariti, e questo spesso segue anni di violenza, di percosse e di insulti. So che lei non chiede alle donne di non terminare una relazione con mariti di questo tipo. Non può suggerire che figli e figlie vengano allevati dentro questo modello, che perpetua e riproduce la violenza. C’è una altissima correlazione tra essere terroristi assassini – parlo di bombe e eccidi in Francia e in Usa- e avere una storia di violenza domestica, la prego, non è saggio, neanche nella lontana Tbilisi, andare a dire una cosa che non è vera, disseminare ignoranza.
Il gender non è un nemico della famiglia. E’ un oggetto di studio affascinante, che per essere veramente capito richiede conoscenze biologiche, filosofiche, psicologiche, antropologiche, economiche. Personalmente non finisco di appassionarmene. In Italia non ha ancora una cittadinanza ufficiale negli ordinamenti universitari, a differenza che in paesi più evoluti, e questo costringe quelle come me che lo hanno scelto come oggetto di studio principale ad una sofferta marginalità accademica, a presentarsi sempre sotto mentite spoglie. Ci aiuti invece piuttosto a studiarlo e a discuterne con serietà e serenità, come si fa anche nelle vostre Pontificie Accademie: sono convinta che con nuove conoscenze anche la teoria del gender cattolica può cambiare in meglio, come può cambiare in meglio quella di una femminista studiosa del gender come me.
in “l’Huffington Post” del 2 ottobre 2016
 
 
“Io accolgo tutti omosessuali e trans ma il gender a scuola è una cattiveria”
intervista a papa Francesco
a cura di Marco Ansaldo

«Grazie come sempre del vostro lavoro. Domandate quello che volete », dice Papa Francesco ai giornalisti che lo hanno accompagnato nei tre giorni di viaggio nel Caucaso, prima in Georgia e poi in Azerbaigian.
Santità, lei in Georgia ha detto che la teoria del gender è il grande nemico del matrimonio. Ma cosa direbbe a una persona che sente che il suo aspetto non corrisponde a quella che considera la propria identità sessuale?
«Nella mia vita di sacerdote, di vescovo e di Papa io ho accompagnato persone con tendenze e anche pratiche omosessuali. Li ho avvicinati al Signore e mai li ho abbandonati. Le persone si devono accompagnare, come faceva Gesù. Quando una persona che ha questa condizione arriverà davanti a Gesù, lui sicuramente non dirà: vattene via perché sei omosessuale. No. Io ho parlato di quella cattiveria che oggi si fa con l’indottrinamento della teoria gender. Un padre francese mi raccontava del figlio di dieci anni: alla domanda “cosa vuoi fare da grande” ha risposto: la ragazza! Il padre si è accorto che nei libri di scuola si insegnava la teoria gender, e questo è contro le cose naturali. Una cosa è la persona che ha questa tendenza, o anche che cambia sesso. Un’altra è fare insegnamenti nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità: io chiamo questo colonizzazione ideologica».
In che modo accompagnare?
«L’anno scorso ho ricevuto la lettera di uno spagnolo che mi raccontava la sua storia. Ha sofferto tanto perché lui si sentiva un ragazzo ma era fisicamente una ragazza. Ha raccontato alla mamma che avrebbe voluto operarsi e lei gli ha chiesto di non farlo finché era viva. Quando è morta, lui si è fatto l’intervento. È andato dal vescovo che lo ha accompagnato tanto, era un bravo vescovo. Poi ha cambiato la sua identità civile, si è sposato e mi ha scritto che per lui sarebbe stata una consolazione venire da me con la sua sposa. Lui che era lei ma è lui. Li ho ricevuti, erano contenti. Capito? La vita è vita, le cose si devono prendere come vengono. Il peccato è peccato, ci sono le tendenze, gli squilibri ormonali, esistono tanti problemi. Ma in ogni caso bisogna accogliere, accompagnare, studiare, discernere e integrare. È un problema umano, e si deve risolvere come si può, sempre con la misericordia di Dio».
Lei ha detto anche che è in atto una guerra mondiale contro il matrimonio, e ha usato parole molto forti contro il divorzio dicendo che sporca l’immagine di Dio. Ma al Sinodo lei ha parlato di accoglienza dei divorziati. Come si conciliano queste due visioni?
«Quando si parla del matrimonio, come l’ha stabilito Dio, si parla di un uomo con una donna. È vero che la cultura di oggi, e anche alcune filosofie, portano a questa guerra mondiale contro il matrimonio. Dobbiamo stare attenti a non farci limitare da queste idee. Nell’Enciclica “Amoris Laetitia” si parla del fondamento del matrimonio, di come trattare le famiglie ferite. Ma le debolezze umane esistono, come i peccati. L’ultima parola deve averla la misericordia. Poi, quando in una coppia arrivano i problemi, si devono risolvere con quattro accorgimenti: accogliere, discernere, accompagnare e integrare. C’è il peccato, c’è la rottura, ma c’è la cura e la misericordia».
Quando farà i nuovi cardinali, a quali criteri si ispirerà?
«Gli stessi dei due Concistori precedenti. Ancora sto studiando i nomi. Due di un continente, uno di una parte, uno di un’altra. La lista è lunga, ma ci sono solo 13 posti. Il criterio è l’universalità della Chiesa. Non solo l’Europa, dunque, perché la Chiesa è ovunque nel mondo. Il Concistoro potrà essere alla fine dell’anno o all’inizio del prossimo».
Lei ha accennato ai suoi prossimi viaggi in Africa e Asia nel 2017. E anche al Portogallo. Quando? E dove andrà?
«Andrò solo a Fatima in Portogallo. In India e Bangladesh è quasi certo, in Africa non è ancora sicuro il Paese. In America quando in Colombia il processo di pace sarà definitivo, e vincerà il plebiscito, allora andrò».
Giovanni Paolo II dispose di fare bruciare tutte le sue carte, alla morte. Invece sono state conservate. Lei come giudica questa decisione?
«Non ho approfondito la questione. Io credo che una persona abbia diritto di fare testamento come vuole».
Ma si trattava del Papa.
«Il Papa è un povero peccatore come altri».
Lei oggi ha detto che fare questi suoi viaggi brevi, in Paesi come quelli appena toccati, non significa perdere tempo. Che cosa intendeva?
«Il primo viaggio in Europa l’ho fatto in Albania, un Paese che non è cattolico, poi la Bosnia Erzegovina, lo stesso. Solo con la Grecia sono andato fra i cattolici. Questi tre affrontati ora, Armenia, Georgia e Azerbaigian, sono diversi sotto il profilo religioso. Ma hanno atteggiamenti spirituali intensi. Perché io vado lì? Per i cattolici, per andare nella periferia dei cattolici, come ho fatto oggi in Azerbaigian dove ci sono soltanto 600 fedeli. Però dalle periferie si vede meglio che dal centro».
in “la Repubblica” del 3 ottobre 2016
 
 
“Così, da Papa, accolgo omosessuali e trans”
intervista a papa Francesco, a cura di Andrea Tornielli

«Anche da Papa continuo ad accompagnare persone con tendenza e pratica omosessuali». Lo ha detto Francesco rispondendo alle domande dei giornalisti che sul volo da Baku a Roma gli chiedevano conto della durezza delle sue parole sul gender pronunciate sabato 1° ottobre in Georgia. Il Papa ha raccontato dell’incontro con una persona che ha cambiato sesso, da lui ricevuta in Vaticano, e ha parlato dei prossimi viaggi, dell’imminente concistoro, della Cina, delle elezioni americane e del conflitto tra Armenia e Azerbaigian.
 
L’intervista
Lei ha parlato del gender che distrugge il matrimonio. Come pastore che cosa direbbe a una persona che soffre da anni con la sua sessualità e che sente che la sua identità sessuale non corrisponde a quella biologica?
«Io ho accompagnato nella mia vita di sacerdote, di vescovo e anche di Papa persone con tendenza e con pratica omosessuali. Li ho accompagnati e avvicinati al Signore, alcuni non possono… Ma le persone si devono accompagnare come le accompagna Gesù. Quando una persona che ha questa condizione arriva davanti a Gesù, lui sicuramente non dirà: “Vattene via che sei omosessuale!”. Quello di cui ho parlato è la cattiveria che oggi si fa con l’indottrinamento della teoria del gender. Mi raccontava un papà francese che a tavola stava parlando con i figli, e ha domandato al ragazzo di dieci anni: “Tu che cosa voi fare da grande?”. “La ragazza!”. E il papà si è accorto che nei libri di scuola si insegnava la teoria del gender, e questo è contro le cose naturali. Una cosa è che una persona abbia questa tendenza o questa opzione, o anche chi cambia il sesso. Un’altra cosa è fare l’insegnamento nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità. Queste io le chiamo “colonizzazioni ideologiche”.
L’anno scorso ho ricevuto una lettera di uno spagnolo che mi raccontava la sua storia di bambino e di ragazzo. Prima era una bambina, una ragazza che ha sofferto tanto. Si sentiva ragazzo ma era fisicamente una ragazza. Lo aveva raccontato alla mamma dicendo di voler fare l’intervento chirurgico. La mamma le ha chiesto di non farlo mentre lei era viva. Era anziana, è morta presto. Ha fatto l’intervento, ora è un impiegato di un ministero in Spagna. È andato dal vescovo e il vescovo lo ha accompagnato tanto. Un bravo vescovo questo, “perdeva” tempo per accompagnare quest’uomo. Poi si è sposato, ha cambiato questa identità civile e lui – che era lei ma è lui – mi ha scritto che sarebbe stato di consolazione venire da me. Li ho ricevuti. Mi ha raccontato che nel quartiere dove lui abitava c’era un vecchio sacerdote, il vecchio parroco, e c’era il nuovo. Quando il nuovo parroco lo vedeva, lo sgridava dal marciapiede: “Andrai all’inferno!”. Il vecchio, invece, gli diceva: “Da quanto tempo non ti confessi? Vieni, vieni..”. La vita è la vita, e le cose si devono prendere come vengono. Il peccato è il peccato. Le tendenze o gli squilibri ormonali danno tanti problemi e dobbiamo essere attenti a dire che tutto è lo stesso: ogni caso accoglierlo, accompagnarlo, studiarlo, discernere e integrarlo. Questo è quello che farebbe Gesù oggi. Per favore ora non dite: il Papa santificherà i trans! Già mi vedo le prime pagine dei giornali… È un problema umano, di morale. E si deve risolvere come si può, sempre con la misericordia di Dio, con la verità, ma sempre col cuore aperto».
Lei ieri ha parlato di una guerra mondiale contro il matrimonio e ha usato parole forti contro il divorzio dicendo che sporca l’immagine di Dio. Ma nei mesi scorsi si era parlato di un’accoglienza per i divorziati.
«Tutto quello che ho detto sabato, con altre parole, si trova in Amoris laetitia (l’esortazione postsinodale sulla famiglia, ndr): quando si parla di matrimonio come unione di uomo e della donna, come immagine di Dio… – uomo e donna, non solo uomo – che diventano una sola carne quando si uniscono in matrimonio. Questa è la verità. È vero che in questa cultura i conflitti, tanti problemi non ben gestiti e tante “filosofie”, portano a questa guerra mondiale contro il matrimonio: dobbiamo stare attenti a non lasciare entrare in noi queste idee. Quando si distrugge l’immagine di Dio, si sfigura l’immagine di Dio. Amoris laetitia parla di come trattare questi casi, le famiglie ferite e c’entra la misericordia. C’è una preghiera bellissima della Chiesa che abbiamo pregato la settimana scorsa: “Dio che tanto meravigliosamente hai creato il mondo e più meravigliosamente lo hai ricreato con la redenzione e la misericordia”. Il principio è quello, ma le debolezze umane esistono, i peccati esistono, ma sempre l’ultima parola non ce l’ha la debolezza, non ce l’ha il peccato, ma la misericordia! Nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Vézelay c’è un capitello bellissimo del 1200. Da una parte del capitello c’è Giuda impiccato, e dall’altra parte c’è Gesù Buon pastore che lo prende e lo porta con lui. E se guardiamo bene la faccia di Gesù, le labbra sono tristi da una parte e con un piccolo sorriso di complicità dall’altra. Questi avevano capito che cos’è la misericordia! Nel matrimonio ci sono i problemi, e come si risolvono? Con quattro criteri: accogliere le famiglie ferite, accompagnare, discernere ogni caso e integrare. Questo significa collaborare in questa ricreazione meravigliosa che ha fatto il Signore con la redenzione. Sull’Amoris laetitia, tutti vanno al capitolo ottavo, ma si deve leggere tutta, dall’inizio alla fine. Il centro è il capitolo quarto, serve per tutta la vita. Ma si deve leggere tutta e rileggere tutta e discuterla tutta, è un insieme. C’è il peccato, la rottura, ma anche la cura, la misericordia, la redenzione».
Quando creerà i nuovi cardinali e quali criteri segue per questo tipo di nomine?
«I criteri saranno gli stessi dei due concistori precedenti. Li farò un po’ dappertutto perché la Chiesa è in tutto il mondo. Sto ancora studiando i nomi. La lista è lunga ma ci sono soltanto tredici posti. Mi piace che si veda nel collegio cardinalizio l’universalità della Chiesa, non soltanto il centro europeo. Dappertutto, nei cinque continenti. Potrà essere alla fine dell’anno, ma c’è il problema dell’Anno santo, o all’inizio dell’anno prossimo».
Quando andrà a trovare i terremotati in centro Italia e quale caratteristica avrà questa visita?
«Mi sono state proposte tre date, due non le ricordo bene, la terza è la prima domenica di Avvento. Appena rientrato sceglierò la data. Farò una visita privata, da solo, come sacerdote, come vescovo e come Papa. Da solo. E vorrei essere vicino alla gente, ma non so ancora come».
Quali saranno i viaggi internazionali del 2017?
«Di sicuro andrò in Portogallo, e andrò soltanto a Fatima. Quest’anno santo sono state sospese le visite ad limina dei vescovi, il prossimo anno devo fare le visite ad limina di quest’anno e del prossimo. Andrò quasi di sicuro in India e Bangladesh. In Africa non è sicuro, dipende da situazione politica e guerre. In Colombia: ho detto che se il processo di pace riesce, quando tutto sarà blindato, se vince il plebiscito, quando tutto sia sicuro e non si può tornare indietro, potrei andare… Ma se è instabile no. Tutto dipende da quello che dice il popolo, che è sovrano. Le forme democratiche e la sovranità del popolo devono andare insieme. È diventata un’abitudine in certi paesi che dopo il secondo mandato colui che lo finisce cerchi di cambiare la costituzione per ottenere un terzo mandato. E questo significa sopravvalutare la democrazia, contro la sovranità del popolo».
Perché non ha parlato di un viaggio in Cina? Quali difficoltà politiche ed ecclesiali impediscono una visita del Papa?
«Voi conoscete bene la storia della Cina: c’è la Chiesa patriottica e quella nascosta. Si parla, ci sono delle commissioni, io sono ottimista. Adesso credo che i Musei Vaticani hanno fatto un’esposizione in Cina. Ci sono tanti professori che vanno a insegnare nelle università cinesi. Tante suore e molti preti che possono lavorare bene lì. Le relazioni tra Vaticano e Cina si devono fissare in un buon rapporto, ci vuole tempo. Le cose lente vanno bene, quelle fatte in fretta non vanno bene. Il popolo cinese ha la mia stima. L’altro giorno all’Accademia delle scienze c’è stato un convegno sulla Laudato si’ e c’era una delegazione cinese. Il presidente mi ha mandato un regalo. Mi piacerebbe andare, ma non penso ancora…».
Il vescovo Lebrun ha detto che lei ha autorizzato a derogare l’attesa di cinque anni per procedere con il processo di beatificazione del padre Jacques Hamel, il sacerdote della diocesi di Rouen ucciso in chiesa dai fondamentalisti…
«Ho parlato col cardinale Amato (Prefetto della Congregazione per le cause dei santi, ndr), faremo degli studi. L’intenzione è fare le ricerche necessarie per vedere se ci sono le ragioni per farlo beato. Si devono cercare testimonianze, non perdere le testimonianze fresche, quello che ha visto la gente».
Quella tra Armenia e Azerbaigian è una brutta storia: che cosa deve accadere per arrivare a una pace permanente che tuteli i diritti umani?
«L’unico cammino è il dialogo sincero, faccia a faccia, senza accordi sottobanco. Un negoziato sincero. E se non si può arrivare a questo, bisogna avere il coraggio di andare a un Tribunale internazionale, all’Aia per esempio, e sottomettersi al giudizio internazionale. L’altra via è la guerra. Ma con la guerra si perde tutto! I cristiani devono pregare, perché i cuori prendano il cammino di dialogo, del negoziato o andare a un tribunale internazionale. Ma non si possono avere problemi così: la Georgia con la Russia ha un problema, l’Armenia è un paese senza frontiere aperte, ha problemi con l’Azerbaigian. Si deve andare al tribunale internazionale se non c’è altra via».
Per il prossimo premio Nobel per la pace ci sono vari candidati, 300 nomination. Il popolo dell’isola di Lesbo. O i caschi bianchi della Siria, i volontari che tirano fuori la gente dalle macerie a prezzo della vita. O ancora il presidente della Colombia e il comandante delle Farc. Lei chi spera che vinca?
«C’è tanta gente che vive per fare la guerra, per la vendita delle armi, per uccidere. Ma anche c’è tanta gente, tanta, tanta che lavora per la pace. Non saprei dire quale persona scegliere fra tanta gente, è difficile. Lei ne ha menzionati alcuni, ce ne sono ancora di più. Mi auguro anche che a livello internazionale ci sia un ricordo, una riconoscenza, una dichiarazione sui bambini, sugli invalidi, sui minorenni, sui civili morti sotto le bombe delle guerre. Credo che quello sia un peccato! Un peccato contro Gesù Cristo, perché la carne di quei bambini, di quella gente ammalata, di quegli anziani indifesi, è quella di Gesù Cristo. Bisognerebbe che l’umanità dicesse qualcosa sulle vittime delle guerre. Gesù ha detto, su coloro che fanno la pace, che sono beati. Ma dobbiamo dire qualcosa sulle vittime delle guerre: buttano una bomba su un ospedale e su una scuola e fanno tante vittime!».
La campagna presidenziale negli Stati Uniti. Un cattolico chi dovrebbe scegliere fra due candidati: uno è lontano su molti punti dall’insegnamento della Chiesa, e un altro ha fatto certe dichiarazioni sugli immigrati e sulle minoranze…
«Lei mi fa una domanda descrivendo una scelta difficoltosa. Perché secondo lei ci sono difficoltà in uno e nell’altro. In campagna elettorale io mai dico una parola. Il popolo è sovrano e soltanto dirò: studia bene le proposte, prega e scegli in coscienza! Poi esco dal caso specifico e faccio un’ipotesi di scuola, perché non voglio parlare del problema concreto: quando succede che in un Paese qualsiasi ci sono due, tre quattro candidati che non danno soddisfazione a tutti, significa che la vita politica di quel paese forse è troppo politicizzata ma non ha tanta cultura politica. Uno dei compiti della Chiesa e dell’insegnamento nelle facoltà è di insegnare ad avere cultura politica. Ci sono paesi – penso all’America latina – che sono troppo politicizzati ma non hanno cultura politica, senza un pensiero chiaro sulle basi, sulle proposte».
La testimonianza per la storia è più importante del testamento di un Papa? Glielo chiedo perché Giovanni Paolo II aveva lasciato detto che bruciassero le sue lettere e invece sono finite su un libro.
«Lei dice di un Papa che indica di bruciare le sue carte, le sue lettere. Ma questo è il diritto di ogni uomo e ogni donna. Ha il diritto di farlo prima di morire. Chi non ha rispettato quella volontà sarà colpevole, non lo so, non conosco bene il caso. Di tanta gente non è stato rispettato il testamento».
Dopo l’incontro con il patriarca, lei ha visto la possibilità di una futura cooperazione e dialogo tra le Chiese ortodossa e cattolica?
«Io ho avuto due sorprese in Georgia. Una è la Georgia. Mai ho immaginato tanta cultura, tanta fede, tanta cristianità. Un popolo credente e una cultura cristiana antichissima, un popolo di tanti martiri. Ho scoperto una cosa che non conoscevo: la larghezza di questa fede georgiana. La seconda sorpresa è stato il patriarca: è un uomo di Dio, quest’uomo mi ha commosso. Le volte che l’ho incontrato sono uscito con il cuore commosso, ho trovato un uomo di Dio. Sulle cose che ci uniscono e ci separano, io dirò: non mettiamoci a discutere le cose di dottrina, questo lasciamolo ai teologi, loro sanno farlo meglio di noi, discutono e sono bravi, sono buoni, quelli di una parte e dell’altra. Che cosa dobbiamo fare noi, popolo? Pregare gli uni per gli altri. E fare cose insieme: ci sono i poveri, lavoriamo per i poveri; c’è un problema, lavoriamo insieme; ci sono i migranti, lavoriamo insieme per gli altri. Possiamo farlo. Questo è il cammino dell’ecumenismo e con buona volontà si può, si deve fare. Oggi l’ecumenismo si deve fare camminando insieme e pregando insieme. Ma la Georgia è meravigliosa, non me lo aspettavo: cristiana fino nel midollo».
in “La Stampa-Vatican Insider” del 2 ottobre 2016