“Regola”: La regola è una linea – dalla linea al reggimento il tratto è breve. Ci è detto che “dobbiamo rispettare le regole”: la regola ha la sua evidenza metaforica nelle code, ordinate, ordinarie, davanti al supermercato (l’irregolare, a contrario, opta per la disciplina del digiuno, la pratica del niente). L’etimologia è spiccia: regola proviene dal regolo, l’asta che serviva per tracciare le linee diritte – senza un oggetto esterno l’uomo, per natura, va storto, non ‘tira dritto’. Il carisma di una regola, insomma, si misura col righello. Il concetto astratto – regola – mantiene del regolo tutte le caratteristiche: la regola impone una direzione, chiede una drittura morale, se evadi le regole vanifichi gli sforzi e ti pesto le dita con l’asta (ergo: la multa).
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Filosofeggiando si potrebbe dire: costretti alla regola, cioè al regime concentrazionario del progresso (si va dal punto A al punto B di una retta). Chi al rettilineo predilige la sfera, l’aurea dedizione alla circonferenza si faccia di lato, pratichi gnosi nella propria soffitta. Altri elementi appropriati alla ragione e al suo vaniloquio – l’ellisse, la spirale – non sono considerati, eppure io credo che la regola del mondo sia degnamente rappresentata dall’uroboro – il serpente che si morde la coda – più che dalle code serpentine ma dirette a uno scopo davanti ai supermarket. Di fatto, la sola regola è quella della pianta che, con disordinata strategia, nello sfogo, mira alla luce – siamo esseri diretti alla luce.
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La regola cerca di addomesticare il caos verso un fine. L’uomo si dota di regole – espresse dal codice – per frenare i propri istinti – riassunti nella rotondità logica del mors tua vita mea. Attraverso la regola, piuttosto, si lima il tempo, si crea una corrispondenza tra i propri atti e i mutamenti del cosmo. Se compio alcuni gesti regolari, l’opera del mondo muta: sono uno, responsabile del tutto. Per chi ha fede, la regola riassume le nebulose intenzioni di un dio – oppure, l’astuzia con cui raggiungerlo.
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Uno dei primi significati di regola è: “metodo pratico per la risoluzione di taluni problemi”. Oggi le regole le detta la scienza. Ma oggi, con evidenza, la scienza – anche quella che galleggia in tivù – si incarta sulle regole. La scienza si è evoluta esponenzialmente in orizzontale – la cura tramite la tecnica, sempre più efficace – senza uno scatto verticale. Di fronte all’imprevisto – un virus ignoto – la risposta è la stessa da diversi millenni: evitare il contatto. D’altronde, non esistono regole condivise neanche tra chi fonda le regole: si battibecca tra mascherina sì, no, quale; sulla distanza di sicurezza (un metro, no, meglio un metro e mezzo, magari un metro e 80 centimetri, a dire il vero è meglio due, anzi, state chiusi in casa e basta); sulla lettura dei dati (dimmi come li leggi e ti dirò che futuro avrai). Di certo, la poesia è più chiara – che paradosso – di una spiegazione scientifica e sensata: di fronte allo stupore non c’è dibattito, di fronte a ciò che abbaglia non c’è l’abbaglio di una discussione, vi si obbedisce. Per questo – lo ripeto – in tivù, di fianco allo scienziato vorrei vedere il poeta, sciancato, che balbetta qualche verso, che ci regoli al necessario.
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Una regola non ha senso in sé, ma in base a ciò che si prefigge. Francesco sapeva che ogni descrizione – scientifica, teologica, filosofica – cova in sé interpreti, fraintendimenti. Il demonio è all’ombra di ogni lettera, si alligna nel numero. Per questo, nel 1210, al cospetto di Innocenzo III, Francesco non ha alcuna ‘regola di vita’ da ostentare: ritaglia e ripete alcuni versetti del Vangelo, gli basta regolarsi ad essi, questi:
Se vuoi essere perfetto
va’ e vendi ogni bene
dà tutto ai poveri
in cielo è il tesoro
e vieni
e seguimi
(Mt 19, 21)
 
Afferrate nulla
né bastone né sacca
né pane né denaro
(Lc 9, 3)
 
Se vuoi seguirmi
annientati
perditi
abbraccia la croce
rintracciami
(Mt 16, 24)
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A volte, la linea tracciata dalla regola non corrisponde con quella a cui mi forza il destino, il talento, l’istinto. (Il corpo, non dimentichiamo, va regolato come un orologio). A volte, una regola può essere ingiusta. Nello stesso anno, il 1951, Albert Camus pubblica L’uomo in rivolta e Ernst Jünger il Trattato del Ribelle. L’uomo in rivolta è “un uomo che dice no – ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice sì fin dal suo primo muoversi”, scrive Camus. “Il poeta è Ribelle”, scrive Jünger, perché “con la sua opera e con la sua vita, il poeta manifesta l’enorme superiorità del regno delle Muse su quello della tecnica”. “La politica non è religione, o allora è inquisizione… La storia non può essere innalzata a oggetto di culto. È solo un’occasione, che si tratta di rendere feconda con una rivolta vigile”, scrive Camus. Il rapporto tra la regola/norma e il regolamento che anima l’uomo è spiegato con efficacia da Jünger: “Lunghi periodi di pace favoriscono l’insorgere di alcune illusioni ottiche. Tra queste la convinzione che l’inviolabilità del domicilio si fondi sulla Costituzione, che di essa si farebbe garante. In realtà, l’inviolabilità del domicilio si fonda sul capofamiglia che, attorniato dai suoi figli, si presenta sulla soglia di casa brandendo la scure… È proprio vero che l’uomo è garante della sua parola e non la parola dell’uomo che la pronuncia”.
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In questi mesi di regole, di regolamenti che si avvicendano dando alla linea e alla via – cioè, a ciò che è indiscutibilmente chiaro – il valore di un esordio di nebbia, di una polluzione di paludi, può essere utile leggere le ‘regole’ che soggiacciono ai grandi ordini. Naturalmente, la regola non esaurisce l’entità di chi la pratica – è una traccia, il primo sentiero nello sbarramento d’erba, la prima parola chiara, che ciascuno deve ritoccare con lame e mani. Anni fa, mi è piaciuto tradurre in versi la regola di Agostino, che è la base della regola di diverse scuole monastiche. Questo è un brano sulla frugalità e il digiuno:
La carne va addestrata con digiuni
nel vuoto di cibo e di acqua
fino a che le forze lo consentono
se non sai digiunare
non ingurgitare cibo
al di là del tempo fissato
a meno che malattia non ti affami
guarito non ti incateni la voluttà
necessaria a tutelare gli infermi
puoi dirti potente
se sai sopportare il niente
sopprimere i desideri
è meglio che possedere
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Davanti alla finestra, un albero di albicocco. Prima o poi, l’albero sfonderà il vetro. I rami compiono giochi e cerchi, si avvitano per avventarsi nella luce. Cerco di capire se una regola confermi il movimento del merlo, sull’albero. Scoprire che Regolo è il nome dato da Copernico alla stella più luminosa della costellazione del Leone, perché regulus sta per ‘piccolo re’, dona a questo vagabondaggio un senso: sono in casa, come in un atlante celeste appena pitturato da un astronomo del Settecento. (d.b.)

Nuovo vocabolario del virus: “regola”. In tempi di regolamenti, è bene leggere le regole dei grandi ordini. Gita tra uomini in rivolta e ribelli con Camus e Jünger. In casa come in un atlante celeste, da Pangea, 8 aprile 2020