Lutero.
Riforma, sostantivo plurale

Giusto tre anni fa. Il 15 ottobre 2013. Per la prima volta una donna è arcivescovo e capo di una Chiesa nazionale. Succede in Svezia, dove Antje Jackelén, già vescovo di Lund nel Sud del Paese, vince le elezioni con il 59% dei voti. Protagonista della svolta è la Chiesa luterana di Svezia, a pochi anni dall’anniversario dell’affissione delle 95 tesi di Wittenberg da cui scaturì la Riforma. Oggi, tre anni dopo, l’anniversario è alle porte. Si preparano in Scandinavia e nel mondo le celebrazioni dei cinque secoli trascorsi da quel 1517 che ha cambiato la storia. L’elezione di Antje Jackelén simboleggia l’anelito riformatore di cui i protestanti si sentono custodi e interpreti. Una donna a capo di una Chiesa. Un leader religioso eletto e non nominato, come invece in Svezia è avvenuto per secoli, fino alla separazione tra Chiesa e Stato del 2000, quando il governo ha rinunciato al potere di nomina. Ancora Riforma e riforma, con la maiuscola e la minuscola; oggi come cinquecento anni fa.
Dal gesto di Lutero che ci apprestiamo a celebrare sono nate teologie, istituzioni, spiritualità e comunità molto diverse tra loro. Si possono individuare, semplificando, tre famiglie di Chiese. Anzitutto le Chiese tradizionali, o a esse collegate, luterane e riformate calviniste in particolare, ma anche presbiteriane, battiste, metodiste e la stessa Chiesa valdese, nata ben prima del 1517, ma confluita successivamente nel movimento protestante. In secondo luogo, le Chiese nate dalla rottura di Enrico VIII con Roma, la Chiesa d’Inghilterra e le altre 43 Chiese che compongono oggi la comunione anglicana: dal Pakistan al Giappone, dal Messico al Burundi. Infine, coloro che attingono al patrimonio protestante, ma si smarcano dalle Chiese storiche, ovvero le Chiese e comunità evangeliche e pentecostali, dei cristiani born again, «rinati».
Se osservati sulla mappa del mondo, gli 800 milioni di protestanti globali si rivelano decisivi per il presente e il futuro di Dio sul pianeta Terra. I nordamericani conservano un legame speciale con le Chiese protestanti, non più largamente maggioritarie come nel XIX secolo, ma ancora preferite da poco più della metà della popolazione. Il mondo protestante riflette la varietà del mercato religioso negli Stati Uniti. Un recentissimo studio del Pew Research Center attesta un reddito delle famiglie aderenti alle Chiese tradizionali protestanti mediamente più alto della media nazionale, e molto più alto rispetto alle famiglie cattoliche. Secondo la ricerca, i presbiteriani e gli anglicani, che negli Usa si chiamano episcopaliani, sono più ricchi dei luterani. Si collocano invece nel segmento a minor reddito gli aderenti alla Southern Baptist Convention, che ha superato i metodisti come singola Chiesa protestante col maggior numero di membri nel Paese, e gli evangelici, che sono ormai quasi il doppio degli altri protestanti, circa uno statunitense su quattro. I 160 milioni di fedeli americani valgono il 20% della popolazione protestante mondiale.
Sono anche a maggioranza protestante i Paesi scandinavi, la Gran Bretagna, e i Paesi dell’Africa subsahariana come il Kenya, la Namibia e il Sudafrica. Si caratterizzano dunque per una forte presenza protestante da un lato Paesi leader del Nord sviluppato, espressione del capitalismo liberale anglosassone, ma anche del welfare statalista nordico, e dall’altro Paesi chiave del Sud in via di sviluppo. Il ruolo cruciale del protestantesimo nella mappa planetaria risulta ancora più evidente se si considera la presenza degli eredi di Lutero e Calvino in Nigeria, circa il 40% della popolazione pari al 7,5% dei protestanti globali; in Brasile, il 20% della popolazione pari al 5% del totale mondiale; e soprattutto in Asia. I quasi sessanta milioni di protestanti cinesi, il 4% della popolazione, rappresentano la terza comunità nazionale protestante al mondo, quasi il doppio dei protestanti del Regno Unito e più del doppio dei protestanti tedeschi. La forza geopolitica del protestantesimo globale sta nella capacità di resistenza e rinnovamento di cui danno prova le storiche comunità occidentali, e al contempo nel vigore e nell’espansione nei territori di missione in Europa orientale, America latina, Africa e Asia.
In entrambi gli universi, e nel loro interscambio, intensificato dall’economia globale e dai flussi migratori, l’energia dei protestanti coincide con le contraddizioni della loro esperienza religiosa. Essi infatti testimoniano una fede profonda e matura e al contempo eccellono nella spettacolarizzazione di Dio; curano il percorso individuale ed esaltano il potere del gruppo; alleviano le ferite morali e materiali delle masse del Sud e sostengono il cristianesimo capitalista del Nord; insegnano che tutti sono ministri del Cristo e producono leader prepotenti; predicano l’indipendenza dal potere politico e soccombono alla nazionalizzazione delle Chiese; abbracciano il progetto liberaldemocratico e si adattano a società dispotiche; promuovono i diritti di donne e gay e prosperano in regioni misogine e omofobe.
È proprio qui, nel cristianesimo plurale nato dalla Riforma, la prova più temibile ed esaltante per i protestanti nell’imminenza del cinquecentenario. Si ripresenta oggi, particolarmente acuta, la sfida di una pluralità straripante, già affrontata tante volte nella storia. Le due dimensioni dell’esperienza protestante contemporanea necessitano l’una dell’altra. La densità intellettuale dei metodisti liberal californiani ha bisogno della vitalità degli evangelici elettori di Trump, e viceversa. Il pastore valdese cresciuto a Torino ha bisogno dell’immigrato nigeriano capo d’una comunità evangelica campana, e viceversa. Sono indispensabili i teologi per i quali la dottrina della Grazia e il primato della Scrittura hanno vocazione a imporsi come valori ecumenici da condividere con cattolici e ortodossi. E sono anche indispensabili i missionari protestanti che fanno sparire l’alcol dalle case dei cinesi convertiti e il suono del gong idolatra dai villaggi degli altipiani vietnamiti.
Va condiviso, non conteso, l’aggettivo «evangelico», usato dai compassati luterani lettoni e dai telepredicatori brasiliani. Vanno denunciati il calvinismo xenofobo filogovernativo di Budapest e la persecuzione dei pentecostali autorizzata dal governo di Mosca. Meritano attenzione gli evangelicals ottimisti del Sud del mondo, convinti al 70% che il pianeta di domani sarà ad essi più favorevole, e quelli pessimisti del Nord, persuasi al contrario che la società del futuro sarà più ostile. Va preso sul serio chi denuncia il neocolonialismo di evangelizzatori spregiudicati, e chi profetizza l’inarrestabile declino del protestantesimo tradizionale, l’emorragia di fedeli, lo sciogliersi in una vaga spiritualità secolarizzata, senza Dio e senza Chiesa.
Quando Papa Francesco si recherà a Lund a fine mese, per celebrare i cinquecento anni della Riforma insieme alla Federazione luterana mondiale, troverà ad accoglierlo anche Antje Jackelén, già vescovo di quella città, ora primate della Chiesa luterana di Svezia. Al momento dell’elezione, gli avversari le rimproverarono una dottrina non chiara. Diffido della chiarezza che divide gli animi ed è lontana dalla vita reale, rispose lei: voglio esser chiara, ma anche intuitiva ed empatica, leader femminile capace di stare sulla scena internazionale. Necessita di uomini e donne lucidi, appassionati, e globali, il cristianesimo plurale della Riforma.
di Marco Ventura, in “la Lettura” – Corriere della Sera” del 16 ottobre 2016
 
 
Un profeta armato di Bibbia e coscienza
di Marco Rizzi
Il 1517 non è solo l’anno in cui vengono affisse le 95 tesi sulle porte della chiesa del castello di Wittenberg, ma anche quello in cui il loro autore si firma per la prima volta Martin Eleutherius, «Libero» in greco, semplificato poi in Martin Luther, con cui l’iniziatore della Riforma è passato alla storia.
Martin Luder — questo era il cognome di famiglia — era nato il 10 novembre 1483 a Eisleben, in Turingia, primogenito del piccolo imprenditore agricolo e minerario Hans e di Margarethe Lindemann, figlia di un esponente della borghesia. Dato che la prassi di successione prevedeva che i beni di famiglia passassero indivisi al figlio minore, il padre di Martin aveva pensato di garantirgli un futuro, e al tempo stesso di completare l’ascesa sociale della famiglia, indirizzandolo allo studio del diritto. In questo modo, il giovane Martin avrebbe potuto guadagnarsi un posto nella nascente burocrazia dei principi di Sassonia che governavano la città di Mansfeld, dove la famiglia si era trasferita poco dopo la sua nascita.
Nel 1501 Martin si immatricola alla facoltà delle Arti, propedeutica a quella di Giurisprudenza, dell’Università di Erfurt, piccola ma in rapida ascesa. Ottenuto il titolo di magister artium, proprio mentre iniziava gli studi di diritto, la vita del giovane studente subì una svolta repentina. Durante un viaggio, il 2 luglio 1505 fu sorpreso da una violenta tempesta; temendo per la propria vita, invocò la protezione di Sant’Anna, allora assai venerata in Germania, promettendo di farsi monaco in cambio della salvezza. Dopo 15 giorni, Martin entrò nel convento degli agostiniani di Erfurt. Il padre ne fu sconcertato. Ripercorrendo l’episodio più tardi, dopo aver lasciato il convento ed essersi sposato, Martin riconoscerà le buone ragioni del genitore, ma affermerà che la sua scelta rientrava nel disegno provvidenziale, perché gli fosse concesso di toccare con mano i limiti della vita religiosa che di lì a poco avrebbe contribuito a rivoluzionare.
Al di là dell’episodio, appare chiaro che la scelta del giovane studente indica una insoddisfazione di fondo per il futuro che lo attendeva, in cui si riflettevano inquietudini più generali che percorrevano l’intero mondo cristiano dell’epoca, che avevano dato origine a movimenti di riforma e di rinnovamento della vita religiosa, spesso sfociati nell’eresia. Era inevitabile che queste tensioni restassero vive nel giovane, passato allo studio della teologia nell’Università di Wittenberg, dove nel 1512 divenne docente. Nel frattempo, un pellegrinaggio (a piedi) a Roma gli aveva fatto constatare i limiti e le contraddizioni del papato rinascimentale, impegnato nelle vicende della politica europea e nella trasformazione urbanistica della città, più che nella sua funzione di guida spirituale della cristianità — o almeno così appariva agli occhi dell’inquieto agostiniano.
Decisivo è il corso sulla lettera di San Paolo ai Romani che il giovane docente tenne a partire dal 1515; grazie alle pagine dell’apostolo, diviene consapevole che l’uomo non può salvarsi in forza dell’osservanza delle pratiche religiose prescritte dalla Chiesa, ma solo per la gratuita azione di Dio e per l’incondizionata fede in Cristo. Inevitabile, quindi, la sua opposizione, che si esprime nelle 95 tesi, alla campagna di predicazione delle indulgenze avviata in Germania nel 1517. Pensate come un invito alla discussione accademica, secondo una prassi comune all’epoca, le tesi ottennero una risonanza del tutto inattesa, che portò l’anno successivo alla prima di una lunga serie di dispute pubbliche con altri teologi, e a una convocazione a Roma cui Lutero — ormai così si firmava — non ottemperò, potendo contare sulla protezione del principe elettore Federico di Sassonia.
Tra il 1517 e il 1521, quando viene infine scomunicato, Lutero consolida le sue acquisizioni teologiche e l’intima consapevolezza che sul soglio papale si è insediato l’Anticristo, lo strumento umano del diavolo per condurre a perdizione l’umanità. È la fine delle sue speranze di poter rinnovare dall’interno la Chiesa. La rottura definitiva si consuma alla Dieta imperiale di Worms, la riunione di tutti i principi tedeschi, alla presenza dell’imperatore Carlo V, eletto due anni prima. «A meno che io non sia convinto con la Scrittura e con chiari ragionamenti (poiché non accetto l’autorità di Papi e Concili che si sono contraddetti l’un l’altro), la mia coscienza è vincolata alla Parola di Dio. Non posso e non voglio ritrattare nulla perché non è giusto né salutare andare contro coscienza. Qui sto saldo. Non posso fare altrimenti. Iddio mi aiuti», dichiara Lutero. Bibbia e coscienza individuale sono gli strumenti a disposizione di ogni cristiano per accedere alla salvezza: la Chiesa non può più pretendere un ruolo che le prevarichi.
Sulla via del ritorno, Federico di Sassonia inscena un finto rapimento per sottrarre Lutero alle conseguenze dell’editto di condanna che Carlo V emana da Worms. Ritiratosi nel castello di Wartburg sotto falso nome, in poco più di un anno Lutero traduce l’intera Bibbia in tedesco, un’impresa che travalica la dimensione religiosa e crea di fatto la lingua tedesca moderna. Da questo momento, le sue vicende personali passano in secondo piano rispetto al divampare dei movimenti di Riforma in Germania, Svizzera, Francia, Nord Europa. Egli vi partecipò attivamente fino alla morte avvenuta nel 1546, grazie a una monumentale attività di scrittura e di predicazione; ben presto, però, altri divennero i leader politici ed ecclesiastici di primo piano del mondo che dal 1529 in poi sarà detto «protestante», con cui spesso Lutero si trovò a polemizzare. Le stesse Chiese luterane devono la loro sistemazione definitiva, in termini teologici e organizzativi, a Melantone, fedele collaboratore di Lutero fin dagli anni dell’insegnamento universitario.
Il ruolo decisivo di Lutero nella storia si è dunque consumato in un breve volgere di anni, a partire da quel 1517 di cui sta per celebrarsi l’anniversario. Da allora a oggi, l’immagine di Lutero è profondamente mutata. Nei secoli delle guerre di religione e delle lotte confessionali, prevaleva l’iniziatore della Riforma, l’oppositore dell’autoritarismo papale, il creatore e difensore dell’identità tedesca — o al contrario, l’eretico, il ribelle, il distruttore dell’unità del mondo cristiano. Tra Otto e Novecento, poi, si è venuta affermando l’idea di Lutero e della Riforma quali fattori d’avvio del mondo moderno, soprattutto grazie a Max Weber e al suo scritto L’etica protestante e lo spirito del capitalismo . In realtà la storiografia più recente, esemplificata al meglio dall’imponente biografia di Heinz Schilling, ora tradotta in italiano da Claudiana, ne rivaluta il più genuino profilo di spirito autenticamente religioso, uomo inquieto sospeso tra Medioevo e Rinascimento, ma autentico cristiano affidatosi alla Parola e alla Grazia di Dio. Lo riconosce in un breve ma denso saggio, edito da Queriniana, anche il cardinale Kasper, a lungo responsabile vaticano per il dialogo ecumenico, assai vicino al vescovo di Roma che si accinge a celebrare a Lund, il 31 ottobre, l’anniversario con i fratelli luterani.
in “la Lettura” del 16 ottobre 2016
 
 
L’umanesimo alla prova della Riforma
intervista a Franco Buzzi
Dei due centenari uno è alle porte, l’altro quasi agli sgoccioli. Eppure il 1517 non si capisce (non del tutto, almeno) se non si tiene presente il 1516. Prima delle 95 tesi di Martin Lutero sulla legittimità delle indulgenze, infatti, l’anno precedente a Basilea c’era stata la pubblicazione del Novum Instrumentum Omne, ovvero l’edizione critica del testo greco del Nuovo Testamento allestita da Erasmo da Rotterdam con grande abbondanza di apparati e con una traduzione latina che deliberatamente prescindeva dal dettato della Vulgata. «Il Novum Instrumentum del 1516 è ben noto a Lutero – ricorda il prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano, monsignor Franco Buzzi –, che se ne serve nello stesso anno per il suo commento al capitolo 8 della Lettera ai Romani. Cinque anni più tardi, nel 1521, quando in poche settimane Lutero traduce in tedesco tutto il Nuovo Testamento, è ancora del lavoro di Erasmo che fa tesoro, e per l’esattezza della seconda edizione del Novum Instrumentum, apparsa nel 1519 in veste molto accresciuta».
È un intreccio che monsignor Buzzi conosce bene. Tra i fondatori dell’Accademia di studi luterani in Italia (Asli), ha dedicato contributi importanti alla stagione della Riforma, senza per questo disdegnare la divulgazione di alto profilo (recentissimo è il sintetico La Bibbia di Lutero, realizzato in coedizione dalla protestante Claudiana e dalla cattolica Emi, pagine 96, euro 9,50). Da qualche tempo lo studioso è impegnato nella riorganizzazione dei suoi saggi in un’opera complessiva, La porta della modernità, di cui Jaca Book ha pubblicato nel 2014 il primo volume, intitolato appunto a Erasmo e Lutero (pagine X+292, euro 22,00). Nei mesi scorsi è invece uscito, presso lo stesso editore, il secondo volume, Religione, cultura e scienza a Milano. Secoli XVI-XVIII (pagine XIV+546, euro 30,00), dove a giganteggiare sono i cardinali Carlo e Federigo Borromeo. Nel terzo, in preparazione, l’attenzione si sposterà sui temi cruciali della felicità e della libertà.
 
L’intervista
Torniamo per un momento all’incontro tra Lutero ed Erasmo?
«L’incontro, se vogliamo usare questo termine, avviene sul territorio dell’umanesimo, che riveste un ruolo importante nella formazione di Lutero – risponde monsignor Buzzi –. Penso in particolare ai contatti con i circoli umanistici di Erfurt e Wittemberg, dai quali discende l’interesse di Lutero per una strumentazione che permetta di accedere ai testi in lingua originale. Con un duplice esito: la correttezza filologica da una parte e, dall’altra, il costituirsi della moderna lingua tedesca, che attraverso la traduzione della Bibbia compiuta da Lutero diventa lingua nazionale».
E sul piano teologico, invece?
«Qui Lutero non può che prendere le distanze dall’umanesimo e, di conseguenza, dallo stesso Erasmo. Nulla è più lontano dalla sua visione del mondo di un antropocentrismo che rende l’uomo padrone del suo stesso destino, elevandolo ad artefice della propria felicità. Un piccolo dio dal quale tutto dipende, compresa l’organizzazione politica della società. Per Lutero questo è inaccettabile, perché rappresenta una diminuzione della gloria di Dio da parte di una creatura che ha tradito la propria vocazione originaria di servire e adorare Dio stesso nella fede».
Ma se Lutero è antiumanista, come può essere che il protestantesimo sia considerato illuminista?
«Siamo davanti a un equivoco messo in circolo dalla storiografia del Novecento e già presente, almeno in parte, in alcuni autori dell’Ottocento, per i quali Lutero sarebbe stato il paladino di una libertà che, per adoperare la terminologia kantiana, consente all’uomo di uscire dallo stato di minorità. Lutero, in realtà, tutto è tranne che un anticipatore dell’illuminismo. Al contrario, nei suoi scritti si trova una chiara denuncia dei rischi derivanti dalla domina ratio, vale a dire da una ragione assolutizzata e trasformata in divinità. Per Lutero esiste una sola libertà, che deriva al cristiano dal dono della grazia, in virtù della quale l’uomo è affrancato da se stesso e dal male. Si tratta di un percorso spirituale, non di un proclama politico: per la fede l’uomo è libero da tutto e serve soltanto Dio, per la carità è servo di tutti in tutto».
L’umanesimo avrebbe potuto rappresentare una via per impedire lo scisma tra Lutero e la Chiesa?
«Nei primi anni della Riforma una ricomposizione era ancora possibile, ma non attraverso l’umanesimo. E non grazie ad Erasmo, potremmo aggiungere. Lutero ne riconosceva la superiorità in materia linguistica e filologica, ma non ne condivideva affatto le posizioni teologiche. Per quanto, su alcune questioni particolari, le loro convinzioni fossero molto simili».
A che cosa si riferisce?
«Alle critiche rivolte alla teologia dell’epoca e, nella fattispecie, a una predicazione che si accontentava di ripetere le formule vuote e astratte della tarda Scolastica, senza preoccuparsi minimamente di venire incontro alle autentiche esigenze spirituali dei fedeli. Erasmo è animato da un senso profondo del Vangelo, che per lui si pone in sintonia perfetta con la ragione. Lutero, al contrario, si colloca nella tradizione della teologia agostiniana, che assegna una funzione fondamentale all’azione della grazia. Ecco, l’agostinismo molto più dell’umanesimo avrebbe potuto impedire che si consumasse la rottura con Roma».
Vuol dire che in origine le posizioni non erano inconciliabili?
«No, in origine no. La sconfessione reciproca avrebbe potuto essere evitata, anche perché la posizione opposta a quella di Lutero, quella cioè che istituisce il primato delle opere rispetto alla grazia, era già stata condannata da tempo sotto forma dell’eresia pelagiana».
E allora da dove vengono questi cinque secoli di contrapposizione?
«In buona parte dagli sviluppi del pensiero di Lutero successivi allo scontro frontale con Roma. Il problema non è tanto la questione dei sacramenti, ma una visione ecclesiale che disconosce la successione apostolica e svaluta il sacerdozio ministeriale a tutto vantaggio dell’investitura sacerdotale derivante dal battesimo».
Papa Francesco ha parlato di Lutero come di un riformatore della Chiesa.
«Sì, lo ho fatto inserendosi giustamente in una linea storiografica ormai ben accertata. Oggi sappiamo che Lutero non aveva alcuna intenzione di fondare una nuova Chiesa. Il suo desiderio era semmai quello di riportare l’unica Chiesa alla purezza delle origini. Il resto, oltre che dell’ostinazione dei teologi, è il risultato dell’azione dei principi tedeschi, i quali da tempo aspettavano l’occasione per sottrarsi dalla sfera di influenza di Roma. Patrocinando Lutero, la nobiltà di Germania non ha fatto altro che favorire i propri interessi».
a cura di Alessandro Zaccuri, “Avvenire” del 18 ottobre 2016