La falsa concezione di democrazia che domina in molte società occidentali del nostro tempo tende a ridurre l’azione politica ad una mera prassi, più o meno efficentistica, finalizzata alla conquista e alla conservazione delle istituzioni, secondo una forma orientata ad essere pericolosamente ed insensibilmente totalitaria nelle sue esigenze. Solo l’estensione del vecchio mito ottimista dal campo individuale a quello istituzionale può spiegare l’importanza sempre crescente che si attribuisce oggi alla vita politica, dimenticando che, per quanto le istituzioni possano determinare anche notevolmente l’oppressione o lo sviluppo di una società, mai possono riuscire al superamento miracoloso e definitivo del mondo “cattivo” o del “male radicale” per come lo intendeva Kant. Ecco perché le diverse dottrine politiche dovrebbero cominciare con l’incitare i loro aderenti a un lavoro di “conversione” personale, in cui le azioni pubbliche possano essere degli episodi, indispensabili, ma occasionali e secondari, sempre e comunque volti a promuovere la verità e la grandezza dell’uomo. In tal senso, l’educazione può offrire un contributo determinante, a partire, per esempio, dalla denuncia delle mistificazioni che deformano la realtà e la finalità della cultura.
Cominciamo con l’affermare con forza che, contrariamente a quello che in molte occasioni e da molte parti nella società globalizzata contemporanea, la cultura non è un settore, ma una funzione globale nella vita delle persone, con la conseguenza che non esiste una cultura di fronte alla quale ogni altra attività sarebbe “incolta”, ma tante culture diverse quante sono le attività umane. Dal momento che la vita personale si esplica come libertà dai condizionamenti ed espressione di se stessi, lo sviluppo culturale non può ridursi mai ad essere, in nessun campo, un accumulo di sapere ma, invece, una trasformazione profonda del soggetto che lo renda disponibile alle molte possibilità esistenziali che lo riguardano e ai molti richiami interiori che lo interpellano.
Un’autentica cultura democratica è innanzitutto personalista nel senso che deve favorire la trascendenza e il superamento di ogni uomo a cui essa è rivolta, senza arrestarsi in sistemi specialistici che impoveriscano e imbriglino la poliedrica ricchezza del soggetto umano in forme asettiche e asfittiche di pedante accademismo. Il rischio di una progressiva “deculturalizzazione” proveniente dall’invadenza contemporanea dell’ossessione meccanicistica e utilitaristica verso un sempre maggiore indebolimento delle grandi prospettive valoriali di cui le società umane si sono dotate nel corso del tempo, è sempre alle porte e per fronteggiarlo efficacemente occorre inevitabilmente concentrare la propria attenzione sulla valenza formativa delle azioni educative che, già dai primi anni dell’infanzia, vengono messe in atto, non solo all’interno dei contesti familiari, ma anche e soprattutto dalle istituzioni educative, in primis la scuola.
L’educazione non ha per scopo di foggiare le nuove generazioni al conformismo di un ambiente sociale o di una dottrina dello Stato, in quanto non riguarda essenzialmente né il cittadino né una determinata figura professionale, quanto piuttosto ha la missione di preparare progressivamente le persone all’uso della libertà e al senso delle proprie responsabilità. L’attività che ogni soggetto umano svolge e mette in atto in ogni ambito dell’esistenza, interessa l’uomo intero, coinvolgendo, in modo più o meno accentuato, tutte le concezioni e tutti gli atteggiamenti di vita che lo caratterizzano. In questa prospettiva, le azioni educative che le istituzioni scolastiche sono chiamate a mettere in atto non possono mai essere “neutre”, cioè non schierate verso l’insegnamento di quelle discipline che formano ad una vita positiva, al di là dell’illusoria idea che si possa separare senza inganno l’istruzione dall’educazione. La scuola ha la funzione prioritaria di insegnare a vivere, mediante la tutela di riferimenti autorevoli e credibili, il cui insegnamento deve essere interiorizzato dal discente che lo riceve. Se in primo luogo l’istituzione familiare ha il compito di guidare i giovani verso il bene individuale e sociale, lo Stato, concepito in modo democratico, può e deve intervenire, con l’assistenza degli enti educativi, nel duplice ruolo di protezione delle persone e di organizzazione del bene comune.
A questo riguardo, è importante non confondere i piani del discorso e distinguere attentamente le sfere di competenza per non cadere in pericolosi fraintendimenti. La trascendenza ontologica di ogni persona esige che essa appartenga soltanto a se stessa: il giovane è un soggetto portatore di diritti e doveri irriducibili a qualsiasi struttura esterna, che sia una Res Societatis, una Res familiae od una Res Ecclesiae; ma non è nemmeno un soggetto puro o un soggetto isolato. Inserito in una collettività, egli si forma per mezzo di essa e in essa: la famiglia e la nazione, due vie aperte verso l’umanità, alle quali il cristiano aggiunge la Chiesa. Lo Stato non ha il diritto di imporre mediante il monopolio una dottrina o una educazione specifica in quanto soffocherebbe le libertà inviolabili del singolo, ma ha prioritariamente il dovere di individuare i mezzi efficaci per assicurare agli educandi un’educazione aperta, dinamica e pluralistica, estesa all’affermazione della massima libertà possibile compatibile con la salvaguardia e la valorizzazione delle persone che ne fanno parte. Una vera educazione “democratica” non è arrendevole di fronte alle violenze e ai soprusi dei forti sui deboli, dei primi sugli ultimi: essa non è privilegio di una parte a scapito di altre ma si assume il compito di distribuire a tutti quel minimo di cognizioni necessarie ad un uomo libero, offrendo a tutti eguali opportunità di contribuire in modo fattivo e positivo al mondo di domani.
 
BIBLIOGRAFIA
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Paolo Gava