Il cattolico bolzanino, dal 1934 dirigente dei giovani di Azione Cattolica per la parte tedesca della diocesi di Trento, al momento delle Opzioni del ‘39 aveva scelto di rimanere nella Heimat. E nella sua Heimat aveva sposato, nel 1942, la sua collega Hildegard Straub. Dopo l’occupazione nazista dell’Alto Adige (settembre 1943), quando era da poco nato il figlio Albert, Mayr-Nusser e molti altri Dableiber (così si definirono coloro che, come lui, decisero di restare nella loro terra) furono costretti ad arruolarsi nell’esercito occupante. Per Josef fu previsto l’arruolamento nelle SS, con relativo trasferimento a Konitz (oggi Polonia). Il 4 ottobre del 1944 Mayr-Nusser si rifiutò di prestare giuramento al Führer e a causa di questo atto fu condannato a morte.
Quali sono le motivazioni che lo indussero a una scelta così radicale? E’ possibile, sia pure in questo breve spazio, riflettere storicamente sulla sua testimonianza cristiana? Ci aiutano i suoi scritti degli anni Trenta, raccolti nei volumi di Josef Innerhofer, Francesco Comina, Giuseppe Rizzi e Paolo Valente. In questi testi Mayr-Nusser si confrontava con i due volti della modernità, quello liberale e quello totalitario. Nella sua riflessione emerge una stretta consonanza con il magistero di Pio XI (1922-1939). Lo si può notare per esempio in un discorso rivolto al vescovo ausiliare di Trento, Montalbetti, in visita pastorale a Bolzano nel novembre 1936. Nel discorso di saluto, il dirigente dei giovani cattolici condannava coloro che esaltavano «il sangue e la patria come le loro nuove divinità», parlando di una «gioventù profondamente nauseata dalla superficialità e dallo spirito materialista della nostra cultura moderna, corrotta e affogata nell’avidità». Concludeva auspicando che «la pace di Cristo si realizzi nel regno di Cristo», citando così le parole che Pio XI aveva scelto per caratterizzare il pontificato nella sua prima enciclica (Ubi Arcano, 1922).
Per papa Ratti occorreva promuovere il regno sociale di Cristo, che avrebbe dovuto arginare i nemici della Chiesa, «peste del laicismo» in primo luogo. Nel 1931 Pio XI aveva parlato di «statolatria pagana» per condannare l’aspirazione dello Stato al monopolio educativo sulla gioventù, affermando che esistevano diritti “nativi” che appartenevano alle persone e alle famiglie. L’unica custode della “legge naturale” sulla quale poggiavano diritti inalienabili era la Chiesa, cui spettava la definizione delle leggi civili.
Anche per Mayr-Nusser, che in una lettera del 1934 ai gruppi parrocchiali di Azione Cattolica aveva rilevato come il cattolicesimo fosse «gravemente minacciato dai diversi internazionalismi, come il liberalismo, il bolscevismo, il capitalismo, l’ipernazionalismo», si trattava di reagire alla »degenerazione di gran parte della popolazione occidentale». Nello stesso anno sosteneva infatti che la politica degli Stati europei fosse «condotta con criteri del tutto anticristiani e materialistici». La visione del giovane bolzanino sembra riflettere il pessimismo di Pio XI, che al di fuori della via indicata dalla Chiesa vedeva scenari funesti.
Sono le lettere scritte durante la guerra alla moglie, a rivelarci un pensiero capace di superare lo stesso magistero della Chiesa del tempo. Se nel settembre 1940 papa Pio XII (1939- 1958) aveva ricordato che i cristiani erano tenuti ad «una leale e coscienziosa obbedienza alle autorità civili e alle loro legittime prescrizioni», Josef sviluppava invece le sue riflessioni sull’incompatibilità assoluta tra cristianesimo e nazismo. Il 27 settembre 1944 indirizzava alla sposa parole limpidissime: «[…] Sono due mondi che si scontrano l’uno con l’altro. I miei capi hanno mostrato troppo chiaramente di rifiutare e odiare quanto per noi cattolici è sacro e irrinunciabile. Prega per me, Hildegard, affinché, nell’ora della prova, io agisca senza paura o esitazioni, secondo i dettami di Dio e della mia coscienza». Queste frasi avvicinano l’esperienza di Josef Mayr-Nusser a quella del contadino austriaco Franz Jägerstätter (beatificato nel 2007). Nel 1943 egli era stato condannato a morte perché aveva rifiutato l’arruolamento nella Wehrmacht. Anche Franz si era richiamato al primato della coscienza.
In conclusione, possiamo dire con certezza che entrambi hanno, con la loro coraggiosa testimonianza, senza dubbio anticipato orientamenti che solo più tardi avrebbero trovato spazio nella cultura cattolica.
Una scelta coraggiosa e d’anticipo, di Andrea Sarri, in “Trentino” del 17 marzo 2017
 
 
Mayr-Nusser e certi silenzi della chiesa
di Luigi Sandri
La beatificazione, domani, del bolzanino Josef Mayr Nusser – chiamato alle armi dalle SS e che, per fede e motivi della coscienza, si rifiutò di giurare obbedienza a Hitler e perciò pagò con la vita – ripropone una riflessione su un problema arduo: il comportamento delle Chiese di fronte al nazismo. Il rapporto del mondo cattolico ed evangelico (protestante) con il nazionalsocialismo, in Germania, e nei territori dominati dai tedeschi durante la Seconda guerra mondiale fu, ovviamente, complesso; riassumendolo in poche righe, si può dire che gran parte dei cristiani sostennero apertamente Hitler. Oppure, quando non lo sostennero apertamente, di fatto lo tollerarono, soprattutto nella sua spietata politica anti-semita. Non mancarono, certamente, persone – come il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer o il gesuita Rupert Mayer o il nostro “beato” e tanti altri – che, a costo della vita o del carcere, contrastarono il regime, o difesero gli ebrei perseguitati. Ma furono minoranza. Perciò la nascente Conferenza episcopale tedesca, nel 1945, affermerà: «Molti tedeschi, anche dei nostri, si sono lasciati sedurre dalla falsa dottrina del nazionalsocialismo e sono rimasti indifferenti di fronte ai delitti contro la libertà e la dignità dell’uomo».
E la Chiesa evangelica tedesca, nel Sinodo di Weissensee, nel 1950: «Noi ci dichiariamo solidarmente colpevoli, per le nostre omissioni e per i nostri silenzi, davanti al Dio di misericordia, dei crimini che sono stati commessi contro gli ebrei».
Assai articolato, e controverso, anche il giudizio storico sul rapporto tra il Vaticano e il regime di Hitler. Nel luglio del 1933 – questi era al potere dal gennaio di quell’anno – il cardinale segretario di Stato Eugenio Pacelli firmò, per conto di Pio XI, il Concordato con il Reich germanico. Alcuni ritengono che bene fece la Santa Sede a volere quel patto perché, perplessa sulla controparte, sperava almeno di garantire la libertà della Chiesa cattolica nella “nuova” Germania; altri, invece, la criticano, asserendo che, in tal modo, il papato dava al Cancelliere legittimità internazionale. Poi, nel ’37, con l’enciclica “Mit brennender Sorge” – scritta in tedesco – quel pontefice denuncerà le avvenute violazioni del Concordato e l’aberrante esaltazione nazista della razza.
Da parte sua Pacelli, nel ’39 eletto Pio XII, durante il Secondo conflitto mondiale favorirà un’ampia opera di aiuto agli ebrei perseguitati dai nazi-fascisti; tuttavia, pur conoscendo il dramma della “Shoah”, non farà un’esplicita e solenne denuncia dello sterminio sistematico degli ebrei ordinato da Hitler. Perciò il suo comportamento susciterà, poi, pareri contrapposti.
In tale contesto s’inquadra il caso del cattolico Mayr-Nusser. A chi cercò di dissuaderlo dal rifiutare il giuramento al Führer, il soldato Josef rispose: «Se mai nessuno ha il coraggio di dire loro che non è d’accordo con le loro visioni nazionalsocialistiche, le cose non cambieranno». Pagò con la vita, ma oggi il suo nome splende come una stella.
in “Trentino” del 17 marzo 2017
 
 
Una storia necessaria come lezione
di Ettore Masina
4 Ottobre 1944. Tutto è cambiato nel manicomio di Konitz, Prussia Occidentale. Mesi fa i malati sono scomparsi: meglio non chiedere dove e perché: i “matti”, ormai lo si sa, non hanno più il diritto di vivere, nel Reich. Un altro tipo di follìa, più diabolica, si muove ora nelle grandi stanze intonacate a calce. Mentre il nazismo comincia ad agonizzare, continua ad avvelenare nuove reclute, preparandole a uccidere e a morire: senza pensare, come automi, senza coscienza. Nel manicomio di Konitz, oggi, si celebra la conclusione di un corso di addestramento per SS.
Non sono più i bei giovani fanatici della Hitlerjugend, questi, felici di entrare nel corpo che si vanta di un motto più adatto a cani che a persone: “Il mio onore si chiama fedeltà”. Le SS di Konitz sono state racimolate, più o meno a forza, non soltanto nella madre patria ma anche nei territori occupati, come il Südtirol o Alto Adige. Fra loro c’è Josef Mayr-Nusser, cattolico italiano di lingua tedesca, nato a Bolzano 34 anni prima. A casa ha una moglie molto amata, Hildegard, e un bambino, Albert, di un anno. Con loro formava una famiglia serena, ma è arrivata l’apocalisse nazista. Da tempo Josef medita una resistenza a quella che gli sembra una ideologia non soltanto dissennata ma totalmente anti-cristiana.
Da tempo afferma: “Dare testimonianza oggi è la nostra unica arma efficace”. Il 4 ottobre 1944 (festa di san Francesco d’Assisi!) le reclute vengono schierate a Konitz per prestare giuramento di fedeltà a Hitler: “Giuro a te, Adolf Hitler, Führer e cancelliere del Reich, fedeltà e coraggio. Prometto solennemente a te e ai superiori designati da te obbedienza sino alla morte. Che Dio mi assista”. Josef Mayr-Nusser fa un passo avanti e dice: “Signor maresciallo maggiore, no: io non giuro a questo Führer”. Prima che lo trascinino via, tenta di spiegare: “Non posso giurare fedeltà a Hitler in nome di Dio. Io sono un credente, un cattolico…”. La mite sfida è quasi inconcepibile. Il 26 aprile del 1942 una apposita legge ha attribuito a Hitler poteri di vita e di morte sopra ogni tedesco. Non è neppure più un dittatore, è (si crede, lo credono) un dio. E tuttavia forse qualcosa sta comincia a mutare con questo ansimare di carri armati nemici sempre più vicini ai confini del Reich. Josef Mayr-Nusser non viene ucciso subito. Lo segregano in una cella, lo portano davanti al tribunale delle SS, che siede a Danzica ( ma già prepara i bagagli per la ritirata). Il tribunale lo condanna a morte, per disfattismo; ma neppure qui lo affidano a un plotone d’esecuzione. Con altri quaranta camerati viene avviato al lager di Dachau passando per Buchenwald. Forse sperano che basti un soggiorno all’inferno nazista per fargli ritirare la sua testimonianza. L’esercito tedesco ha disperato bisogno di uomini: ne ha persi centomila nella sola battaglia di Stalingrado, 200 mila nell’Africa Settentrionale. Pochi giorni prima del rifiuto di Josef, il Führer ha dovuto reclutare la sua ultima armata: si chiama Volksturm, vi sono arruolati tutti i tedeschi dai sedici ai sessant’anni. Vecchi e adolescenti dal volto di bambini sfilano marzialmente per gli operatori dei cine-giornali ma senza divisa e senza armi, o con armi raccogliticce. Agli inizi del mese di febbraio del 1945, mentre ormai in tutta l’Europa si sgretola il potere nazista, il treno dei deportati arriva a Buchenwald. Nel campo di sterminio il gelo decima i prigionieri insieme con le torture e le privazioni. Mancano pochi mesi alla liberazione ma ogni sopravvivenza sembra preclusa agli internati. La salute di Josef si fa precaria a causa dell’inedia e del freddo; ma non incrina la sua volontà. Non vuole tornare indietro, non può. Ha scritto a Hildegard: “Hildegard, moglie mia diletta! Due mondi si stanno scontrando. I miei superiori hanno mostrato sin troppo chiaramente di rifiutare e odiare quanto per noi cattolici vi è di più sacro e intangibile. Prega per me, Hildegard, perché nell’ora della prova io agisca senza timori o esitazioni, secondo i dettami di Dio e della mia coscienza…”. Ha scritto, anche, a Hildegard: “Tu sei una donna coraggiosa, una donna cristiana, e nemmeno i sacrifici personali che forse ti saranno richiesti ti potranno indurre a condannare tuo marito perché ha preferito perdere la vita piuttosto che abbandonare la via del dovere”. Poi qualche lontano burocrate per il quale gli uomini sono soltanto oggetti, decide che c’è stato un errore: Josef Mayr-Nusser non deve morire a Buchenwald ma a Dachau. Dopo una settimana lo rimettono in treno. E’ ormai una larva. C’è qualcosa di atrocemente demenziale in questo viaggio. Il fronte occidentale si sta rapidamente sfaldando, 350 mila soldati tedeschi muoiono o si arrendono alle armate alleate sulla linea del Reno. Decine di città tedesche non esistono più, come Dresda, ferocemente distrutta dall’aviazione inglese. Ma i treni della morte, l’Organizzazione Eichmann, continuano a viaggiare, hanno persino la precedenza sui convogli militari… Tuttavia anche la maggior parte delle linee ferroviarie è ormai distrutta, bisogna zigzagare per diramazioni, su linee secondarie; sostare lunghe ore in mezzo a rovine imbiancate dalla brina; procedere a rilento. Buchenwald è nei pressi di Waimar, Dachau a pochi chilometri da Monaco. Fra le due città infernali vi sono circa 400 chilometri. In una settimana il convoglio su cui agonizza Josef percorre sì e no metà strada. Il ragazzo di Bolzano, il militante cristiano, lo sposo di Hildegard, il padre di Albert, si aggrappa al suo vangelo, sorride ai compagni di sventura ma nel gelido vagone-merci che è diventato la sua cella perde forza, ora dopo ora. Il 24 febbraio 1945, alle 6 del mattino, muore di polmonite nella stazione di Erlangen. Poco prima, un medico civile si è rifiutato di curarlo. Francesco Comina, un giornalista di Bolzano, fondatore e coordinatore del Centro per la Pace ha pubblicato un libro bellissimo ma, ancor più, necessario. Uomo di frontiera, italiano di lingua tedesca, obiettore di coscienza di fronte alle scelte imposte dai dittatori amici e rivali a proposito di «opzione» per la Germania nazista o per l’Italia fascista, Josef Mayr-Nusser e il suo martirio sono rimasti a lungo confinati in una specie di riserva regionale. Francesco Comina ne ha indagato con commossa attenzione e grande capacità di penetrazione le vicende e il messaggio. Ecco un libro da proporre nelle scuole medie e in quelle superiori a ragazzi che sono stufi di lezioni «buonistiche» non sostenute da testimonianze coraggiose. Un libro da porre al centro di dibattiti culturali e religiosi, molti dei quali, oggi, sembrano troppo spesso ridotti a chiacchiericci campanilistici. Un libro da contrapporre al revisionismo storico di marca cattolica o (molto peggio!) cattolicheggiante. Insomma: pagine da leggere, da meditare, da regalare. E, anche, la notizia dell’avvenuta beatificazione: un santo, finalmente, non tratto a forza dai secoli scorsi ma raccolto dalla storia di molti di noi.
Uscirà a breve la seconda edizione del libro di Francesco Comina «L’uomo che disse no a Hitler» (il Margine), su Josef Mayr-Nusser, con un nuovo capitolo dedicato ai giorni storici della beatificazione, con nuove foto (anche della copertina) e documenti. Il libro ospita la prefazione del noto giornalista e scrittore Ettore Masina, che abbiamo qui riportato.
in “Trentino” del 25 marzo 2017