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L’IRC: un “cammino” ermeneutico esistenziale percorso insieme agli adolescenti
 
Appassionati e indifferenti, spavaldi e smarriti, sensibili e violenti, spensierati e tormentati, invincibili e vulnerabili: gli adolescenti del nostro tempo vivono sulla loro pelle queste contraddizioni. Definiti dagli esperti «supereroi fragili», i giovani d’oggi soffrono, in misura sempre più crescente, di nuove forme di disagio che si sovrappongono a quelle connesse colle fasi naturali della crescita e che rappresentano un allarmante fattore di sfida per il mondo degli adulti, specie in ambito educativo.
 
Due magneti dello stesso segno che si respingono
rendere oggi particolarmente gravoso l’impegno didattico di un docente, specie nelle scuole superiori di II grado, è la difficoltà di coinvolgere gli adolescenti nel processo di apprendimento. Quante volte, infatti, i professori lamentano di non riuscire a tenere a bada la classe, di incontrare notevoli difficoltà a farsi ascoltare o di avere la sensazione di parlare a vuoto. Quello che, però, molti di loro dimenticano è che gli attuali adolescenti, oltre a doversi cimentare con una fase complessa, critica e caleidoscopica della vita, fatta di profonde trasformazioni a livello fisico, psicologico, sociale, cognitivo, affettivo-relazionale, devono al contempo misurarsi con un rapido e incalzante «cambiamento d’epoca» (papa Francesco), ovvero con la crisi di una società liquida e nichilista, difficile da comprendere e da abitare, in cui gli adulti, irretiti dal miraggio di una giovinezza permanente, non sono più in grado di offrire modelli e valori di riferimento. Ciò fa sì che essi si ritrovino a dover gestire da soli e in prima persona, spesso con fatica e dolore, due situazioni complesse che, come due magneti dello stesso segno, si respingono: l’una legata al loro percorso di crescita e l’altra connessa con l’ambiente in cui si ritrovano a vivere. Ne consegue che, laddove un docente pensi di trasmettere soltanto tecno-competenze cognitive, che con il vissuto dei ragazzi non hanno niente a che fare, il suo impegno didattico può non solo diventare complicato, ma risultare persino inefficace o controproducente. E questo vale ancora di più per un insegnante di religione (Idr).
 
Una relazione significativa con l’esperienza vissuta
Pertanto, più che trasmettere contenuti dottrinali, che di fatto interessano poco o nulla all’adolescente di oggi, l’Idr deve sforzarsi di metterli in relazione e corrispondenza con l’esperienza vissuta ogni giorno dai suoi allievi, ovvero deve fare in modo che tali contenuti risultino provocatori per il loro cuore e significativi per la loro vita. Questo implica, però, non un semplice aggiustamento della didattica, ma un radicale cambiamento nel processo didattico, che rinunci a ogni atteggiamento cattedratico e assuma i tratti di un cammino ermeneutico-esistenziale fatto insieme ai ragazzi: un cammino comune che muova dal loro vissuto, dai loro stati d’animo, dalle bisogni reali essi manifestano sempre più spesso in aula; che li aiuti a definire i tratti, ancora indefiniti, della loro personalità, a scoprire talenti e desideri che neanche pensavano di avere, a sviluppare la loro dimensione interiore (compresa quella religiosa); che offra spunti di riflessione per interpretare il nostro tempo e sappia additare loro «orizzonti di senso» e valori alternativi a quelli imperanti nella nostra società. A tale scopo, però, è necessario creare (sebbene non sia sempre facile) un clima di classe accogliente, rassicurante e coinvolgente che faciliti  una relazione significativa tra docente e alunni, basata sulla fiducia, il rispetto, l’affidamento e l’ascolto reciproci. In caso contrario, c’è il rischio che gli studenti non solo abbiano la sensazione di non venir nemmeno compresi dal loro docente di religione, ma si convincano persino, come ricorda Andrea Matteo, dell’«inutilità della fede per la vita»  – cosa che alla fine potrebbe indurli a sentirsi ancora più soli di fronte a quella «notte di senso» che attanaglia il loro vissuto e, da qui, ad assumere atteggiamenti di ribellione e di insofferenza, se non di rifiuto e di fuga definitiva dall’ora di religione.
 
Prof. Anna valentinetti