Oggi più che mai notiamo una «difficoltà a cogliere la specificità dell’impegno politico rispetto a quello sociale e civico»[1]. Per approfondire, dunque, l’evoluzione dell’impegno civile e di come esso sia legato ad un impegno e ad una responsabilità politica, ci è necessario differenziare i due concetti. L’impegno civile è l’impegno che, singolarmente o collettivamente, si attua in favore della comunità. Un’associazione, per esempio, che si occupi di accompagnare gli anziani a seguire le cure in ospedale – dando così sostegno alla famiglia di cui fa parte – è civilmente impegnata. Se la stessa associazione inizia a lottare per i diritti degli anziani, facendo una raccolta firme e proponendo una legge a tutela degli anziani allora assume anche un impegno politico. Sarebbe intellettualmente disonesto dichiarare che oggi non vi sia impegno civile o politico. Sarebbe altrettanto scorretto affermare che l’impegno civile e politico di oggi sia uguale a quello del secolo breve o del secolo scorso. Vi è stata, infatti, un’evoluzione che ha cambiato il concetto di politica e di conseguenza anche dell’impegno in esso rifuso. Se consideriamo l’impegno politico prebellico e partigiano, possiamo considerare che la sua forza sia – come dichiarato da Pietro Ingrao – insita nello spirito d’indignazione:
Ricordo il fatto che ha deciso del tipo della mia indignazione. Francisco Franco attraversa lo stretto di Gibilterra, invade la Spagna. Quel giorno mi sono indignato. Mi sono interrogato su quello che io stavo facendo e su quello che accadeva nel mondo. Che dovevo fare io e con me i miei compagni di studio, e gli amici intorno a Rudolf Arnheim, con i quali condividevo l’amore per il cinema “come arte”? Il 17 Luglio 1936, il giorno dello sbarco di Franco, è quello in cui ho detto no ed ho iniziato un altro percorso. Da lì sono cominciate la mia esperienza e la riflessione, che sarà per me una costante, sul soggetto politico collettivo. [2]
Il soggetto ed oggetto dell’impegno politico, dunque, non era il diritto del singolo individuo, bensì quello di una collettività. Demolita la dittatura, conquistata la libertà e fondata la repubblica, quell’indignazione fu sempre più mirata alla conquista di diritti relativi alle fasce più deboli della popolazione. Non possiamo non pensare al 1968, ai movimenti studenteschi, alle lotte operaie e alle lotte femministe. Non possiamo dimenticare le lotte per l’ottenimento del divorzio, che portarono prima all’emanazione della legge del primo dicembre 1970 ed al successivo referendum abrogativo del 1974. Referendum al quale parteciparono trentatré milioni di italiani, facendo vincere il no all’abrogazione con il 60% dei voti.
La società fu per così dire costretta a rinunciare a una serie di ipocrisie con cui aveva cercato di minimizzare i cambiamenti che erano già in gestazione prima del ’68: pensiamo al ruolo dei giovani come consumatori e dunque come capaci di influenzare la sfera pubblica, ai rapporti tra i sessi, al tramonto del formalismo nel modo di vestirsi, alla omogeneizzazione, almeno parziale, delle culture diffuse, alla fine progressiva di un certo cattolicesimo superficiale come regolatore obbligato delle scadenze di vita. Non furono mutamenti che si imposero nel giro di un anno, ma certo in progressione nel decennio successivo, peraltro con continue ricadute anche dopo. Significò anche la fine di una società che si organizzava, almeno in parte, per appartenenze sub-culturali (i famosi ‘mondi’ divisi da appositi ‘steccati’). Già con l’esito del referendum sul divorzio nel 1974 questo cambiamento sociale divenne evidente: sulla maggioranza della gente la fruizione del sistema di vita presentato da cinema e televisione aveva più influenza della predicazione dei parroci e della fedeltà al vecchio modo di intendere il mondo. [3]
Lotte che indubbiamente, negli anni successivi hanno portato anche un impegno civile rilevante che ha permesso la nascita di centri antiviolenza, quali la Casa della Donna di Bologna, inaugurata nel febbraio 1991 e a campagne di sensibilizzazione rispetto ad aspetti fino ad allora taciuti. Una nascita, sempre maggiore, di associazioni di volontariato impegnate civilmente su più fronti quali: quello sociale, quello sanitario e quello educativo ed ambientale. Non possiamo non citare la fondazione del FAI (Fondo Ambiente Italiano) nel 1975 o della Legambiente nel 1980. Si può dunque concludere che non si possano scindere impegno politico e civile in quanto non posti su due binari paralleli, ma facenti parte di una fitta trama di relazioni che ha sempre portato e sempre porterà a delle conseguenze tra loro interconnesse.
 
Note
[1] Renata Vigano, Katia Montalbetti, Educazione alla democrazia e formazione universitaria: fra aspirazioni personali, impegno e responsabilità sociali, in L’educazione alla democrazia tra passato e presente a cura di Michele Corsi, Roberto Sano, Vita & Pensiero, Milano, 2004
[2] Pietro Ingrao, Indignarsi non basta, Aliberti Editore, Roma, 2012,
[3] Silvana Mazzocchi, “Che cosa resta del 68?”, La Repubblica, 12 Aprile 2018
 
Bibliografia:

  1. Renata Vigano, Katia Montalbetti, Educazione alla democrazia e formazione universitaria: fra aspirazioni personali, impegno e responsabilità sociali, in L’educazione alla democrazia tra passato e presente a cura di Michele Corsi, Roberto Sano, Vita & Pensiero, Milano, 2004;
  2. Pietro Ingrao, Indignarsi non basta, Aliberti Editore, Roma, 2012;
  3. lvana Mazzocchi, “Che cosa resta del 68?”, La Repubblica, 12 Aprile 2018;
  4. Silvia Morosi e Paolo Rastelli, Il “no” che cambiò l’Italia: la storia del referendum sul divorzio, Corriere della Sera, 11 Maggio 2017;
  5. https://www.casadonne.it/chi-siamo/storia/