Carissimi studenti,
continuiamo la didattica a distanza. Le settimane che siamo a casa sono cominciano ad essere tante, si fa sentire la stanchezza, subentra anche un poco di noia, ma non molliamo, proseguiamo questa pratica di responsabilità con pazienza e creatività. In questi giorni di grande incertezza abbiamo avuto la possibilità di imparare qualcosa che ci accompagnerà per lungo tempo: il vivere è inseparabile dagli imprevisti, ma proprio all’inatteso, come afferma una massima del poeta greco Euripide di venticinque secoli fa: “un dio apre la porta”. All’accadere dell’imprevisto si palesa anche una grande opportunità che, chiaramente ognuno deve sapere cogliere e non lasciarsi sfuggire.
Attraversiamo settimane sconvolgenti… l’emergenza sanitaria nella sua prima fase ha richiesto delle misure straordinarie di contenimento. Da qualche giorno però è cominciato un forte dibattito sulla necessità di rallentare le restrizioni attuate dagli organi competenti, e dare la possibilità, seppure graduale, di fare ripartire il paese. Molte attività commerciali sono in sofferenza di liquidità e tante famiglia non ce la fanno ad arrivare a fine mese. Accanto all’emergenza sanitaria sta crescendo anche un’emergenza economica. Così c’è chi vuole fare ripartire subito il paese, perché se resta fermo muore, seppure con una certa gradualità, e coloro che ritengono di non fare ripartire nulla, perché ciò che più conta è il bene primario della salute. Chiaramente l’ideale sarebbe coniugare la tutela della vita con la ripresa economica, ma la realtà è più complessa, richiede capacità di lettura, ponderazione, saggezza. Il CoVid-19 pur trovandosi in una curva discendente non ha smesso affatto di essere aggressivo e nuocere fino alla morte le persone. Per cui la sfida è trovare le giuste misure di garanzia ed una modalità di ripartenza economica che le rispetti. A livello generale difatti si comincia a parlare di “seconda fase” nella gestione di questa pandemia, come hanno detto gli esperti, ossia del tempo che vede scendere la curva dei contagi e diminuire i numeri della terapia intensiva, e pensare ad impostare le prossime settimane. Seppure lentamente e con tutte le cautele che la situazione richiede, si  guarda al futuro. Chiaramente questa è una scelta che riguarda chi ha una responsabilità di governo. Tuttavia a livello personale ciascuno di noi è chiamato a scegliere il come desidera entrare in questo prossimo step.
Inizia una nuova fase… Guardando al mondo della scuola, dopo un primo momento di disorientamento, abbiamo dovuto imparare a gestire, non senza fatica, l’inedita situazione e adottato dei regolamenti che hanno cambiato le nostre quotidiane abitudini. Per citare una trasformazione che ci ha coinvolto tutti, studenti e docenti, penso alla nuova modalità della didattica, quella a distanza e allo sforzo che ha richiesto la sua attuazione. Ma ce l’abbiamo fatta. Adesso inizia pure per noi la seconda fase che, per quanto ci riguarda, coincide con l’ultimo periodo dell’anno scolastico. Diviene inevitabile dunque una domanda: “come vogliamo affrontare questo ultimo bimestre?”. Scegliamo di metterci in un atteggiamento di sterile attesa, aspettando immobili che l’anno passi, tanto si otterrà la promozione? Oppure, decidiamo di vivere una attesa feconda, anche se fermi a casa ci mettiamo in movimento: studiando, creando e progettando il futuro? Ecco, vorrei proporre alla vostra attenzione alcune considerazioni che stimolino la vostra riflessione e perché no, offrire del materiale che vi possa aiutare per la vostra scelta.
Lo sgretolamento delle certezze… Con l’irruzione del CoVid-19 nelle nostre città siamo stati gettati in un mare di incertezza. Un nemico invisibile, microscopico nelle sue reali dimensioni, ma dalla dirompenza catastrofica, ha frantumato di colpo tutte le nostre sicurezze. In questi giorni ci sentiamo tutti più impauriti. Se Freud aveva ragione quando asseriva che l’umanità si sente minacciata da tre grandi sofferenze: dal nostro corpo, condannato al declino e al disfacimento e che non può funzionare senza il dolore e l’ansia come segnali di pericolo; dal mondo esterno, che può scagliarsi contro di noi con la sua terribile e formidabile forza distruttiva; infine, dalle nostre relazioni con gli altri; è vero che la minaccia della fine, quella della morte, a terrorizzarci. Nel contagio pure la scienza è stata presa alla sprovvista, qualcuno è rimasto deluso, volevamo certezze e abbiamo trovato opinioni. Anche la scienza è umana. Il filosofo Karl Popper aveva già colto questa peculiarità della scienza, infatti affermava che la scienza procede a tentoni, per prove ed errori, si fonda su ipotesi, le quali devono essere verificate e pure “falsificate”, perché si affida alla trasparenza e alla condivisione delle procedura. Lo scrittore Paolo Giordano in un breve e interessante saggio uscito in questi giorni, Nel contagio, afferma che la scienza è questa capacità di farsi carico della propria ignoranza, affrontando il rischio dell’errore. Infatti il ruolo degli esperti e degli scienziati è stato rivalutato positivamente in queste settimane, facciamo tutti il tifo per la ricerca e la scoperta di un vaccino che possa sconfiggere il brutale virus. Questa inaspettata situazione è venuta a pesare sulla società già segnata da una precarietà strutturale del sistema politico-economico che ha generato un sentimento di indeterminatezza permanente.
Dov’è una strada per tornare…una stella da seguire… in queste lunghe giornate, ho riscoperto alcuni brani musicali di Niccolò Fabi, tra questi un bellissimo testo I giorni dello smarrimento raccolto nell’album Tradizione e tradimento (2019). Vi invito ad ascoltare attentamente le parole di questa canzone, perché bene si adattano al contesto che stiamo vivendo: sono i nostri giorni, quelli dello smarrimento, giorni senza destinazione e in cui tutto sembra una salita, aspettiamo che arrivi la sera per un sonno che possa ristorarci e svegliarci l’indomani augurandoci che tutto sia finito. Questi nostri giorni sono i giorni degli eventi in controtempo, ci hanno preso di sorpresa, d’anticipo. E ironia della sorte non possiamo farci nulla, non abbiamo un ruolo nel reale. Restiamo in attesa di un barlume, di una luce in fondo al tunnel. In questi giorni ci chiediamo dove sia una strada per tornare camminare e realizzare i propri sogni, costruire i propri progetti, dare forma al futuro. Ci chiediamo dov’è una stella da seguire per poter uscire da questo senso di vuoto che ci assale. Tu la stai cercando questa strada? Hai trovato la stella da seguire che ti conduca nella vita?
Il diritto alla speranza… In questi giorni mi hanno molto colpito le parole che papa Francesco ha pronunciato, in una Basilica di San Pietro senza fedeli, durante la veglia della notte di Pasqua: la speranza di Gesù non è “tutto andrà bene” ma “la certezza che Dio sa volgere al bene, perché persino dalla tomba fa uscire la vita”. La fede cristiana si colloca proprio nella forza di un amore che abbraccia la croce, entra nel sepolcro, scende agli inferi per trasformare tutto in fonte di vita: nella fragilità il Dio di Gesù Cristo rivela la sua onnipotenza. Non si tratta di risolvere tutto con la bacchetta magica, come erroneamente qualcuno crede, la salvezza non avviene fuori dalle difficoltà, bensì nelle problematicità della vita. La fede non è un pacchetto di dottrine ma un’esperienza che imprime una direzione nuova all’esistenza: dono occhi per vedere anche nella notte e per scorgere un germoglio anche quando tutto intorno c’è aridità. D’altronde la fede intesa come fiducia, prima di essere una virtù teologale è una facoltà umana necessaria per guardare avanti. Difatti, come scrivevo sopra, anche la scienza ha bisogno di fiducia nei passi che muove e raggiungere gli obiettivi prefissati. Il pontefice ha poi continuato: “Stanotte conquistiamo un diritto fondamentale, che non ci sarà tolto: il diritto alla speranza”. La fiducia genera la speranza. Non si tratta di una pacca sulla spalle, di mero ottimismo oppure un incoraggiamento di circostanza, ma di una speranza nuova, viva, vera, di un regalo che viene dal cielo, che l’uomo non si procura da sé stesso… ma lo si può chiedere. La speranza di cui parla il papa consente di non cedere alla rassegnazione, di non sentirci soli nel dolore, nell’angoscia e nella morte… e se è vero quello che diceva don Abbondio nel racconto manzoniano dei Promessi sposi: “Il coraggio, uno non se lo può dare”, è altrettanto vero che lo si può ricevere come dono. Alcune provocazione: riesci a dare un nome alla speranza che ti anima? Che cosa è per te la speranza?
Qualcosa di nuovo sta già cominciando… Sinceramente non so, come dicono alcuni, se cambierà qualcosa dopo questa pandemia, le strutture sociali e politiche, il sistema economico. Oppure come dicono altri, tutto resterà come prima, se addirittura faremo un passo in dietro diventando più egoisti e saremo peggio di come eravamo prima. Ciò di cui sono fermamente convinto però è che qualcosa dentro il cuore delle persone stia già modificandosi, sarà un risveglio dell’umano, di un nuovo impegno politico, la riscoperta di una nuova spiritualità, ma sono certo che niente sarà più come prima alla fine di tutta questa storia. Per David Grossman, il celebre scrittore israeliano, non è detto che l’emergenza coronavirus non possa insegnarci a essere più umani. In una lettera tradotta da Alessandra Shomroni e pubblicata da La Repubblica ha affermato: “Quando l’emergenza sarà finita ci sarà chi, per la prima volta si interrogherà sulle scelte fatte, sulle rinunce, sui compromessi. Sugli amori che non ha osato amare. Sulla vita che non ha osato vivere. Uomini e donne si chiederanno perché sprecano l’esistenza in relazioni che provocano loro amarezza. Ci sarà forse chi si domanderà perché israeliani e palestinesi continuino a lottare a distruggersi la vita a vicenda da oltre un secolo, in una guerra che avrebbe potuto essere risolta da tempo”. E conclude: “Ci sarà forse chi, osservando gli effetti distorti della società del benessere, si sentirà nauseato e fulminato dalla banale, ingenua consapevolezza che è terribile che ci sia gente molto ricca e tanta altra molto povera. Che è terribile che in un mondo opulento e sazio non tutti i neonati abbiano le stesse opportunità. E forse anche i mass media, presenti in modo quasi totale nelle nostre vite e nella nostra epoca, si chiederanno con onestà quale ruolo abbiano giocato nel suscitare il generale senso di disgusto che provavamo prima dell’epidemia”. Cari giovani, voi che cosa vi domanderete quando potrete uscire e ritornare ad abbracciare i vostri amici e prendere un gelato assieme alle persone care? Sarà nato qualcosa di nuovo anche in voi oppure tutto resterà come prima?
Vi abbraccio tutti. Scusate se mi sono dilungato. Di ciò che vi ho scritto conservato ciò che ritenete utile per la vostra crescita, il resto può anche essere cestinato.
Il vostro prof. Paolo