Le letture fondamentaliste dei testi sacri proiettano sul nostro tempo un grave pericolo per la libertà. Gli studi scientifici, da parte loro, omettono il richiamo spirituale che tali testi esercitano. Questo saggio propone una lettura spirituale della Torà secondo la tradizione ebraica che si rivela altrettanto scrupolosa della lettura scientifica e che ne rende eterna la parola perché il suo senso è eternamente rinnovato. Leggere la Torà è un lavoro di interpretazione e nello stesso tempo un coinvolgimento del sé. Si tratta di elevarsi ed elevare il mondo. La Torà ci parla del nostro presente e non offre soluzioni preconfezionate: i versetti parlano al lettore qui e ora, sollecitano la sua intelligenza e il suo cuore a trovare risposte al cui centro vi sia sempre il volto dell’altro.
 
Descrizione
Titolo: “Leggere la Torà”,
Autore: C. Chalier
Data: aprile 2017
Editore: Giuntina
ISBN: 9788880577027
Prezzo: 15,00
 
 
Una lettura spirituale sulle orme dei Padri perché «la Scrittura cresce con chi la legge»
di Lorenzo Fazzini
Allieva e interprete di Lévinas, la studiosa ebrea Catherine Charlier si rifà, nel volume, a grandi pensatori come Ricoeur e Rosenzweig per incoraggiare la ragione ad andare oltre.
Buone compagnie di viaggio (intellettuale). Nella sua forte presa di posizione contro l’assolutezza della scienza applicata alla Scrittura e, al contempo, nel suo opporsi ad ogni lettura fondamentalista della stessa, Catherine Chalier, filosofa, allieva e interprete di prim’ordine di Emmanuel Lévinas, vanta ottimi alleati. Lo dimostra il suo nuovo libro Leggere la Torà (Giuntina, pagine 158, euro 15). Già, perché in questa sua battaglia intellettuale la filosofa francese schiera diversi “pezzi da Novanta” del pensiero. E altri se ne possono aggiungere in questo suo “combattimento” per proporre una possibilità di leggere la Bibbia che sia diversa dall’asetticità del metodo storico-critico elevato a totem così come un allontanarsi da ogni lettura strumentale perché letteralista della parola di Dio. Il termine “lettura spirituale” è ciò che la Chalier propone, quasi facendo eco alle parole del padre della Chiesa Gregorio Magno, secondo il quale «la Scrittura cresce con chi la legge».
Ecco dunque gli “alleati” anti-scienza e anti-fondamentalismi della Chalier. Anzitutto Paul Ricoeur, il pensatore protestante, di cui la pensatrice ebrea ricorda l’affermazione per cui considerare la Torà come «un punto di arrivo» significa annullare il carattere “prospettico” che la Parola di Dio possiede per natura. Mentre di Franz Rosenzweig, autore della Stella della redenzione e traduttore, insieme a Martin Buber, della Bibbia in lingua tedesca, ogni ricerca sul Libro sacro deve fare i conti con un dato soprannaturale: «Per noi, come per gli ortodossi, è un’opera ispirata. Ignoriamo dallo spirito di quale persona. Che il suo autore sia stato Mosè è difficile crederlo.
Noi denominiamo quell’autore con il segno convenzionale della critica storica “R”, ossia l’ultimo redattore della Bibbia. Tuttavia, per ciò che ci concerne, quella “R” non i riferisce a quel “redattore”, essa è l’iniziale di Rabbenu (nostro maestro)». Non poteva mancare quel Lévinas di cui Chalier è stata un’originale interprete. Secondo l’autore di Il tempo e l’altro bisogna rifiutare «una certa impudenza dello spirito che si appropria selvaggiamente di un testo, senza preparazione e senza un maestro, abbordando versetto come cosa o come allusione della storia nella nudità strumentale dei suoi vocaboli, senza preoccuparsi delle nuove possibilità della loro simpatica che la vita religiosa della tradizione ha pazientemente sprigionato».
Inoltre, alla Chalier potrebbe risultare assonante la posizione degli ultimi due papi: da un lato quel “fare teologia in ginocchio” che Francesco ha indicato come un modus autentico di pensare Dio. E infatti la Chalier scrive che le formule tradizionali con cui la Cabbalà ebraica usa per indicare lo studio della Bibbia («esci e studia», «vieni e vedi») mostrano che «è necessario un movimento del soggetto, un uscire da se stessi. Questa modalità trasforma lo studio in preghiera». Dall’altro lato, anche Benedetto XVI, nel suo primo volume sulla storia di Gesù, indicava come anche la teologia cattolica dovesse uscire dalle secche del solo ricorso al metodo storico-critico per entrare nel mistero della rivelazione di Dio. E la Chalier per concordare quando scrive: «La lettura spirituale non si oppone alla ragione, non si rifà solo agli affetti, alla fantasia, al sogno o alla divagazione, incoraggia la ragione a mettersi all’ascolto di ciò che la trascende e di cui il linguaggio del libro è testimone».
in “Avvenire” del 19 aprile 2017
 
Libri sacri Verità e interpretazione
di Catherine Charlier
L’anticipazione. Per sfuggire al conflitto storico tra gli scientisti che si richiamano all’Illuminismo e i fondamentalisti, nel suo ultimo saggio la filosofa francese Catherine Chalier propone una terza via nell’approccio ai testi “rivelati”, per un ascolto libero dai condizionamenti ideologici.
La storia lunga e conflittuale dell’interpretazione dei Libri sacri delle religioni monoteiste si perpetua ancora oggi, ma, nelle società secolarizzate del XXI secolo, in particolare in Europa, spesso si radicalizza semplificandosi all’eccesso e pretendendo di contrapporre gli “spiriti liberi” e i fondamentalisti.
I primi si richiamano all’Illuminismo e intendono studiare quei Libri con gli strumenti razionali e critici di cui dispongono. Vogliono sottrarre il loro oggetto di studio a qualsiasi status particolare, lottare contro la loro influenza sulle intelligenze e contro le loro conseguenze nefaste in ambito morale e politico svalutando così in maniera decisiva la fonte stessa da cui provengono. Quei libri, a loro avviso, sarebbero opere umane, nient’altro che umane, da apprezzare in quanto tali e da spiegare in funzione di un determinato contesto geografico e storico contingente e ormai passato.
I secondi rifiutano quelle intimidazioni che considerano espressione di malevolenza nei loro riguardi e, soprattutto, una ridicolizzazione piena di odio di Colui che, secondo loro, parla in quei Libri mediante l’intermediazione dei Suoi scribi. Essi rifiutano il dibattito e la pluralità interpretativa dei testi al fine di respingere ogni desiderio di allontanarsi dalla “lettera” di quei Libri ritenendoli una devianza da combattere, anche violentemente se necessario. Spesso, coloro che, a un titolo o a un altro, si richiamano a quegli stessi Libri in maniera diversa, sono il loro primo bersaglio. Imporre una “verità” ritenuta immutabile poiché, nella loro ottica, è quella di Dio stesso non ammette alcuna compromissione con i correligionari pronti a “tradire” la lettera con il pretesto dello spirito.
Per quanto possa essere semplificatrice dell’estrema complessità del dibattito sui Libri sacri, questa radicalizzazione è malgrado tutto interessante in quanto le due parti cercano nel passato una legittimazione delle loro posizioni. Passato decostruito, per i primi, al fine di scardinare definitivamente la visione che ne danno quei Libri e liberare il presente dal suo peso; passato congelato in una origine sbarazzata dalle scorie della storia per i secondi, al fine di fare sì che niente cambi più. Benché il confronto fra le due posizioni prenda ampiezza dall’energia posta dai fondamentalismi nel pretendere di portare la risposta alle inquietudini e alle angosce umane, elude tuttavia l’essenziale e non apre alcun orizzonte portatore di speranza né per gli uni né per gli altri.
Nelle società democratiche, ognuno preferisce certamente considerarsi uno spirito aperto che sfugge ai pregiudizi e all’oscurantismo religioso, e avrà dunque tendenza a valorizzare il primo atteggiamento. Ciò spiega perché molti approvino la denuncia della regressione intellettuale e spirituale, non solo nelle sue espressioni morali e politiche, rappresentata dal fondamentalismo. Ma dal momento che deriva dall’alternativa semplificatrice sopra ricordata, quella denuncia non ha alcuna possibilità di sbloccare la situazione. Anzi rischia di radicalizzarla. Inoltre, la maggior parte delle persone ignorano quasi tutto sull’argomento. Ignorano il contenuto dei Libri sacri, ignorano la storia della loro interpretazione e dei dibattiti aspri ma anche illuminanti che essi hanno suscitato. Un’ignoranza talvolta drammaticamente incoraggiata, in particolare nelle scuole, con il pretesto di una laicità ansiosa di allontanare ogni possibile influenza di quei Libri sugli spiriti. Di rimando, questa ignoranza comporta anche la semplificazione degli elementi del confronto che, per quanto concerne gli “spiriti liberi”, scivola nella condiscendenza intellettuale, e perfino in un animoso disprezzo arrogante nei confronti di coloro che si dedicano ancora a meditare quei Libri in maniera diversa dal metodo storico e critico. Evidentemente, rispetto a coloro che si appellano a un Libro sacro il cui contenuto è ritenuto così evidente da non necessitare di alcuno sforzo di interpretazione, ma unicamente una sottomissione a ciò che dice o quantomeno a quello che le autorità religiose affermano a proposito di esso -, è meglio preferire la libertà di pensiero, di giudizio e di critica.
La sottomissione non può essere una scelta di buon auspicio! Anche se considerata come una opzione personale, essa è sempre portatrice di un’aura sinistra per le persone e per le società umane. Il suo fardello di violenza e di intolleranza, là dove è in grado di imporlo, non può infatti che impegnare a lottare contro di essa. Tuttavia, attenendosi al metodo storico-critico, si potrà mai vincere la tentazione di una sottomissione cieca, ma anche piena di fervore, a quanto è reputato essere l’immediatezza della lettera dei Libri sacri? Ci si potrà contrapporre al gusto della sottomissione entusiasta o, al contrario, piena di terrore, di coloro che si arrogano il diritto esclusivo di parlare in nome di Dio se ci si limita a fare appello alla colta e razionale vigilanza di tale metodo? Niente è meno sicuro. L’approccio scientifico ai grandi Libri religiosi dell’umanità apre prospettive che certamente devono essere prese in considerazione, ma tenendo presente il quadro d’insieme, senza lasciarsi cioè soggiogare dal verdetto della “scienza”. Esso lascerebbe senza voce i meno accademicamente colti quali sono quasi tutti i lettori di quei Libri. […] Tuttavia il punto essenziale è un altro: nessuno potrà mai vincere, o semplicemente scuotere il fondamentalismo, opponendogli gli argomenti di una scienza supposta obiettiva, al riparo dei misfatti della soggettività umana, tanto degli individui quanto delle collettività o dei popoli.
Esiste un’altra via? Una via che garantisca la serietà dello studio minuzioso dei testi, delle lingue in cui i Libri sono stati scritti, del passato di cui parlano, senza tuttavia considerare la “soggettività” come “la pazza di famiglia”. Una via che, al contrario, ritenga che, per quanto non siano necessariamente quelle che il dotto accademico richiede, le domande “soggettive”, private o condivise con altri, poste ai testi permettono di scoprirne nuove possibilità di significato che, lungi da essere chimere relative all’idiosincrasia degli individui o delle comunità, li illuminano di una vivida luce e di rimando, come vedremo, il senso stesso della “soggettività” umana ne sarà approfondito in maniera originale, vi troverà materia per interpretare se stessa. Non si tratta più infatti, come nell’approccio scientifico, di esercitare la sagacia intellettuale al fine di “classificare” i Libri sacri, tra numerosi altri, “in una sfera profana” per trarne un sapere relativo al passato e, spesso, per supportare una tacita posizione ideologica, ma di confrontare la propria vita con una parola che si ode in quei Libri. Parola che va oltre i concetti i quali, pretendendo di esprimere in maniera ferma e precisa il sapere di tutto ciò che essa suggerisce, la impoveriscono sempre. Ma per prestare attenzione a quel di più della parola rispetto al sapere è necessario ascoltarla ancora mantenendo in allerta il proprio essere.
in “Avvenire” del 19 aprile 2017