«Un papa fa notizia perché il papa è la notizia», e Francesco fa notizia più di chiunque altro. Su di lui, figura emblematica di una svolta interna alla Chiesa, i giudizi si sono polarizzati, e sono fiorite interpretazioni parziali o forzate della sua dottrina magisteriale, nel tentativo di decifrare chi come lui si è rivelato un formidabile decifratore dei segni dei tempi. Tuttavia non si può «leggere Francesco» – insieme teologo, pastore e profeta – senza coordinate categoriali appartenenti alla tradizione ecclesiale della sua terra d’origine, l’Argentina. Da laggiù, dalla stessa «fine del mondo», viene la teologa e filosofa della politica Emilce Cuda, che dedica al suo conterraneo il saggio. Nelle pagine di Cuda la genealogia prende corpo e indica lo stretto legame tra Bergoglio e Francesco, a partire dalla teologia del popolo e della cultura, variante argentina della teologia della liberazione latino-americana, dalla quale la distingue la rinuncia a una concezione classista. Se non si richiama né al marxismo né al liberalismo, la teologia del popolo ha forse radici peroniste, e quindi entra di diritto nel dibattito attuale sul populismo? Esiste un rapporto intrinseco tra il modello trinitario e il dogma dell’Incarnazione, da un lato, e la denuncia pontificia dell’ingiustizia, dall’altro? E che cosa evoca il papa quando parla di uguaglianza, libertà/lavoro, dignità, cultura e – nozione capitale – popolo? Intende l’insieme della gente o il popolo-povero-lavoratore? Domande formulate con la massima nitidezza, e risposte che mirano a disambiguare, convocando allo scopo anche le grandi teorie politiche del Novecento, da Antonio Gramsci a Ernesto Laclau. All’inverso della celebre formula di Carl Schmitt, secondo cui i concetti politici moderni sarebbero concetti teologici secolarizzati, nel discorso di Francesco sono ben vivi concetti culturali teologizzati, che riecheggiano l’idea di un logos inculturato, sapienza preriflessiva teologale incarnata nella cultura di un popolo. Alla loro formulazione hanno contribuito i maggiori teologi argentini dell’ultimo cinquantennio, tra cui Juan Carlos Scannone, che firma qui la prefazione.
 
Descrizione
Titolo: Leggere Francesco. Teologia e politica
Autore: Emilce Cuda. Prefazione di Juan Carlos Scannone
Editrice: Bollati Boringhieri
Anno: 2018
Pagine 258
Costo: € 20
Isbn: 9788833929385
 
 
Bergoglio tra teologia e politica
di Francesco Antonioli
È nato a Buenos Aires. Non a Marktl, a Wadowice, a Canale d’Agordo, a Concesio, a Sotto il Monte, come i suoi più recenti predecessori. Dunque è portegno, aggettivo o sostantivo – suggerisce il Devoto-Oli – che lo determina a tutti gli effetti figlio della grande capitale argentina. Metropoli dov’è cresciuto, nel quartiere di Flores, in una famiglia di emigrati, impregnato di cultura sudamericana. Il che fa una sostanziosa differenza nella forma mentis di Jorge Mario Bergoglio, il papa venuto «quasi dalla fine del mondo» il 13 marzo di cinque anni or sono.
Spesso lo dimentichiamo. Cosicché giunge a proposito il denso e articolato saggio Leggere Francesco. Teologia, etica e politica di Emilce Cuda, fresco di stampa per i caratteri di Bollati Boringhieri. Pagine per palati fini, ma aiutano a capire. Teologia del popolo o della liberazione? Comunismo? Quale filigrana intreccia il pensiero di Bergoglio? «Per un argentino – spiega la Cuda, che è teologa e filosofa della politica – liberalismo suona come conservatore; e ciò che nell’America del Nord corrisponde al liberalismo, in Argentina è progressismo. Per un argentino il pensiero socialista non è comunista, bensì populista, poiché l’avanzata del comunismo nei vari settori dei lavoratori argentini fu frenata dal movimento nazional-popolare. Distinzioni concettuali basilari per leggere Francesco, un papa argentino che non parla di “capitalismo”, ma di “sistema”; non di “classe”, ma di “popolo”; e per lui il popolo non è tutta la gente – secondo il concetto nordamericano di people -, bensì il popolo lavoratore».
Insomma, un rovesciamento rispetto a noi: categorie differenti, una declinazione tanguera della teologia della liberazione, una profezia cristiana disarmata, incarnata nella storia, radicata nel Concilio Vaticano II. Francesco è tutto questo? «Con sorpresa di quanti hanno dato per finita la teologia come politica – incalza la studiosa – ovvero la teologia come legittimazione o messa in discussione dei fondamenti culturali dello Stato che causano la disuguaglianza, il papa oggi denuncia le nuove forme di povertà in cui poter riconoscere Cristo». Homeless, rifugiati, tossicodipendenti, anziani, migranti, nativi. E dunque il denaro additato come idolo, la finanza mondiale come causa di molti mali. Qui scatta la “pastorale teologica”: «Da un’etica intesa non come realtà di principi trascendentali, concepiti a priori rispetto alla realtà, bensì come principi trascendentali concepiti a posteriori, nel dramma della storia, e pertanto contingenti al divenire della cultura di ogni singolo popolo, e per il popolo stesso», precisa Emilce Cuda. Nasce così una “militanza” dei credenti che pone un’altra agenda all’etica e alla politica, in cui echeggiano le riflessioni dei teologi Murray, Congar, Chenu, de Lubac e Daniélou, soprattutto Juan Carlos Scannone, il gesuita argentino che di Bergoglio è stato anche professore. Non una occupazione di spazi, neppure radici o “principi non negoziabili”, ma sale e lievito: un processo in divenire. Comprensibile che non piaccia a una certa gerarchia clericale… E il peronismo? «Non è un tipo di fascismo – s’infervora Cuda -: nasce alla fine della seconda guerra mondiale, non è razzista; si allea con le fasce deboli dei lavoratori e non con le élite borghesi, non mette in atto lo sterminio sistematico delle persone. È, anzi, il movimento che promuove la mobilità sociale ascendente per mezzo del lavoro».
Il passaggio “da Bergoglio a Francesco” è lineare: il politico, indica la studiosa, è sempre al centro del dibattito teologico, s’interessa del conflitto sociale, ma punta ai fondamenti culturali nelle società democratiche, senza «che i loro principi costitutivi di uguaglianza vengano messi in discussione o minacciati, come succederebbe in una prospettiva marxista radicale». Ha dunque ragione La Civiltà Cattolica a sottolineare che il pontificato di Francesco è «intimamente e profondamente drammatico». La radicalità evangelica, peraltro, è divisiva quanto decisiva. D’altronde, c’era un indizio preciso già nell’enciclica Evangelii Gaudium del novembre 2013: «la realtà è superiore all’idea» e tra le due «si deve elaborare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi dalla realtà», creando quei cortocircuiti tipicamente occidentali – le ideologie – o tremendamente moralistici, che impediscono – inutili fardelli – il ritorno alla centralità evangelica della misericordia. Una sfida ancora aperta. Che per l’immediato futuro i gesuiti fotografano con i versi del poeta Antonio Machado: se hace camino al andar, il cammino si apre strada facendo. Emilce Cuda l’ha intuito bene: «Il fondamento teologico di Francesco in risposta a un sistema che uccide? Se l’uomo è l’immagine della comunione, della comunicazione della partecipazione trinitaria, allora la salvezza è sociale».
in “Il Sole 24 Ore” del 22 aprile 2018