Dalle riflessioni sapienziali di Jean Vanier, filosofo e filantropo famoso in tutto il mondo, nasce questa esplorazione delle grandi domande della vita: Chi siamo noi? Perché siamo qui? Perché c’è tanta sofferenza nel mondo? Perché è così difficile essere buoni? Come facciamo a sapere che Dio esiste? Come si fa ad amare e qual è la vera natura dell’amore? Qual è il fine della nostra vita? Con il suo tipico stile profondo ma accessibile, il fondatore de L’Arca ci incoraggia a immergerci più profondamente nella nostra fede e spiritualità, aiutandoci così a trovare le nostre risposte personali alle grandi domande della vita. Da testimone autentico, non come uno che parla per sentito dire… Domande e temi universali, affrontati con una immediata capacità comunicativa da un testimone credibile, universalmente noto e stimato per il suo impegno umanitario.
 
Descrizione
Titolo: Le grandi domande della vita
Autore. Jean Vanier
Traduttore: A. Rezzi
Editore: Queriniana
Prezzo 18,00 Euro
Anno edizione: 2018
Data: 19 settembre 2018
Pagine: 248 p.,
EAN: 9788839931832
 
 
L’aldilà? È la libertà dell’amore
di Jean Vanier
Nel suo ultimo libro Jean Vanier immagina cosa c’è dopo la morte: l’esperienza di sentirsi amati in modo incondizionato.
Che cosa succede quando moriamo? Credo che ci addormentiamo, e che poi c’è un risveglio nella luce. Questa luce è così pacifica e piena di gloria che, quando ci svegliamo, è un momento di giubilo incredibile. Questa luce è Dio? Non ne siamo certi. Forse è un riflesso di Dio. Dopo tutto, non siamo ancora pronti per un incontro faccia-a-faccia o cuore-a-cuore. Tuttavia, è chiaro che qui siamo benvenuti e che non siamo soli. Abbiamo la sensazione di essere avvolti da qualcosa di meravigliosamente intimo. È una profonda esperienza di pace interiore.
In mezzo a questa bellezza, a questo sollievo e benessere, sorge una domanda: che cosa succederà adesso? Forse per il nostro desiderio di sapere e di cercare, abbiamo la sensazione che in questa luce vi sia una presenza. Intravvediamo un volto. C’è un incontro. Non è un’unione, ma una relazione. Dio non è soltanto questa luce, ma una presenza, una persona. D’un tratto scopro che sono amato da questa persona.
Mi sembra che sapere di essere amati così profondamente e così semplicemente potrebbe portare ad una profonda tristezza e senso di colpa. Come è possibile che io sia amato? Ho rifiutato così spesso la vita, ho omesso di essere aperto alla vita, ho cercato in tutti i modi di tenere il controllo di me stesso. Spesso ho ferito gli altri, non sono stato capace di riconoscere la loro bellezza, ho omesso di portare loro la stessa sensazione di pace e appartenenza che sento ora. Non posso meritare questo amore! Si tratta di un momento di pena interiore, quasi di strazio. La Chiesa lo ha chiamato purgatorio, che è una sorta di purificazione. Tutti quei momenti in cui abbiamo calpestato la vita omettendo di testimoniare in favore della verità, mancando di accettarci l’un l’altro, ritornano. E siamo pieni di sensi di colpa e di vergogna nel trovarci davanti a questa presenza di Dio, essendo stati così miserabili.
D’un tratto quel volto ritorna, o forse noi guardiamo dagli abissi della nostra umiliazione e vediamo in Dio uno sguardo di tenerezza, di incredibile tenerezza. «Tu sei prezioso ai miei occhi, […] e io ti amo» (Is 43,4). All’improvviso, so di essere amato così come sono, nella mia povertà. Dio sa quanto io sia fragile, quante volte ho fatto del male, quante ho trascurato di amare, quante ho rifiutato l’amore altrui. Ed in qualche modo sono amato non nonostante la mia povertà, ma nella mia povertà. Sono perdonato. Immagino che potremmo anche scoppiare a ridere: è troppo da contemplare, troppo da comprendere. Dio semplicemente ci ama, ci accoglie nella nostra piccolezza, e ci viene incontro nella nostra debolezza e vulnerabilità. Tutto è capovolto; nulla è come ce lo aspettavamo. Di fronte all’infinita misericordia che è Dio, tutto lo scarto della mia vita diventa concime. È un momento di inaudita felicità: felice di essere me stesso, felice di sapere che gli altri sono amati, felice di essere una piccola parte del corpo dell’umanità – un piccolo granello di sabbia nell’immensità della spiaggia di Dio, ma così importante, così prezioso, proprio come è prezioso ogni singolo chicco di grano.
Questo è il momento della libertà: è qui che facciamo esperienza di Dio come perdono. Che cosa significa libertà? C’è la libertà da. Qui, nella misericordia di Dio, siamo liberi dai sensi di colpa e dai tormenti legati al nostro passato. Siamo liberi dall’angoscia perché nella presenza di Dio la nostra identità più profonda è confermata: io sono amato. Ma c’è anche la libertà di. Finché proviamo angoscia, siamo incapaci di darci totalmente all’amore. Ma qui tutto di noi, la nostra forza e la nostra povertà, è ricomposto, e Dio conferma che siamo amati. Qui, nella misericordia di Dio, siamo liberi di accogliere in noi questa identità: siamo amati, siamo liberi di darci totalmente all’amore.
in “Avvenire” del 12 dicembre 2018
 
Dal fondatore dell’Arche l’invito a guardare sempre davvero oltre
di Roberto Righetto
Un giorno Jean Vanier va a Santiago del Cile per una conferenza sulla disabilità. Il suo accompagnatore, Denis, mentre guida verso la capitale, a un certo punto rallenta e gli dice: «Se guardi a sinistra, vedi le zone degradate della città, sulla destra invece hai le case ricche, protette dall’esercito e dalla polizia; nessuno attraversa questa strada». Nel suo ultimo libro uscito in Italia, Le grandi domande della vita (Queriniana, pagine 244, euro 18,00), il fondatore della comunità dell’Arche prende spunto da questo episodio per rammentare la pagina evangelica di Lazzaro e del ricco Epulone, richiamando il fatto che la divisione fra ricchi e poveri è spesso rinforzata da barriere che ci tengono comodamente all’oscuro gli uni degli altri: «Erigiamo muri in modo da non vedere dall’altra parte della strada, così che non riusciamo nemmeno a renderci conto di Lazzaro con la sua mano tesa».
Tutta la vita di Jean Vanier, che da poco ha compiuto 90 anni, è stata protesa ad abbattere queste barriere a partire dalla consapevolezza che ciascuno di noi non deve restare chiuso dentro una percezione ristretta del mondo. Quando iniziò l’attività dell’Arche, nel 1964, recandosi dal Canada in un paesino della Francia, i disabili venivano perlopiù segregati in ospizi. Vanier ha dato vita a comunità in cui persone normali e con handicap vivono insieme: piccoli nuclei in cui tutti crescono scoprendo le reciproche vulnerabilità e debolezze imparando ad accettarle. «A poco a poco – racconta Vanier nel volume – avviene la scoperta destabilizzante che queste persone che pensavamo fossero inutili, inadeguate e inette, sono importanti. Hanno qualcosa da insegnarci sulla presenza, sul prenderci del tempo con l’altro, sul crescere insieme. Scopriamo che la realtà […] è che questi mondi sono divisi, ma non hanno alcuna necessità di esserlo. La realtà è questa contraddizione, nella quale c’è verità».
Nel libro l’autore, che ha assunto un ruolo di primo piano nel panorama culturale francese, tanto che vari intellettuali, anche non credenti, da Emmanuel Carrère a Julia Kristeva, hanno instaurato un dialogo con lui, affronta anche la questione dell’ateismo. E si chiede: «Come possiamo incontrarci? Come possiamo vivere nella nostra realtà condivisa?». La risposta è semplice e disarmante: «All’ateo dico: c’è una cosa che so, che l’amore è più grande dell’odio». A partire da questo assunto tutto assume un significato diverso, dall’accoglienza dei disabili alla lotta contro ogni discriminazione. Se la politica, come diceva Plutarco, è ciò che toglie all’odio il suo carattere eterno, si comprende come la verità elementare sostenuta da Vanier ha implicazioni rilevantissime: una forma di odio invisibile, ad esempio, per lui si esprime nelle politiche anti-immigrazione.
Ma il volume, come dice il titolo, affronta le “grandi domande” dell’esistenza, quali la presenza del male nel mondo e la vita nell’aldilà (in questa pagina proponiamo un brano di quest’ultimo argomento). Sempre partendo dalla sua esperienza concreta Vanier dà spazio alla sua concezione della misericordia: noi umani così lacerati e pieni di ferite viviamo nella condizione di chi ha bisogno di un soccorso, di essere accolto, protetto, amato. È così che egli immagina la vita dopo la morte, dove non saremo solo spettatori ma protagonisti.
in “Avvenire” del 12 dicembre 2018