È venuto a mancare il 7 agosto 2020, il rabbino Adin Steinsaltz, una delle più grandi personalità dell’ebraismo contemporaneo, nato nel 1937, era laureato in fisica e chimica, è stato filosofo, critico sociale, e soprattutto un Maestro del Talmud oltre che guida spirituale. Personalità complessa, era animato da una ferrea volontà di portare la conoscenza e il sapere al più grande e ampio pubblico possibile. “Non ho mai pensato – ebbe a dire in una occasione il rabbino Steinsaltz – che la diffusione dell’ignoranza ha alcun vantaggio, ad eccezione di coloro che sono in una posizione di potere e vuole privare gli altri dei loro diritti e diffondere l’ignoranza al fine di mantenere loro subalterni “
“Il suo enorme merito – spiega a Shalom il rabbino Gianfranco Di Segni, coordinatore della traduzione del progetto Talmud in italiano – è di avere dedicato una intera vita, 45 anni, per rendere accessibile e comprensibile il Talmud a tutti gli ebrei. Il Talmud è un’opera enciclopedica che è scritta in parte in ebraico antico, ma soprattutto in aramaico in uno stile estremamente conciso, fatto a posta per scoraggiare lo studio da soli e favorire invece lo studio con un Maestro o con un compagno in uno scambio dialettico dove si possono porre domande su questioni non comprese o proporre risposte. Per queste ragioni il Talmud necessita di uno studio specialistico, non accessibile a tutti”.
Per chi vuole approfondire il suo pensiero in italiano sono stati pubblicati da Giuntina, ‘La rosa dai tredici petali’, ‘L’anima’ e ‘Cos’è il Talmud’.
 
Adin Steinsaltz
L’anima

Cos’è l’anima? Come si manifesta? Com’è possibile sentire la sua flebile voce? Cosa le accade dopo la morte? Come influenza la nostra vita? E perché è importante compiere uno sforzo per prestarle ascolto? Lo scopo di questo libro è quello di evidenziarne natura e manifestazioni per stimolare riflessioni che conducano il lettore a un livello più alto, da cui sia possibile iniziare quel lungo e difficile cammino che impegna tutta la vita: essere in contatto con l’anima e averne cura. Adin Steinsaltz, nato a Gerusalemme nel 1937, rabbino e leader spirituale, laureato in chimica e fisica, è conosciuto principalmente per la sua monumentale traduzione commentata delTalmud in ebraico moderno. Di lui la Giuntina ha pubblicato La rosa dai tredici petali. Un incontro con la mistica ebraica e Cos’è il Talmud.
 
Descrizione
Titolo: L’anima
Autore Adin Steinsaltz
Editrice: La Giuntina
Prezzo: 16.15 E.
Pubblicato: 26/04/2018
EAN. 9788880577683
 
Adin Steinsaltz
L’anima
Un estratto della Presentazione
 
Questo volumetto sull’anima è anzitutto, rispetto al suo argomento, troppo esiguo. L’anima che abbiamo in noi, sia quando è agitata da violente tempeste e non ci concede riposo, sia quando è silenziosa e quasi inavvertibile, nel qual caso siamo fin troppo tranquilli, costituisce un soggetto così vasto che meriterebbe una trattazione estremamente approfondita. In verità non vi è libro di etica che non si occupi, in un modo o nell’altro, di questioni che la riguardano, perché l’interesse fondamentale di tali testi è proprio il rapporto con essa. Tuttavia non vi sono molti scritti dedicati esclusivamente a questo soggetto. Inoltre, quando si tenta di affrontarlo a grandi linee, le argomentazioni tendono a divenire troppo astratte e lontane. E viceversa, se ci si dedica ai particolari, a problemi specifici, ci si trova a navigare in un mare davvero immenso.

La mia speranza è che questo testo serva allo scopo per il quale è stato concepito, ovvero non risolvere tutti i problemi, ma, citando un piyut [poesia liturgica] di Rav Shmaya Kosson, esprimere un’esortazione: «Prestate attenzione all’anima». Il suo scopo principale è evidenziare aspetti e stimolare riflessioni che nel corso del tempo conducano colui che lo legge o lo studia a un punto più alto, da cui sia possibile accedere a quel grande cammino che si protrae per tutta la vita: essere in contatto con l’anima e averne cura.

 

L’anima

Abbiamo un’anima. Possiamo affermarlo perché la percepiamo.

Non è chiaro in quale momento della vita l’individuo scopra di averla; si direbbe che non accada nel periodo neonatale, e forse neppure nella primissima infanzia, ma in ogni modo è una delle prime realtà di cui si accorge, sebbene con una consapevolezza solo parziale. Il processo somiglia a quello relativo alla nostra percezione del corpo, che è parimenti soggetta a uno sviluppo; all’inizio comprende le parti più scoperte o attive e si amplia progressivamente con il tempo e l’esperienza. Si può supporre che un lattante scopra il proprio corpo mettendo insieme diversi tipi di sensazioni, e anche se potesse parlare non riuscirebbe a esprimere la consapevolezza corporea in modo completo, ma piuttosto come una serie di esperienze isolate che si uniscono gradualmente a formare un insieme. È possibile che all’inizio scopra di avere una pancia, poiché di tanto in tanto gli duole, e progressivamente – attraverso la vista e gli altri sensi – si renda conto di avere anche mani, piedi e così via, fino a giungere a una rappresentazione globale. Ma nonostante che conduciamo con il nostro corpo un dialogo continuo e amorevole (forse più del dovuto), e ce ne prendiamo costantemente cura, ciò che è nascosto supera comunque ciò che è palese. Mentre le parti esterne le possiamo vedere e toccare, delle parti più interne abbiamo, nella migliore delle ipotesi, una conoscenza indiretta e scarsa. Moltissime persone non conoscono l’ubicazione precisa del cuore, o persino dello stomaco, e a maggior ragione di altri organi, molti dei quali sono loro del tutto sconosciuti.

Similmente, anche l’esistenza dell’anima non giunge alla nostra consapevolezza come una concezione unitaria e completa, ma come un’accozzaglia di esperienze differenti: amore e odio, attrazione e repulsione, curiosità e apprendimento e simili. Tali esperienze ci si presentano ciascuna in modo indipendente, e solo in una fase successiva si uniscono a formare una qualche percezione dell’io.

Una volta che questo insieme di esperienze è definito come io, persino il più semplice tra gli uomini può distinguere in una certa misura tra l’io nel suo significato corporeo, che è uno degli aspetti della nostra essenza, e l’io interiore, spirituale. Con ciò, così come accade per la consapevolezza del corpo, anche quella dell’anima trae origine perlopiù da fatti esterni, da esperienze relative al mondo che ci circonda, mentre quelle più intime sono molto più oscure, e persino gli adulti non le conoscono pienamente e di solito non sono in grado di definirle in modo chiaro.

Tuttavia la consapevolezza dell’anima resta una consapevolezza di base, è una di quelle cose che la persona conosce molto prima di saperle chiamare per nome. È vero che un infante deve crescere per poter giungere a una definizione chiara del corpo, e a maggior ragione per avere coscienza della propria anima, perché gli aspetti più interiori e profondi ci si rivelano soltanto in circostanze particolari, e anche allora non in modo esaustivo sotto forma di una struttura globale dotata di significato; tuttavia tali consapevolezze ed esperienze esistono in noi anche prima di ricevere un’espressione verbale.

L’anima è dunque un’entità che percepiamo e della cui esistenza siamo certi quanto lo siamo di quella del corpo, eppure la conosciamo poco. In ogni generazione sono stati compiuti molti tentativi per trovarne la sede, o quantomeno il centro. I Greci ritenevano che il centro della forza vitale si trovasse nel diaframma; nella Torà è detto: Poiché il sangue è la nefesh 1(Deuteronomio 12, 23), una concezione legata, forse, alla visione del cuore non soltanto come centro della vita corporea, bensì anche come punto focale di quella interiore; ai nostri giorni, invece, dopo le osservazioni e gli esperimenti di innumerevoli generazioni, si è giunti alla conclusione che sia localizzata nel cervello. Questi non sono altro che sforzi per trovare una soluzione all’enigma cercando di collocare l’anima in questa o quella parte del corpo. Tuttavia gli uomini di scienza, i filosofi e in generale le persone intelligenti sanno che una simile definizione vale essenzialmente per la comodità dell’uso linguistico, ma non è di per sé significativa. Anche coloro che la localizzano nel cuore o nel cervello sanno che tali organi sono soltanto pezzi di carne, e che in quanto tali possono essere, nel migliore dei casi, soltanto punti di contatto con l’anima, ma non l’anima stessa.

Vi sono persone che tendono a meditare di più sull’essenza della propria anima, e ve ne sono altre che possono trascorrere una vita intera – persino una vita ricca di attività intellettuale profonda e variegata – senza interessarsene affatto e senza dedicarle alcun pensiero. Questi differenti approcci, oltre a dipendere dalla diversa natura degli individui, sono legati anche al mondo interiore delle esperienze umane. Le persone la cui vita è concentrata all’esterno – e non necessariamente perché svolgono un lavoro manuale, ma anche se sono impegnate nello studio di materie spirituali, astratte o pratiche – non si pongono molte domande sull’anima. Per loro è un dato che non necessita di grandi riflessioni, così come non vi è una particolare ragione o necessità di essere consapevoli delle varie parti del corpo.

Quanto più le esperienze interiori di un individuo sono numerose – amore e odio, disperazione o speranza – tanto più grande è la possibilità che esse risveglino in lui una qualche consapevolezza dell’ampiezza e della profondità dell’anima. Ma anche persone maggiormente consapevoli, che riflettono di più su questo argomento, di solito non tentano di spingersi al di là dell’ambito delle proprie esperienze. Così, per esempio, vi sono ai nostri giorni molti psicologi, i quali, a prima vista, dovrebbero essere i maggiori conoscitori ed esperti del soggetto, che dichiarano in modo perentorio di non credere all’esistenza dell’anima, e il risultato è che di fatto si occupano di differenti aspetti di un qualcosa che dal loro punto di vista è inesistente e privo di significato. Persino gli psicologi convinti che l’uomo ne abbia una, si dedicano principalmente a curarla, e, così come fanno i diversi medici, si specializzano in modo quasi esclusivo nelle sue malattie e sofferenze, ma non nell’anima in quanto tale. È possibile dunque affermare che la psicologia sia una disciplina che propone svariate teorie circa le interazioni tra i diversi livelli dell’interiorità, ma non si spinge così lontano da tentare di studiare l’anima.

Da questo punto di vista sono giuste ed esaustive le parole del Maharal di Praga nell’introduzione alla sua opera Gvurot ha-Shem [Le imprese del Signore], dove sostiene che tutti percepiamo, in una maniera o nell’altra, la nostra anima e siamo sicuri della sua esistenza, e nonostante ciò non ne comprendiamo l’essenza. Proprio coloro che maggiormente meditano sulle questioni dell’anima capiscono che, pur conoscendone luoghi, livelli e attività, non riescono a coglierne l’essenza; sono consapevoli di occuparsi di espressioni esteriori, ma non della sostanza stessa. Riguardo all’anima si può quindi asserire ciò che è stato detto del Santo, benedetto Egli sia, cioè che, come Lui, anch’essa è più vicina di ogni cosa vicina e più lontana di ogni cosa lontana2

Al di là di tutte le capacità e le attività dell’anima, esiste il concetto basilare e semplice di io. Ma questo concetto, che è più precoce rispetto a ogni consapevolezza e pensiero, non ha un contenuto: è soltanto una sorta di dichiarazione. In effetti, l’anima, quasi in ogni sua manifestazione, dice «io», ma questo io non è oggetto di una vera definizione. La conoscenza della nostra stessa anima, per quanto possa esserci vicina, non è così differente dalla conoscenza di un altro individuo: possiamo sapere quali vestiti indossa, conoscerne la struttura fisica e persino il modo di pensare, ma ciononostante rimane un’entità estranea, che ci è nota soltanto nei suoi confini esterni e non nel contenuto. Il pensiero di una persona comprende milioni di particolari molti dei quali non sono manifesti, né possono esserlo, a nessun altro; ma l’io in sé, persino quando ci sforziamo di conoscerlo, resta sempre al di là di tutto ciò. «Io so», «io penso», «io sento» e persino «io vivo» sono modi in cui esso opera, ma che non ci offrono la possibilità di avvicinarci a una conoscenza veritiera della sua essenza.

Ogni persona, dunque, ha un’anima. Vi sono individui ai quali essa si rivela più che ad altri; ma soltanto alcune personalità isolate, cui furono svelati misteri che oltrepassano la conoscenza razionale, possono parlare in qualche misura della sua essenza. Ciò che qui è esposto è stato scritto sulla base dell’illuminazione di quei veri «conoscitori dell’anima» che ci raccontano e ci svelano aspetti della sua realtà, qualcosa dei suoi misteri.

 

Le sofferenze dell’anima

I dolori della psiche, i tormenti dell’io umano, sono piuttosto diffusi. Si può dire che ciascun individuo in quanto tale, quasi ogni giorno della sua vita, patisce sofferenze che riguardano in una certa misura la sua interiorità. Queste possono essere di svariate tipologie. Vi sono le grandi sofferenze causate da tragedie che accadono nel corso della vita; vi sono quelle che derivano dalla sua miserevole condizione nel mondo, o dalla mancanza di capacità di fronteggiare le angustie; e ovviamente vi sono anche dolori modesti, e persino trascurabili, derivanti dall’incontro con la realtà: quando qualcosa non procede secondo la nostra volontà o quando siamo feriti, anche se in modo lieve, dall’ambiente circostante o dalla società.

Questi sono i dolori dell’interiorità palese, i dolori dell’io come esso si rivela alla coscienza umana. In parte possono anche essere una conseguenza di carenze e difetti spirituali: come ci sono persone che si crucciano se, volendo compiere una mitzvà, un precetto, non vi riescono, mentre possono essercene altre che si dispiacciono per non essere riuscite a compiere una trasgressione. Ma nonostante l’immensa differenza dei moventi, questo genere di dolore deriva soprattutto dall’impossibilità di soddisfare i propri desideri, e non dalla tipologia di quest’ultimi. Tutto ciò accade al livello più basilare dello spirito, quello in cui si esprime l’io umano. E poiché questo io sussiste non soltanto sul piano spirituale bensì anche su quello corporeo-fisico, è chiaro che vi sono anche molte sofferenze legate alle condizioni del corpo, che è esposto a subire squilibri e disagi, lievi o intensi, causati da una molteplicità pressoché infinita di fattori.

Tali disagi, anche quando sono estremamente intensi, si producono di solito al livello più elementare della psiche, e non sono legati all’anima. Spesso però possono stimolarne la manifestazione; infatti accade sovente che le persone giungano a pensare alla propria anima unicamente in periodi di angustia, sia privata che generale. Come solo durante una malattia molte persone divengono coscienti di certe parti del corpo, di cui, finché la salute è stabile, non percepiscono neppure l’esistenza, così anche l’essenza e il significato dell’anima cominciano a essere riconoscibili proprio nei momenti difficili, nei periodi di sofferenza; soltanto allora scopriamo di avere una parte interiore e nascosta della cui presenza sino a quel momento non eravamo stati interamente consapevoli, o avevamo ignorato per molti anni.

Una simile combinazione non è certamente auspicabile, e nemmeno necessaria, tuttavia è molto comune. Spesso troviamo nel Pentateuco e nei Profeti che una disgrazia è un mezzo non solo per un risveglio, ma anche per l’acquisizione di una nuova consapevolezza e persino per la scelta di una nuova strada. E come negli avvenimenti che riguardano il corpo, anche qui un dolore esterno e superficiale porterà, di solito, a trovare soltanto soluzioni superficiali e parziali, e non produrrà un pensiero approfondito o il risveglio di una maggiore consapevolezza. Soltanto quando la sofferenza diventa persistente, intensa e tormentosa, l’individuo si mette a cercare soluzioni più radicali. I problemi e le angustie quotidiane sono definibili come fastidi che tentiamo di ignorare o risolvere senza prestarvi eccessiva attenzione, e non portano a un vero risveglio. Quando però il dolore si fa più profondo e interiore cominciamo anche a meditare sugli elementi fondamentali della nostra realtà, e allora possiamo scoprire di avere un’anima e che è opportuno dedicarle attenzione. 

Capita anche che chi conduce una vita assolutamente serena inizi a meditare sulle questioni fondamentali della propria esistenza e sulla realtà e natura della propria anima, ma non si verifica spesso. Per qualche ragione tendiamo a presupporre che se ci sentiamo bene o abbiamo successo, ciò avvenga in virtù delle nostre doti e capacità, poiché questo è l’ordine naturale e così è giusto che sia. Finché il nostro mondo procede senza perturbazioni, ciò è una conferma del fatto che non c’è necessità di correzioni o migliorie. Sicché, quelli a cui tutto va bene di solito non si domandano «perché questo bene è toccato proprio a me?». Sia che dipenda da un eccessivo ottimismo caratteriale o dall’educazione, così stanno le cose di fatto. Ma ad ogni modo è opportuno ricordare che i giorni del Messia sono dipinti come privi di sofferenza e di preoccupazione, e ciononostante allora le persone avranno più tempo libero per dedicarsi alla propria anima e al suo Creatore.

Una domanda più profonda è: l’anima prova dolore? E se sì, che cosa lo causa? Quando e come le sofferenze dell’anima si manifestano all’io? L’anima non è solo una sostanza astratta che sussiste in qualche luogo di altezza sublime: di per sé è diretta e orientata a uno scopo, che consiste nell’operare all’interno della realtà in generale e dell’essere umano in particolare. È logico pensare che la sofferenza primaria e fondamentale dell’anima sia causata dall’incapacità di conseguire il suo scopo e realizzare se stessa; è il dolore di un’entità che non riesce a trovare un’espressione concreta.

Tale dolore diviene ovviamente più pungente e tormentoso quando l’individuo non soltanto non compie tutte le azioni che l’anima vorrebbe, sia a livello interiore che all’esterno, ma addirittura agisce nella direzione opposta. Ogni mancanza, peccato e trasgressione le causano sofferenza; tuttavia dal momento che di solito la sua presenza non è manifesta e la sua attività non è diretta, ma si esercita attraverso altri strumenti e forze, anche i suoi dolori non sono palesi all’individuo quanto quelli che egli percepisce nella propria consapevolezza psichica e corporea. Le sofferenze dell’anima si manifestano perlopiù attraverso la psiche e la coscienza, e perciò di solito non si presentano in una forma chiara, ma sono velate e coperte, e quindi note all’individuo soltanto in maniera indiretta, se mai lo sono. 
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