INTRODUZIONE
Questo articolo, insieme agli altri che lo seguiranno,  intende aprire una riflessione su una prospettiva fondamentale dell’educazione religiosa (alternativa e complementare a quella kerigmatica), che possiamo denominare “esperienziale” o meglio ancora “ermeneutico-esistenziale”. L’angolo di osservazione che la nostra riflessione intende privilegiare è quello educativo proprio del sistema formale,  interessato alle istituzioni educative scolastiche e universitarie. Ovviamente non potremo ignorare le indicazioni che arrivano dal sistema non formale che coinvolge tutta la moltitudine delle altre agenzie formative non istituzionali pubbliche e private, anche religiose. Così come non intendiamo trascurare  il sistema educativo informale che riguarda il mondo dei media, della stampa, della radio, della TV, dei dispositivi informatici, di internet, dei social, ecc.
La nostra riflessione punterà innanzitutto a cogliere la domanda educativa emergente oggi nel contesto italiano per individuare quei possibili percorsi che l’educazione religiosa può offrire per la costruzione una risposta formativa credibile e percorribile.
Nell’epoca delle passioni tristi[1] l’educazione vive, in tutte le sue componenti,  una condizione di evidente difficoltà. La cartina di tornasole che lo evidenzia sono, da una parte, i continui tentativi di Riforma posti in atto in questi decenni, e dall’altra, l’inarrestabile aumento degli abbandoni delle istituzioni educative da parte dei ragazzi.[2]
Nel primo semestre del 2015, tra polemiche e contestazioni accese, si è di nuovo riaperta la stagione di riforme del sistema educativo italiano che sembrava essersi chiusa definitivamente nel 2012. Il governo Renzi ha messo di nuovo mano alla riforma complessiva del sistema educativo con il disegno di legge di “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione”.[3]  Il difficile e contrastato processo di trasformazione evidenzia la profonda crisi organizzativa, didattica e pedagogica del sistema educativo italiano.  Una crisi che però non riguarda solo il sistema educativo, ma che potremmo definire globale, dell’intero sistema occidentale.[4]  Stiamo vivendo, da qualche anno,  una trasformazione troppo veloce che segna il nostro quotidiano ed è percepita dal comune sentire con preoccupazione e sconcerto. Essa supera la capacità di una popolazione di darsi una visione comune e di adattarsi al cambiamento. Comprendiamo con difficoltà il nostro presente e dunque non possiamo tracciare chiare linee di azione e di progettazione del nostro futuro. Questa grande crisi culturale sfida oggi l’educazione istituzionale e la rende non più credibile. Le proposte educative, anche freligiose, non sono più accettate dai giovani perché trasmettono narrazioni stantie e superate. Si impone una rivisitazione dei modelli educativi di riferimento ed un ripensamento radicale. Purtroppo tocchiamo con mano giornalmente la latitanza delle istituzioni preposte a definire una direzione comune e la loro incapacità ad orientare la comunità verso un percorso condiviso. Tuttavia proprio nelle istituzioni educative si pone la chiave per la ricostruzione di una visione comune.
Il nostro contributo esaminerà alcune delle condizioni peculiari  che caratterizzano il contesto pedagogico didattico attuale e che, a nostro parere, non possono essere trascurate se vogliamo cogliere correttamente le dinamiche soggiacenti ai processi educativi di maturazione della personalità religiosa. Dinamiche che dovranno diventare domande educative e guidare l’individuazione di possibili itinerari di risposta. In questa ricerca particolare rilevo dovrà essere dato ad alcuni criteri interpretativi per cogliere correttamente le spinte della sensibilità educativa attuale.  Apriremo infine la riflessione su alcune prospettive, che introducono quanto andremo a dire nei prossimi articoli, sulle vie che l’educazione può prendere per rispondere all’emergenza educativa religiosa.
 

  1. IL CONTESTO PEDAGOGICO DIDATTICO ATTUALE

 
Le metodologie e tecniche educative che la nostra tradizione pedagogico didattica ci ha consegnato sono il frutto di una visione educativa preoccupata di trasmettere i contenuti di sapere. Ma in questi ultimi decenni la crisi di sistema e la conseguente emergenza educativa hanno imposto un radicale ripensamento. Gli educatori sono stati così costretti a rivedere quelle metodiche trasmissive che avevano assimilato nella loro formazione. L’avvento inarrestabile delle nuove tecnologie della comunicazione, con il loro modo di pensare, di relazionarsi, di apprendere e studiare, ha poi ingenerato una sensibilità educativa profondamente diversa da  quella a cui ci eravamo abituati. L’apatia, il disinteresse, la demotivazione così frequenti oggi tra i ragazzi sono il segnale inequivocabile di una domanda educativa inascoltata, che necessita di una adeguata risposta.
Può aiutarci in questa ricerca di risposte l’analisi di alcune caratteristiche costitutive del contesto educativo italiano che meritano un’attenzione particolare.
 
a.        La centralità del soggetto che apprende
 
L’importanza del ruolo e del compito del soggetto che apprende nei processi educativi non è certamente una novità, ma sul piano sia teorico che del cambiamento della relazione educativa necessita ancora di approfondimento e di chiarificazione. Costituisce comunque una domanda fondamentale e imprescindibile del nuovo contesto educativo.
Forte è ancora, nei processi educativi, la passività di chi apprende.  Dobbiamo riconoscere che nel processo educativo ancora prevale la centralità di altri attori. A seconda della forza delle componenti in gioco, il centro del processo educativo viene occupato ora dal docente, ora dai contenuti di sapere, ora dalle metodologie didattiche, ora dalle tecnologie, ora dall’istituzione educativa, ora dall’extrascuola, ecc. Tutte queste componenti, necessarie e  insostituibili in ogni processo educativo, devono però fare centro sul soggetto che apprende e porsi al servizio della sua maturazione per renderlo vero protagonista del  percorso formativo.  Ciò comporta un inevitabile decentramento dell’educatore e di tutte le altre componenti, verso ruoli di accompagnamento, sostegno, consiglio, supporto, servizio. In quest’ottica anche i contenuti di sapere si spostano in secondo piano, al servizio del processo di maturazione del soggetto che apprende e vengono scanditi superando la stretta e rigorosa coerenza della didattica trasmissiva.  La nuova logica scompagina la struttura del processo didattico tradizionale scandito su: finalità,  obiettivi, metodi, mezzi, modalità di verifica, criteri di valutazione e preoccupato della trasmissione e della corretta acquisizione dei contenuti di sapere. Sul piano prettamente didattico si tratta di passare dalla logica rigorosa della programmazione tradizionale, a quella della progettazione flessibile dei processi di apprendimento per la maturazione delle competenze di chi apprende. Sul piano invece della visione educativa la questione si presenta più complessa e delicata perché coinvolge il rapporto tra verità e soggetto. Tema che costituisce il cuore di questa nostra riflessione perché pone a confronto le due prospettive quella kerigmatica e quella ermeneutica esistenziale che costituiscono lo sfondo della nostra riflessione.[5]  Tematica che affronteremo più in dettaglio in seguito.
 
b.          Il passaggio dalla programmazione alla progettazione
 
La grande trasformazione avvenuta in Italia sul piano culturale, sociale, economico in questi ultimi decenni, ha segnato il passaggio da una società sostanzialmente stabile, capace di governare il cambiamento, verso una società complessa, globalizzata, pluriculturale, poliprospettica, secolarizzata. Questo passaggio ha inciso profondamente anche sulla dimensione educativa e didattica. Il programma educativo e didattico stabilito dalle istituzioni educative centrali, che per molti decenni aveva costituito il punto fondamentale di riferimento, mostrò tutta la sua incapacità di interpretare la variegata condizione educativa italiana.  Venne così  a mancare quel riferimento indiscutibile che fino ad allora aveva garantito unità, coerenza, uniformità, solidità al sistema educativo. Ma insieme vennero meno anche quei limiti di rigidità e chiusura determinati da un programma centralizzato, rigoroso, coerente, uguale per tutti, a cui ci si doveva tassativamente attenere.
Si svilupparono nuove categorie didattiche capaci di affrontare i fenomeni della complessità e della globalizzazione: la flessibilità, l’adattabilità, l’autonomia, l’individualizzazione, la personalizzazione.
Oggi non sono più pensabili percorsi educativi rigidi e uguali per tutti. E così dai programmi nazionali siamo passati alle Indicazioni, dalla programmazione alla progettazione, ai piani formativi, ai progetti educativi, ecc. La progettazione didattica è progressivamente passata dalla programmazione locale verso la progettazione personalizzata.
Nasce così una nuova modalità di intendere la stabilità, la chiarezza, la coerenza e il rigore didattici. Il cambiamento di prospettiva è richiesto dall’attuale emergenza educativa che esige di porre al centro del processo formativo i compiti educativi che il soggetto deve affrontare in un preciso momento della sua storia evolutiva.  I processi di apprendimento vanno così ideati per rispondere alle esigenze dei singoli soggetti attraverso percorsi differenziati e adattabili alle condizioni educative che , via via, si evolvono. [6]
 
             c.  La promozione del “pensiero divergente” e dell’ “educazione generativa” 
 
Una prospettiva educativa indubbiamente più adatta ai cambiamenti di oggi, è quella del “pensiero laterale”,[7] o del “pensiero divergente”,[8] che punta a sviluppare la capacità di risolvere i problemi da prospettive creative, originali e alternative.[9]
L’educazione generativa è caratterizzata dall’impegno a intercettare, analizzare, valorizzare le nuove conoscenze orientandole alla costruzione di risposte che sappiano leggere, interpretare e rappresentare la complessità culturale di oggi con fantasia, gioia e speranza.  Indubbiamente tutto ciò richiede agli educatori un profondo cambiamento di mentalità. “Il problema cruciale risiede nella cultura delle nostre istituzioni, nel clima che vi si respira e nelle abitudini che hanno consolidato”.[10] I tradizionali processi di trasmissione e restituzione del sapere vanno sostituiti con le grammatiche della domanda ed i processi di accompagnamento degli allievi nella ricerca di soluzioni sostenibili.[11]  La promozione della fantasia e del “pensiero divergente”, dalla base al vertice dell’intero sistema educativo, potrà costruire la risposta innovativa di cui il sistema educativo ha oggi assoluto bisogno.[12]
L’emergere di una cultura educativa creativa e originale è  in diretta corrispondenza con l’abbandono della dimensione trasmissiva, gerarchica  ed emulativa. L’attuale contingenza rende oggi più facile questo passaggio se consideriamo le spinte che ci arrivano dal contesto educativo europeo ed extraeuropeo con l’accentuazione della prossimità: della conoscenza alla vita, del sapere al saper fare, della domanda alla costruzione della risposta, del pensare all’essere, ecc.In questo passaggio la scuola potrà svolgere un ruolo fondamentale.[13]
 
            d. La maturazione di competenze ancorate al mondo reale
 
Il grande processo di innovazione dei sistemi educativi occidentali ha spostato l’attenzione degli educatori verso la maturazione di competenze ancorate al mondo reale.  Anche la società europea e italiana definendo le competenze “chiave” e di “base” dei  sistemi educativi hanno voluto adeguarsi alle nuove condizioni culturali.[14]  Nella prassi didattica si tratta di individuare e di promuovere quelle conoscenze, abilità e capacità che consentano agli studenti di costruire risposte adeguate alle problematiche che incontrano nella vita concreta. In una formulazione condivisa la competenza è stata definita come: “capacità di far fronte ad un compito, o a un insieme di compiti, riuscendo a mettere in moto e a orchestrare le proprie risorse interne, cognitive, affettive e volitive, e a utilizzare quelle esterne disponibili, in modo coerente e fecondo” [15].
Con attenzione alle sue componenti più interiori si può anche dire che la competenza è “una caratteristica intrinseca di un individuo causalmente collegata ad una performance  eccellente in una mansione” che “si compone di motivazioni, tratti di immagine di sé, ruoli sociali, conoscenze e abilità” [16].
Soggiacente a queste definizioni, ma anche ai documenti normativi ufficiali, si può cogliere una duplice prospettiva: una più antropocentrica [17]  e l’altra  più funzionale.[18] La prospettiva antropocentrica, abbracciata dall’Unesco, è orientata alla promozione dello sviluppo della persona. [19]   La seconda più funzionale, prevalente in Europa, si ispira all’ottica della crescita economica e del mercato del lavoro. Una diversità emersa anche nell’iter di Riforma della scuola italiana che ha visto il confronto tra la prospettiva più orientata alla preparazione dello studente all’ingresso nel mondo del lavoro e quella finalizzata alla maturazione integrale della persona. E’ chiaro che le due prospettive non vanno ideologicamente contrapposte, ma possono e devono integrarsi a partire da una maturazione dell’essere della persona che poi si esprimerà, sul piano operativo, in particolari capacità e abilità applicative maturate e affinate nel percorso formativo.
La domanda educativa di competenze ancorate al mondo reale segna il passaggio da un sistema educativo, separato dalla vita reale e concentrato sulla trasmissione delle conoscenze astratte, verso un sistema  orientato alla maturazione delle competenze che rendano i ragazzi capaci di risolvere le problematiche che incontrano nella loro vita. Un passaggio obbligato in una società complessa in rapida evoluzione che sta vivendo un profondo cambiamento.
 
            e. Lo sviluppo di metodologie costruttivo collaborative
 
La forte attenzione alle competenze e l’affermarsi  delle nuove tecnologie informatiche hanno spostato il baricentro dei processi educativi dai contenuti di sapere ai processi di apprendimento e di maturazione della persona. Negli ultimi decenni si è venuta affermando la visione educativa costruttivistica, lontana comunque da quel costruttivismo esasperato e radicale che relativizza ogni verità. Il costruttivismo educativo, di cui parliamo, sposta il perno dell’educazione sui processi di costruzione del sapere. In prospettiva costruttivistica apprendere vuol dire costruire la risposta alle proprie domande utilizzando i contenuti di sapere disponibili nel proprio contesto. La verità non è già confezionata, ma si deve cercare e costruire per rispondere al proprio interrogativo. Colui che apprende può  rispondere alle sue domande servendosi dei contenuti e delle fonti che trova più adeguati. Grazie anche alla disponibilità di risorse contenutistiche messe in campo dalla rete digitale il processo di costruzione viene oggi molto facilitato.   Anche l’educatore dovrà però, padroneggiare quelle metodologie che consentiranno di individuare le fasi del processo costruttivo più proporzionate all’allievo, al contesto e al problema che si deve risolvere. Si tratta in particolare di metodologie costruttive di tipo induttivo e soprattutto collaborativo. I processi collaborativi si sono venuti affermando, anche sul piano educativo, in seguito allo sviluppo delle tecnologie digitali e alla diffusione incontenibile dei social network.  Gli sviluppi della tecnologia dei media digitali stanno trasformando radicalmente le nostre pratiche educative cognitive e sociali.[20] In questo contesto pur senza possedere competenze sofisticate chiunque è messo in grado di produrre propri contenuti di testo scritto, documenti fotografici, video, ecc. La prospettiva che pervade i nuovi media è quella della condivisione delle risorse e della libera collaborazione di più intelligenze.[21]  In una logica “emergente”, ciascun utente diviene responsabile dei contenuti condivisi e decide, insieme agli altri, quali conoscenze debbono essere accettate.[22] Una sfida ancora imprevedibile  per l’educazione[23], che tuttavia deve mettersi in gioco sperimentando nuove linee didattiche, per una proficua integrazione delle nuove tecnologie nei processi educativi.
In quest’ottica di ricerca creativa, costruttiva e collaborativa muta anche il rapporto con la verità e l’errore. Si deve passare dal denigrare e punire l’errore al valorizzarlo in un contesto di  promozione della dimensione espressiva.  Si tratta di facilitare i processi di ricerca e la correlazione di informazioni per risolvere problemi, inventare, creare,  identificare eventuali errori e ricominciare.  Ciò svilupperà anche i processi comunicativi dello: scrivere, parlare in pubblico, discutere in gruppo, disegnare, recitare, fotografare, filmare, rappresentare, ecc. L’istanza costruttivo-collaborativa è ormai una costante che l’educazione non può più ignorare, per individuare e sperimentare percorsi adeguati alle esigenze di chi apprende.
 
f. Lo sviluppo del sistema formativo integrato verso la Lifelong education
 
Il sistema educativo in questi primi anni del terzo millennio si è aperto all’oltre scuola e al post scuola allargandosi e coinvolgendo, sia lo spazio, che il tempo formativo extra istituzionale.  Sul piano orizzontale, tutti gli spazi culturali che sono presenti nel contesto di vita, da quelli naturali a quelli lavorativi, formativi, museali, ecc. sono entrati a far parte dell’educazione. Sul piano verticale, istruzione ed educazioni divengono permanenti, seguono la persona lungo tutto l’arco della vita, a partire dall’infanzia fino all’età adulta e senile.  La finalità di questo cambiamento è quella di educare la persona a pensare con la propria testa e a sognare con il proprio cuore. Un’educazione dunque a più corsie: Pre-scuola – Scuola- Oltre-scuola – Post-scuola, per le cinque età generazionali: dell’infanzia, adolescenza, giovinezza, età adulta e senile. Una formazione che punta a  un’alfabetizzazione di base che fornisca conoscenze e competenze per esercitare diritti e doveri di cittadinanza e testimoniare i valori della dignità e del rispetto della persona. Solo con la maturazione di competenze fondate sull’imparare ad imparare si potrà combattere e porre un limite al neo analfabetismo di ritorno e alla dispersione scolastica e intellettuale causate dallo sfarinamento che dissolve rapidamente i saperi curricolari e gli apprendimenti istituzionali. L’oltre-scuola e il post-scuola dovranno però uscire dalla logica nozionistica, mnemonica e consumistico mercantile per assumere forme logiche operative e generative di conoscenza. [24]
 
g.  L’evoluzione della sensibilità religiosa in un contesto multietnico e plurireligioso
 
Nel contesto culturale italiano sempre più multietnico e plurireligioso la sensibilità religiosa si sta velocemente trasformando e divenendo polisemica. Di conseguenza il linguaggio della socializzazione religiosa si presenta più confuso, sconosciuto.
L’esperienza religiosa costitutiva della tradizione cattolica risulta poco interessante non ostante gli sforzi della comunità ecclesiale cattolica per coinvolgere le giovani generazioni. I giovani  sono alla ricerca di un’offerta religiosa diversa, lontana dalla lettura razionale e confessionale della fede[25], con un’altissima libertà, ma anche con una forte carica identitaria ed emotiva. [26]
Alcune recenti ricerche hanno evidenziato il processo di erosione del “cattolicesimo di maggioranza” (50% dei credenti italiani che si affacciano in chiesa nelle feste di Natale e Pasqua), caratterizzato dal  rispetto dei precetti più generali.  Il “cattolicesimo di minoranza“, (attorno al 30%), costituito da chi va a messa quasi tutte le domeniche, sembra resistere.  Il “cattolicesimo militante“(10%), che raggruppa  animatori  parrocchiali e membri dei movimenti ecclesiali, pare invece rafforzarsi. [27]
Per F. Garelli cresce “un’appartenenza senza credenza” tra i credenti che si definiscono cattolici, ma vivono in modo del tutto secolarizzato e indipendente dai precetti della Chiesa.[28] Anche l’insegnamento religioso scolastico (IRC) viene giudicato una anomalia, in particolare dal mondo laico, in sua società sempre più pluralista. [29] Tuttavia la maggioranza della popolazione e degli studenti  vede invece in modo favorevole l’educazione religiosa istituzionale[30] :  il 60,9% vorrebbe lasciare l’IRC com’è, con un 17,4% che chiede maggiore attenzione alle altre fedi. Il 54,6% lamenta il poco spazio dato dalla scuola alle questioni religiose e ai valori spirituali ed il 60,6% ritiene che “bisognerebbe riservare in tutte le scuole un momento di preghiera, di meditazione, di riflessione”. [31]
Secondo gli studiosi, la trasformazione della sensibilità religiosa è riconducibile  principalmente ad alcuni fattori: la diffusione della multi cultura e della multi religiosità, l’emergere di individualismi religiosi e di spiritualità alternative, la riaffermazione dell’identità in conseguenza dell’immigrazione musulmana, la persistenza di un diffuso sentimento religioso. Il  nuovo quadro educativo chiede un’evoluzione dell’educazione religiosa che non può porsi solo obiettivi informativo – espositivi, ma deve necessariamente porsi anche obiettivi preformativi, cioè esperienza, passione e calore.[32]
 
 

2. PER CAPIRE E INTERPRETARE I CAMBIAMENTI EDUCATIVI

 
Abbiamo voluto dedicare nel primo paragrafo un ampio spazio all’esame del contesto pedagogico didattico attuale per individuare alcune condizioni della domanda educativa oggi in Italia. In questo quadro di riferimento intendiamo situare la nostra proposta educativa ermeneutica esistenziale  che a nostro parere costituisce sul piano religioso una adeguata e valida risposta alla domanda  educativa odierna.
In questo secondo paragrafo vorremmo invece illustrare alcune categorie pedagogiche che possono aiutare ad interpretare la complessa condizione educativa su esposta, ad individuare correttamente percorsi di risposta e ad immaginare nuove piste per  l’educazione religiosa del futuro.
Alcuni elementi della tradizione educativa rimangono tuttavia imprescindibili e a partire da essi sarà possibile pensare l’innovazione. Essi sono:
1)     I mediatori cognitivi: lezioni, manuali, lavori di gruppo,  ambienti di ricerca;
2)     I luoghi di apprendimento:aule/classi, laboratori, atelier, ambienti extramenia;
3)     Gli attori della formazione:  insegnanti, genitori, animatori, operatori culturali, ecc.[33]
 
Per quanto invece riguarda le categorie pedagogioche che possono orientare la comprensione e l’interpretazione della complessa condizione educativa si può far riferimento ad alcune coppie di prospettive, antinomiche, apparentemente contrapposte, ma coesistenti e vere entrambe nel loro intrecciarsi: Innovazione – tradizione; Emergenza – Sistema; istituzionale -Informale; Autonomia – Condivisione; Studio – Esperienza; Convergere – Divergere.
Queste dicotomie dialettiche ben descrivono l’attuale condizione di trasformazione dell’educazione che deve misurarsi e saper dare risposta ad una complessità apparentemente contraddittoria.  Sono categorie che consentono anche di  guardare avanti con uno sguardo prospettico per individuare alcune linee orientative.
 
Innovazione – Tradizione
In seguito alla crisi globale la pressione dell’innovazione sul mondo dell’educazione è oggi sempre più forte e non è facile capire cosa conservare della passata tradizione educativa e cosa innovare. Siamo di fronte ad una spinta innovativa che sembra leggittimarsi e imporsi da sé stessa, apparentemente senza una chiara finalità. È solo grazie ad una forma mentis riflessiva critica, problematica che si può mediare tra innovazione tecnologica e storia. Compito dell’educazione è formare nel soggetto che apprende l’habitus dell’innovazione fatto di capacità  interpretative, creative, attive e responsabili per rimanere dentro le storie,  le abitudini, le istituzioni  ricche di valore del passato. L’innovazione deve lasciarsi sfidare dalla tradizione. La tradizione è insieme  vincolo e possibilità dell’innovazione.   Per integrare Innovazione e tradizione l’educazione deve promuovere alcune attenzioni: sviluppare il pluralismo dei linguaggi e la dialettica delle formae mentis, porre al centro l’apprendere ad apprendere per tutta la vita, sviluppare la ricerca in un riflessivo conflitto delle interpretazioni, ricercare nella cura di sé una identità spirituale, saldare professionalità e riflessività, sviluppare un possesso critico e competente dei media, progettare, verificare e valutare un’educazione delle competenze, formare docenti “nuovi” legati al paradigma della ricerca, legare in modo integrato e dialettico/ critico, tradizione e ricerca.[34]
 
Emergenza – Sistema
L’educazione è ormai profondamente influenzata dalle logiche del Wewb 2.0 che hanno profondamente cambiato i comportamenti sociali, formativi ed educativi  entrando a volte in forte contrasto con il sistema educativo formale, immobile e ostile ad ogni forma di cambiamento. Le spinte innovative vanno spesso a scontrarsi con le capacità degli insegnati e sovente con il supporto logistico delle strutture scolastiche. Non sarà facile innovare il sistema educativo senza armonizzare spinte centripete e centrifughe. Sarà possibile armonizzare i contrasti tra emergenze educative e sistema recuperando alcuni riferimenti paradigmatici: lo spirito della bottega come modello e ambiente di apprendimento costruttivo, la promozione di capacità comunicative e collaborative avanzate, l’educazione alla flessibilità mentale di fronte a problemi reali differenti.[35]
 
Istituzionale – Informale
Le istituzioni educative sorte in altri contesti culturali non sono più adeguate a gestire la transizione verso le logiche informali dei nuovi media digitali, oggi emergenti. In futuro non potranno esistere strutture educative che non utilizzino le potenzialità offerte dai media informatici. Essi costituiranno il riferimento a cui ispirarsi per l’innovazione educativa.
Va progressivamente rivisto il rapporto tra l’educazione informale e quella istituzionale. Le istituzioni educative, ancora importante riferimento per superare lo spaesamento dell’innovazione,  saranno, in futuro, progressivamente marginalizzate e se vorranno sopravvivere dovranno rivedere le strategie educative tradizionali per accogliere creativamente la nuova logica della comunicazione che si è affermata attraverso la Rete e la diversa socialità che pervade tutta la vita. L’integrazione tra la spinta istituzionale e informale si può trovare cominciando a considerare e trattare le grandi piattaforme informali che hanno funzioni educative, come vere e proprie istituzioni educative, alla pari delle istituzionali tradizionali.[36]
 
Autonomia – Condivisione
Il tema dell’autonomia da alcuni decenni è dominante nel dibattito educativo italiano. Ma l’autonomia non riguarda solo il modo di predisporre e organizzare gli spazi e i tempi dell’apprendimento perché chi apprende trovi il suo luogo di elezione ed insieme siano facilitati e promossi il senso di comunità, lo scambio, la creatività. Autonomia e condivisione troveranno una integrazione aprendo i  confini dell’educazione sugli spazi del fuori e sui tempi dell’oltre educativo istituzionale. L’educazione potrà così gradualmente passare dal modello consolidato di organizzazione illuministico, trasmissivo, deduttivo, gerarchico, quantitativo, disciplinare, enciclopedico, verso un modello adattabile, reattivo, neutro, connesso al sistema mondo, aperto, fluido, multifunzionale, accessibile, condivisibile, aggregativo, comunicativo.
Si apriranno conseguentemente ampi scenari educativi per la co-creazione della conoscenza. Parliamo di parchi tematici (learning park), porzioni di territorio, a forte connotazione tematica: scientifici, letterari, tecnologici, archeologici, ecc. In questo nuovo scenario diverranno sempre più indefiniti i confini temporali e fisici tra apprendimento, lavoro, relax, trattenimento, sport, ecc. [37]
 
Studio – Esperienza
I processi educativi oggi fanno riferimento generalmente a due modelli di
apprendimento. Il primo, che potremmo definire simbolico,  tipico della tradizione,  consiste nel trasmettere le conoscenze già esplicitate, organizzate e codificate. L’apprendimento simbolico centrato sullo studio del testo risulta in genere difficile, faticoso, demotivato.  Il secondo modello, che potremmo chiamare esperienziale, consiste nel favorire un apprendimento centrato sulla scoperta della verità attraverso tentativi, prove ed errori. In questo modello tipico della “ricerca-azione” e molto motivante, la verità si raggiunge attraverso cicli progressivi di: azione, osservazione, correzione e nuova azione, attraverso i quali si progetta, si osservano i risultati e si correggere l’errore.
L’integrazione tra queste due didattiche molto diverse, e a volte contrapposte, non risulta semplice a livello dell’istituzione educativa orientata ancora sul modello simbolico e sulle conoscenze teoriche su base disciplinare.  Il progressivo superamento delle contrapposizioni sarà possibile attraverso la creazione di gruppi di apprendimento sperimentali, una adeguata formazione degli insegnanti e la creazione di idonei strumenti didattici (giochi, simulatori, ecc.). Tale apprendimento flessibile procede per problemi conoscitivi concreti e utilizza procedure di comparazione e validazione. Una conoscenza non esplicita e dichiarativa, ma implicita legata a circostanze concrete e costruita per via esperienziale.[38]
 
Convergere – Divergere. 
I sistemi educativi devono misurarsi oggi con una dinamica che li spinge contemporaneamente verso la convergenza e la divergenza. Le istituzioni educative devono da una parte convergere verso la cultura sociale in cui si trovano (modello top-down), ma dall’altra promuovere contenuti innovativi (modello bottom-up) per sostenere la nuova prospettiva antropologica che sta nascendo. L’integrazione tra le due spinte potrà trovarsi in istituzioni educative che diventino ambienti di ricerca e costruzione del nuovo per diffondere nella società la nuova mentalità. Sarà possibile collaborare tutti, con le particolari competenze e abilità di ciascuno, alla ricerca e costruzione del nuovo a partire dai fatti per poi divergere sulle interpretazioni e sulle possibili vie di soluzione. Alla base vanno individuati punti chiari di riferimento sui quali esprimere il proprio convergere e divergere. Un convergere che superi l’attuale  deriva sociale, economica, politica, comunicativa, culturale e morale in cui ci muoviamo, ma anche un divergere coraggioso e libero capace di progettare un futuro migliore.[39]
 
 
3.  QUALI VIE PER RISPONDERE ALL’EMERGENZA EDUCATIVA: NELL’EDUCAZIONE RELIGIOSA?
 
Il quadro sopra esposto intendeva far emergere le domande educative presenti in Italia in questa fase di emergenza educativa con le quali l’educazione religiosa deve confrontarsi per individuare possibili percorsi di risposta. Dal quadro delineato emergono sostanzialmente due prospettive. La prima concepisce il processo educativo come  una fedele trasmissione dei contenuti di verità da accogliere e restituire correttamente. La seconda come un processo esperienziale dinamico e creativo di ricerca condivisa della verità, che utilizza tutte le risorse disponibili nel contesto di vita di chi apprende.
L’analisi della condizione educativa della catechesi alla luce di queste due prospettive che caratterizzano oggi l’educazione in Italia ci consente un interessante riflessione.
La scelta compiuta dal Sinodo del 1985 a favore di un sussidio catechistico, il CCC, per tutta la Chiesa, segna un cambiamento di rotta nel campo dell’educazione religiosa e compie una scelta, opposta a quella del Concilio, preoccupata più dell’aspetto contenutistico e trasmissivo. Si tratta indubbiamente di una reazione critica nei confronti di tante opzioni compiute dalla catechesi postconciliare e di un abbandono della prospettiva esperienziale antropologica tipica del postconcilio, che aveva rinnovato nel metodo e nei contenuti i processi educativi, ponendosi in atteggiamento di attenzione nei riguardi dei soggetti della catechesi.[40]
Per ribadire la dottrina tradizionale giudicata in crisi tornano così numerose traduzioni e ristampe del Catechismo Tridentino, il Catechismus ad parochos,[41]  e di quello di Pio X,[42] e si diffonde il rifiuto e l’integrazione, su schemi tradizionali, dei catechismi elaborati dalle Conferenze Episcopali e anche dalla CEI.
Una corretta comprensione teologica del problema, esclude sia la contrapposizione tra la dimensione antropologica e quella Kerigmatica, così come  la scorretta enfatizzazione di uno dei “poli” a scapito dell’altro.
Secondo vari teologi e catecheti “La situazione critica nella quale si dibatte la catechesi odierna invita a conferire ai processi di trasmissione del Vangelo una impostazione più kerygmatica che antropologica”.[43]  Secondo loro tra le due grandi vie percorribili dalla catechesi, cioè «la via ascendente che parte dall’esperienza e dalla vita dei catechizzandi e la via discendente che parte dal dato della rivelazione e dell’essenziale della fede»,[44] la catechesi più recente ha valorizzato di preferenza la via ascendente, ma  «oggi noi siamo invitati a ri-aggiustare il processo catechistico dando maggiore importanza all’accoglienza e alla scoperta della Buona Notizia perché essa è diventata estranea ai nostri contemporanei».[45]  Ci si orienta quindi verso la scelta della prospettica kerigmatica.
Altri autorevoli teologi e catecheti,  con l’avallo di autorevoli documenti magisteriali, hanno invece sviluppato la linea metodologica antropologico esperienziale che si è diffusa, in questi anni, in tutta la Chiesa, guidando la redazione di innumerevoli testi e sussidi catechistici.[46]
Siamo convinti che non esista una contrapposizione tra catechesi “antropologica” e catechesi “kerygmatica” e che, pur nella diversa accentuazione metodologica, esse debbano integrarsi. Siamo convinti che la visione pedagogica ermeneutica esistenziale, che esporremo nei prossimi articoli, sia in grado di valorizzare e integrare le due prospettive. Se poi facciamo riferimento all’attuale condizione dell’educazione in Italia e alle prospettive future che si annunciano, crediamo che la scelta ermeneutica-esistenziale possa rispondere meglio all’attuale sensibilità educativa e alle domande  che l’attuale contesto educativo esprime.
 
CONCLUSIONE
 
Gli interrogativi emersi, in particolare nel terzo paragrafo, sono di grande rilievo.  È in gioco non solo un problema metodologico, ma più profondamente un modo di intendere la natura dell’annuncio cristiano e la forma storica in cui deve realizzarsi. E’ tuttavia nostra intenzione approfondire la dimensione educativa del problema mantenendo, però, una stretta relazione con  il soggiacente nodo pastorale e teologico. Siamo, in ogni caso, convinti che l’educazione religiosa, come ogni educazione,  è coinvolgimento dell’uomo nella sua vita e nel suo mistero. L’integrazione di teologico e antropologico è imposta all’azione pastorale della Chiesa come una necessità assoluta non da strategie comunicative di breve durata, ma dalla natura stessa della Rivelazione.[47] L’attuale contingenza educativa lo ha richiamato e anche il Concilio lo ribadisce con chiarezza: “Con questa rivelazione infatti Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé»(DV 2). “Questa economia della rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto”(DV 2).

 


[1]           M.BENASAYAG – G. SCHMIT, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano 2009.
[2]           Nelle ultime rilevazioni di Eurostat, l’Italia ha fatto registrare una percentuale di abbandoni scolastici precoci del 19,7% (cioè quasi un giovane su cinque).
[3]           L’iter legislativo della legge di “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione” si è  concluso con il voto definitivo del senato e la pubblicazione in gazzetta il 15 luglio 2015.
[4]           L’ex Ministro delle Finanze italiane G.Tremonti, nel suo libro Uscita di sicurezza, afferma che non usciremo dalla crisi con  manovre economiche o finanziarie, esse sono sì necessarie ma non sono sufficienti.[4]  Stiamo vivendo un cambio di paradigma.  G. TREMONTI, Uscita di sicurezza, Rizzoli, Milano, 2012, pp.151-183
[5]  Z.TRENTI – R.ROMIO, Pedagogia dell’apprendimento nell’orizzonte ermeneutico, Elledici, Torino 2006, pp.44-59.
[6]  R.ROMIO, Verso una didattica delle competenze religiose, in Z.TRENTI-C.PASTORE (a cura), Insegnamento della religione competenza e professionalità, Elledici, Torino 2013, pp.213-220
[7]      E. DE BONO, Il pensiero laterale, BUR, Milano, 2000.
[8]      “Il pensiero divergente è una capacità essenziale per la creatività, è l’abilità di vedere molteplici risposte ad una medesima domanda”.  Cfr.  J. P. GUILFORD, Creativity, in “American psychologist”, 1950, V, pp. 444-454;  J. P., GUILFORD, The nature of human intelligence, New York 1967.
[9]      F.ANTINUCCI, Algoritmo al potere. Vita quotidiana ai tempi di Google, Editori Laterza, Roma-Bari, 2009.
[10]    I bambini sono più portati a vedere le cose lateralmente, ma i luoghi in cui i bambini crescono invece di sviluppare e articolare il loro pensiero, spesso lo standardizzano su schemi precostituiti. La scuola è come una catena di montaggio: “Ci sono le campanelle, delle strutture separate, gli alunni si specializzano in materie diverse. …”K. ROBINSON, Cambiare i paradigmi dell’educazione,  http://youtu.be/SVeNeN4MoNU;K.ROBINSON,Says schools kill creativity, http://youtu.be/Jl89h_PLNcw
[11]    F. CELI – D. FONTANA, Fare ricerca sperimentale a scuola. Una guida per insegnanti e giovani ricercatori, Erikson, Trento, 2003, pp.198-216
[12]    Secondo Sir Ken Robinson la scuola di oggi è stata concepita “nel clima culturale e intellettuale dell’Illuminismo e nelle circostanze economiche della prima rivoluzione industriale”. Le scuole sono ancora organizzate sul modello della linea di produzione, come in una fabbrica. KEN ROBINSON, The Element: How Finding Your Passion Changes Everything, Penguin/V http://youtu.be/Jl89h_PLNcw iking 2009
[13]    LUCA TOSCHI, La comunicazione generativa, o.c., pp,185-190.
[14] S.CICATELLI, La scuola delle competenze, Elledici-Capitello, Torino 2011, pp.23-24
[15] M.PELLEREY, Le competenze individuali, Nuova Italia, Milano 2004, p.12
[16]   W.LEVATI – M. V.SARAO, Il modello delle competenze, FrancoAngeli, Milano, 2003.
[17]               La posizione antropocentrica trova espressione nel documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità intitolato Life skills education in schools(1993), che individua dieci competenze che la scuola dovrebbe promuovere nei suoi alunni le capacità di:
1) autocoscienza; 2) gestione delle emozioni; 3) gestione dello stress; 4) senso critico; 5) prendere decisioni; 6) problem solving);
7) creatività; 8) comunicazione efficace; 9) empatia; 10) relazioni interpersonali.
Cfr. P.MARMOCCHI, C. DALL’AGLIO,M.TANNINI, Educare le life skills.Le abilità psico-sociali  e affettive secondo l’OrganizzazioneMondiale della Sanità, Erickson, Trento 2004.
[18]   Cfr. I. FIORIN, La buona scuola. Processi di riforma e nuovi orientamenti didattici, La Scuola, Brescia 2008, pp. 22-23.
[19]    Le posizioni dell’Unesco, sono rappresentate dai Rapporti Faure (1972) e Delors (1995):
E. FAURE ET AL., Rapporto sulle strategie dell’educazione, Armando-Unesco, Roma 1973.
J. DELORS, Nell’educazione un tesoro (orig. 1996), Armando, Roma19992.
[20]    Dall’indagine 2012 ‘Abitudini e Stili di Vita degli Adolescenti’ della Società Italiana di Pediatria, emerge che tra gli adolescenti italiani, Facebook e gli smartphone sono ormai ‘fenomeni di massa’. Sono infatti 8 su 10 i tredicenni che hanno il profilo su Facebook (un anno fa erano il 10% in meno). E se per l’Autorità per le Tlc ormai il 30% dei telefonini italiani va su internet, molti sono in tasca agli adolescenti: il 65% del campione ne possiede uno.
[21]    P. HIMANEN, L’etica e lo spirito dell’età dell’informazione, Feltrinelli, Milano 2001
[22]    P.C. RIVOLTELLA, Di fronte ad una nuova scena educativa, in L. PAOLINI, Nuovi media e web 2.0. Come utilizzarli  a scuola e nei gruppi, EDB scuola, Bologna, 2010, pp. 7-9.
[23]    La Net Generation di oggi, è la prima generazione a raggiungere la maturità nell’era digitale. DON TASCOTT, Net generation. Come la generazione digitale sta cambiando il mondo, Franco Angeli, Milano, 2011, pp. 35-87.
[24] F. FRABBONI, Le vie della formazione. Scuola e sfide educative nella società del cambiamento, Erikson, Trento 2013, pp. 31-36
[25]    A.CASTEGNARO, Fuori dal recinto, Giovani, fede e chiesa, uno sguardo diverso, Editrice Ancora Milano, 2013.
[26]    Un fenomeno crescente e sicuramente espressione della nuova religiosità giovanile dei Millennials  italiani,  protagonisti delle Giornate mondiali della gioventù. Altra forte presenza è quella dei movimenti ecclesiali che costituiscono cammini di comunione ecclesiale e formazione permanente.
FRANCO GARELLI, Religione all’italiana, il Mulino, Bologna 2011
ROBERTO CARTOCCI,  Geografia dellItalia Cattolica,  il Mulino, Bologna 2011M.
MARZANO, Quel che resta dei cattolici. Inchiesta sulla crisi della chiesa italiana, Feltrinelli, Milano, 2012
[27]    R. CARTOCCI, Geografia dell’Italia cattolica, Il Mulino, Bologna 2011, pp. 11-19; 127-142.
[28]    FRANCO GARELLI, Religione all’italiana, il Mulino, Bologna 2011, pp. 161- 234
[29]    Ibid., pp. 169-174. Si sottolinea in particolare: l’insegnamento del cattolicesimo piuttosto che delle diverse religioni, il pagamento dei docenti da parte dello stato e la selezione da parte della chiesa, l’assenza di proposte alternative, ecc,  Non ostante la scelta dell’IRC da parte del 90% degli studenti del primo ciclo e del 83,5% nel secondo ciclo. Non va dimenticato  il fatto che esso è più rifiutato al nord e in particolare nelle aree metropolitane.  In Toscana, Liguria e Piemonte non si avvale quasi il 30%,  mentre nella città di Milano quasi la metà. CEI, Annuario IRC: http://www.chiesacattolica.it/cci_new_v3/s2magazine/index1.jsp?idPagina=236
[30]    Solo il 10% degli studenti rifiutano l’IRC (17% nella scuola secondaria II grado). Il 30% della popolazione rifiuta l’IRC nella scuola pubblica. Il 4,9 vorrebbe sostituirla con una materia di argomento non religioso.
[31]               F. GARELLI, Religione all’italiana,o.c., p. 173-174. Chi difende lo status quo, sono le persone meno aperte: anziani, meno istruiti, residenti al sud. Chi lo vuole sostituire con storia delle religioni è giovane, laureato, abitante del centro nord. Chi osteggia apertamente l’IRC sono i non credenti o aderenti alle altre minoranze religiose.
[32]               G.RAVASI, In una Fondazione strutturiamo il confronto, intervista a G. Ravasi a cura di L. Fazzini,“Avvenire”, 25 febbraio 2010
[33] F. FRABBONI, Le vie della formazione, o.c., p.63
[34] A. ANICHINI (a cura), La didattica del futuro, Pearson, Milano 2012, pp.1-21
[35] Ibid. pp. 23-34
[36] Ibid. pp. 35-65
[37] Ibid. pp. 67-76
[38] Ibid. pp. 77-93
[39] Ibid. pp. 95-133
[40] Cf J. GEVAERT, Prima evangelizzazione. Aspetti catechetici, Torino-Leumann, Elledici 1990, pp. 23-24.
[41]          Cf, ad es., T.S. CENTI (ed.), Catechismo Tridentino (Catechismo ad uso dei parroci pubblicato dal Papa S. Pio V per decreto del Concilio di Trento), Siena, Cantagalli 1981.  L. ANDRIANOPOLI (ed.), Il Catechismo Romano commentato. Con note di aggiornamento teologico-pastorale, Milano, Ares 1983; ibid., alle pp. XIII-XX: P. RODRÍGUEZ, Attualità del “Catechismo Romano”; contributo riproposto anche in «Studi Cattolici» 27 (1983) 779-783.
[42]  U. GIANETTO, Edizioni recenti dei catechismi di S. Pio X. Catechismi nuovi o ri­torno al passato?, in Csi 46 (1977) 1, 70‑77; G. Panfilo, «Fascino» discre­to del passato, in «Evangelizzare» 7 (1982) 397‑400; E. Gazzotti, Come tradire S. Pio X e vivere felici, in «Evangelizzare» 9 (1984) 634‑639. P. Gnarocas, Catechismo aggiornato della Dottrina Cristiana di S. Pio X, Udine, Segno 19945 ( Accenti negativi anche nel dossier Ritorniamo al catechismo di S. Pio X?, in «Evangelizzare» 32 (2002-2003) 149-171.
[43] D. VILLEPELET, L’avenir de la catéchèse, Paris, Éditions de l’Atelier-Éditions Ouvrières – Bruxelles, Lumen Vitae 2003, p. 35.
[44] G. BIANCARDI – A. BOZZOLO, Epifania del Signore e cammino dei Magi. Spunti di riflessione sul metodo della catechesi, in Csi 74 (2004-2005) 2, 17-27.
[45]  D. VILLEPELET, L’avenir de la catéchèse, o.c., p. 36.
[46]   Il Gruppo di “Catechesi”, Fede ed esperienza nella catechesi, Torino-Leumann, Elledici 1982, specialmente, alle pp. 14-38: E. Alberich, Fede ed esperienza nel movimento catechistico postconciliare. Istanze, realizzazioni, problemi, già in Csi 50 (1981) n. 17, 13-37; J. Gevaert, La dimensione esperienziale della catechesi.
[47] G. BIANCARDI – A. BOZZOLO, EPIFANIA del Signore e cammino dei Magi, o.c., p.27