Paolo Albertini, liutaio studioso di canto dhrupad e cultore del suono
 
Paolo Albertini è un raro caso di liutaio di strumenti indiani italiano, che in particolare si dedica alla costruzione di cordofoni come tanpura e sitar, ma ha anche una passione nota per salteri e arpe e una segreta per antichi liuti indiani come la vina. Mentre il sitar è abbastanza noto in Occidente, molti lo confondono spesso con il tanpura a uno sguardo superficiale, perché entrambi sono liuti con forma affine, anche se ci sono modelli portatili di tanpura senza la zucca di risonanza più distinguibili dal sitar. Tuttavia il tanpura, a differenza del sitar, non è tastato e funge unicamente da bordone nella musica colta indiana. Non è uno strumento solista, ma è onnipresente e la sua accordatura è un processo meticoloso e fondamentale che richiede molta esperienza soprattutto per i cantanti indiani. Paolo Albertini svolge l’attività di liuteria nella sua abitazione-laboratorio di Verona che ha chiamato Naad Sounds e intraprende questo percorso di pari passo con lo studio trentennale della musica indiana, inizialmente attraverso il sitar e poi il canto nello stile dhrupad. La sua ricerca di un suono puro lo porta a voler unire la precisione della scienza acustica di impostazione occidentale alla profondità delle sonorità indiane con un percorso personale che asseconda la tradizione con rispetto solenne senza farsene limitare, addirittura creando un suo strumento ibrido nuovo. Fondamentale in questo è il suo percorso vocale nel genere dhrupad al quale dimostra rara dedizione. I suoi strumenti si distinguono da quelli indiani per il design unico e pulito e in particolare quelli realizzati interamente in legno combinano la maneggiabilità del peso leggero alla notevole capacità di risonanza a parità di dimensioni. Per i cultori della musica indiana in Italia è una rara opportunità avere a disposizione un artigiano che possa assisterli nella personalizzazione, il restauro e la conoscenza di questo tipo di strumenti così particolari.
 

Come mai hai scelto il nome Naad Sounds per la tua attività di liuteria?
Questo è un riferimento al naad (suono), a questa pulsazione, vibrazione che permea il creato e sounds, come sostantivo indica i suoni, quindi l’ambizione è che i miei strumenti possano manifestare i suoni che derivano direttamente dal naad. Ma ‘naad sounds’, quindi sounds come verbo, significa ‘risuona’ e dunque è il contrario, cioè l’ambizione che naad possa risuonare all’interno dei miei strumenti musicali.

 

Come è iniziato e si è evoluto il tuo percorso nella liuteria?
Una trentina di anni fa, all’età di 13 anni ho fatto un esperimento con mio padre seguendo le indicazioni in un libro di scuola e abbiamo installato delle corde su un pezzo di legno, lui ha procurato le meccaniche di una chitarra e la magia che ho percepito nel sentire questo suono riprodotto dal legno facendo vibrare soltanto delle semplici corde, che da sole non producevano nessun suono, mi ha trasmesso un’ispirazione incredibile. Da lì ho cominciato a sperimentare sempre di più con il suono, a produrre il suono dal legno attraverso la vibrazione delle corde. Nello stesso anno ho incontrato i suoni della musica indiana grazie all’ascolto di alcune colonne sonore alla televisione, o ascoltando anche dei brani di alcuni cantanti italiani che avevano inserito il sitar in alcune loro canzoni e sono rimasto folgorato da questo sound. Questo suono mi lanciava in una dimensione interiore come altri suoni non riuscivano a fare. Queste sono state le scintille che hanno innescato il mio percorso all’interno della liuteria e verso la musica classica indiana. Poi mi sono avvicinato allo studio del sitar a 15 anni, però non mi limitavo soltanto allo studio della tecnica esecutiva, a me interessava particolarmente capire la tecnologia alla base dello strumento e quindi ho cominciato non solo a suonarlo ma anche a studiare ogni sua parte anche smontandolo per capire come il suono e la risonanza venivano prodotti, come le corde dello strumento permettevano di ottenere quel tipo di vibrazione, di magia. Ovviamente smontavo le parti che si potevano smontare senza dover stravolgere lo strumento, quindi i piroli, il ponte, le corde, analizzavo lo strumento guardando attraverso i fori per capire com’era costruito dentro per poi rimontarlo e perfezionarlo. Quindi il mio intuito e la mia ispirazione, l’amore per il legno, per i lavori manuali e la musica mi hanno permesso di portare avanti contemporaneamente lo studio della musica indiana e la liuteria. Ho, così, iniziato a definire meglio quali strumenti volevo costruire e il primo strumento è stato proprio un sitar costruito in maniera molto semplice, poi ho costruito una cetra, poi sono passato a una chitarra e poi a il mio primo tanpura nel 1998. Tutt’ora ho questo piccolo tanpura e suona bene. Poi c’è stata un’evoluzione che riguarda l’attività del mio laboratorio… Io ho iniziato dedicandomi alla costruzione delle chitarre principalmente, l’esperienza con il sitar era a livello proprio molto amatoriale. Dopodiché ho ampliato la gamma degli strumenti impiegando quello che avevo imparato costruendo le chitarre nella costruzione degli strumenti che veramente mi interessavano, che sono tutti i cordofoni e in particolare i salteri. Quella degli strumenti indiani è stata la direzione naturale che le cose hanno preso quando, studiando la musica indiana, successivamente mi sono dedicato agli strumenti che più mi interessavano, quindi i salteri e, in questo ambito, i salteri della musica indiana.
 

Attualmente costruisco, a parte i liuti intesi come famiglia di strumenti musicali, salteri, arpe, lire e strumenti per la musicoterapia. E poi il mio interesse è quello di costruire anche strumenti che non esistono, che magari le persone si immaginano.
 

Costruisci anche santur (salterio a percussione indiano)?
Ho costruito un salterio a percussione occidentale molto simile al santur, l’ho costruito per una musicista, ma non è un santur vero e proprio, è una versione occidentale del salterio a percussione.
 

Nella liuteria che formazione hai avuto?
Per me è importante ricordare gli studi superiori che ho fatto, ho frequentato un istituto tecnico per geometri perché volevo portare avanti questo aspetto della progettualità e della tecnologia, lo studio dei materiali e della matematica e quindi per me era importante approfondire questo aspetto che si ritrova nell’ambito della liuteria. Non ho mai voluto fare il geometra, però avevo bisogno di questo tipo di studio per comprendere come funzionano i materiali, come reagiscono quando sono sottoposti a certe pressioni e per studiare la matematica che è alla base della musica. Successivamente sono andato a Cremona e mi sono procurato i testi della scuola di liuteria di Cremona, però ho studiato autonomamente portando avanti a casa le mie sperimentazioni di liuteria. Col passare del tempo andando in India ho visitato dei laboratori, ho visto come funziona la liuteria in India e ho cominciato a frequentare un laboratorio di liuteria di Verona dove si costruiscono chitarre, soprattutto chitarre acustiche, mi è stato permesso di frequentare questo laboratorio dove ho potuto vedere un altro approccio riguardo la costruzione degli strumenti musicali e confrontarmi con dei costruttori locali di strumenti. Contemporaneamente ho avviato il mio laboratorio di liuteria Naad Sounds a casa.
 

Dato che hai potuto vedere da vicino la liuteria sia in India che qui, quali sono le differenze maggiori che hai trovato, o comunque che ti hanno colpito di più?

In Occidente ci sono due tipi di liuteria; c’è quella classica secondo la quale gli strumenti vengono prodotti seguendo una metodologia che ha un corpus di conoscenze che vanno prima studiate e sperimentate, quindi si prevede una teoria e una pratica. Poi esiste una liuteria invece più industriale, o semi-industriale, dove molti passaggi vengono saltati, tenendo comunque in considerazione il prodotto finale da ottenere. La liuteria in India è molto diversa da vari punti di vista, prima di tutto è un lavoro che viene tramandato di padre in figlio, quindi è un lavoro che non viene scelto, ma si porta avanti per la propria sussistenza, come tutto del resto in India. Ci sono anche qui dei gharana (scuole tradizionali) di liuteria, soprattutto una volta, adesso molto meno. La liuteria è gestita in modo molto diverso perché ci sono i liutai che sono aiutarti da artigiani con enorme manualità, ma che riescono a fare magari un solo tipo di lavoro, spesso non sanno neanche leggere e scrivere, ma si dedicano a bassissimo costo a costruire piccole parti degli strumenti, che poi vengono assemblate da un liutaio con più conoscenza globale dello strumento. Adesso la liuteria è cambiata ulteriormente anche in India, ci sono famiglie che si dedicano soltanto a costruire parti di strumenti che poi viaggiano per l’India e vengono assemblate in varie località. Non c’è dietro un pensiero, non c’è una teoria, non c’è un corpus di conoscenze specifico.

 

Continua sul Blog Foolk magazine, 19 settembre 2020

https://www.blogfoolk.com/2020/09/paolo-albertini-liutaio-studioso-di_19.html?m=1&fbclid=IwAR3Tvfw3MAAejVifhySQLITU6z0iOmcQjMVoGQeeoF7QvX_nWPlqa24d3d8 Marged Trumped,