Per la gestione dell’emergenza della discriminata minoranza musulmana Rohingya, sulla leader birmana sono piovute critiche da tutto il mondo e c’è addirittura chi ha chiesto la revoca del Nobel per la Pace che le era stato conferito nel 1991 per la sua lotta tenace contro i soprusi e per la democrazia.
Pubblichiamo sul tema la lettera della senatrice emiliana del Pd Albertina Soliani (fondatrice dell’associazione per l’amicizia Italia-Birmania Giuseppe Malpeli) che parla della situazione della minoranza Rohingya in Myanmar e dell’operato di Aung San Suu Kyi oggi. Si tratta di una lettera data 31 ottobre. Pensiero che si può sintetizzare in un passaggio della lettera: «Ho sperimentato che il mondo e i problemi si vedono in modo diverso a seconda del luogo in cui sei – scrive la Soliani –. L’orizzonte è sempre più largo. Là ho capito, su quel dramma (dei musulmani Rohingya, ndr), che vi sono, intrecciate, regie diverse. La regia dei militari, tesa a indebolire lei (Aung San Suu Kyi, ndr) e il suo governo, a legittimarli di nuovo come i salvatori. La regia dei terroristi, del gruppo Arsa, impegnati a tenere aperto il conflitto, forse con l’obiettivo di costruire là uno stato islamico, usando i rohingya contro l’esercito e spingendoli in Bangladesh soto la minaccia delle armi. Uccidono, incendiano, è stata trovata una fossa comune di un centnaio di indù. C’è la regia dei Paesi occidentali, certo solidali con i mussulmani vittime dell’ondata di violenze, senza patria da secoli, ma anche interessati, con una campagna senza sosta, a delegittimare Aung San Suu Kyi, a colpirne l’immagine sul punto più esposto: i diritti umani. Il fatto è che si aspetavano da lei, una volta andata al potere, che aprisse il Paese ai loro interessi, che fosse un baluardo contro la Cina. Questo non è accaduto, non poteva accadere».
 
 
La lettera
Cari Amici,
sono tornata una setmana fa dalla Birmania, tornerò là il 17 novembre. Tuto è così naturale, fnché la vita mi sostene. L’amicizia è condivisione, specialmente nei moment difcili. E oggi la Birmania ha tuto davant a sé, lo sviluppo, la democrazia, la pace.
Aung San Suu Kyi mi aspetava. Mi ha parlato a lungo, mi aveva anche chiesto di organizzazioni non governatve italiane disposte ad aiutare le popolazioni del Rakhine State, oggi il luogo più caldo, al confne con il Bangladesh: i rohingya, gli indù, i buddist. Poveri e da sempre in confito. Va sulla fducia.
Era con me Virginia, interprete non solo delle parole ma dell’anima del suo Paese.
Portavo con me la pena della voce dell’Occidente, dura con lei. Volevo capire, non mi era mai bastato quello che i media dicevano, soto c’era dell’altro. Ho sperimentato che il mondo e i problemi si vedono in modo diverso a seconda del luogo in cui sei. L’orizzonte è sempre più largo. Là ho capito, su quel dramma, che vi sono, intrecciate, regie diverse. La regia dei militari, tesa a indebolire lei e il suo governo, a legitmarli di nuovo come i salvatori. La regia dei terrorist, del gruppo Arsa, impegnat a tenere aperto il confito, forse con l’obietvo di costtuire là uno stato islamico, usando i rohingya contro l’esercito e spingendoli in Bangladesh soto la minaccia delle armi. Uccidono, incendiano, è stata trovata una fossa comune di un centnaio di indù. C’è la regia dei Paesi occidentali, certo solidali con i mussulmani vitme dell’ondata di violenze, senza patria da secoli, ma anche interessat, con una campagna senza sosta, a delegitmare Aung San Suu Kyi, a colpirne l’immagine sul punto più esposto: i dirit umani. Il fato è che si aspetavano da lei, una volta andata al potere, che aprisse il Paese ai loro interessi, che fosse un baluardo contro la Cina. Questo non è accaduto, non poteva accadere. Mi ha deto Thant Zin: lei non è stupida. E allora si può togliere, con un gesto simbolico e plateale, il suo ritrato da Oxford, demolirne l’immagine. Davvero il denaro, il potere, le armi pretendono di governare il mondo, passando sopra in un baleno la verità delle cose e delle persone. Con i media al loro servizio, perfno con le notzie false. E Aung San Suu Kyi? Sa tuto, la debolezza politca dell’Occidente, con il ruolo dell’informazione e il condizionamento del consenso, gli interessi e le convenienze, l’incognita del terrorismo. Temevo fosse provata. Mi ha accolto con queste parole, come vi ho deto a caldo: Albertna, sei pronta a correre?
Sta accelerando. Il tempo è breve, i rischi sempre in agguato. Con forza e fducia, con grande vicinanza ci ha raccontato la sua strategia. Percorre il sentero streto che le è consentto, sostenuta dal suo popolo. E dai suoi vicini, la Cina, il Giappone, l’India, la Corea del Sud, l’Australia. Dopo il Rapporto di Kof Annan, che aveva scelto subito come guida per il Rakhine, ha dato vita a Union Enterprise for Humanitarian assistance, Resetlement and Development in Rakine (Uehrd). Da lei presieduta.
Per realizzare tre obietvi: il ritorno dei rohingya, l’aiuto umanitario e l’assestamento della popolazione, lo sviluppo. Se entrano nel territorio i civili, le isttuzioni, gli aiut internazionali forse si restringe il campo del confito. Di questo ho parlato con i miei interlocutori, e della responsabilità di fronte a sé e al mondo che oggi investe per la prima volta nella sua storia il Myanmar. Il giorno dopo il nostro incontro Aung San Suu Kyi ha visto gli industriali del suo Paese, ha deto che toccava a tut nel Myanmar contribuire per aiutare il Rakhine. La risposta è stata molto forte, hanno fducia in lei.
Ho incontrato il Chief Minister U Phyo Min Thein e la Ministra Nilar Kyaw, appena rientrata dal Rakhine. Nella grande casa che è stata la residenza di Ne Win, il primo ditatore. Ho pensato a Giuseppe. Avevano desiderio di parlare, di ascoltare. Il Myanmar, appena venuto al mondo dopo il dominio coloniale e il regime ditatoriale, si è trovato nella bufera. Mentre la democrazia è solo un germoglio e tuto è possibile. Eppure lavorano prendendosi cura delle cose, pensano di potercela fare con la guida di Aung San Suu Kyi. Che vede più di tut le sfde e i rischi, eppure apre la strada a tutti.
È l’unità del Paese, compresi i militari. Me lo ha deto Phyu Phyu Thin, una sera nella sua casupola di parlamentare a Naypyidaw, una stanza divisa da un armadio, c’erano sua mamma, sua sorella, una collega.
Quando siamo arrivat in Birmania era stato arrestato il fglio di un Ministro del governo precedente, trafcava in armi. Mentre eravamo là c’è stato un grande incendio in un grande albergo storico, c’eravamo fermate a prendere un cafè qualche giorno prima. Forse l’incendio copriva trafci di armi. Tuto il mondo è paese, ma là è un paese speciale. La corruzione, i confit, la violenza convivono con la non violenza e il sogno di pace.
Ho incontrato il Ministro dell’Industria Aung Kyaw Zan e ho capito meglio l’interesse per il vetro. La Birmania di vetro, non di plastca, è il Paese che vogliono costruire, il sogno di bellezza di Aung San Suu Kyi. Forse l’ha pensato a lungo, dice Virginia, da quando era agli arrest. Ho visto il piano dei nuovi gratacieli di vetro di Yangon. Ho immaginato la lastra a colori di vetro sofato di Michele Canzoneri, forse sarebbe l’unica in Asia. Il Ministro ama il design italiano, guarda all’Italia nonostante gli investment dei vicini asiatci. Spero che possa venire in Italia. Le loro industrie sono ferme da anni.
Ho incontrato i docent della Facoltà di Medicina in rapporto con l’Università di Parma, e i medici di base della G.P. Society, e la dotoressa Wha Wha del Centro delle cure palliatve, appena all’inizio. È invitata a Parma a marzo. Ho parlato a lungo con Thant Zin, ho condiviso i suoi pensieri politci. Andrà presto a Sitwe, nel Rakhine, per fare un laboratorio di dialogo tra le religioni e le culture con gli insegnant.
A Rangoon accade anche che puoi incontrare per caso al ristorante Ko Tar, in una cità di quatro milioni di persone. Oppure, all’Hotel Max di Naypyidaw, a colazione, t può avvicinare una signora australiana, lì per insegnare inglese e comportament nuovi alle forze di polizia, e t chiede: lei è qui per il Monaco? (un famoso monaco buddista è lì per incontrare gli adept). Rispondo no, per Aung San Suu Kyi. Incredula e raggiante. Aung San Suu Kyi è il suo Paese, la sent ovunque. Incontro lì un giovane medico, Than Zoe, di G.P. Society, vuole aiutare da citadino lei e il suo Paese, sta elaborando proget di sanità.
Aung San Suu Kyi è una forza spirituale, checché ne dicano i media occidentali. Che peraltro di spirito si intendono poco. E così questa parte del mondo, la nostra, rischia di perdere l’anima e il resto. Una grande pena.
Atendono con speranza la visita del Papa a fne novembre. Incontrerà la spiritualità di Aung San Suu Kyi, loro si intendono. Così afrontano le soferenze del mondo. Dopo credo che niente sarà come prima.
Una sera, a Rangoon, sulla riva del lago Inja, ci siamo unit alla preghiera interreligiosa di centnaia di persone: buddist, mussulmani, indù, cristani. La spiritualità in Asia sarà una componente potente del mondo di domani. Insieme alla loro popolazione giovane, e all’economia della Cina. Con la famiglia di Virginia e altri amici, e Thura, siamo stat alla Pagoda Swedagon, abbiamo acceso centnaia di luci. Un altro modo per dire la speranza. Thura a terra inchinato davant al Budda, nella sera. Il suo piccolo Sithu Giuseppe cresce molto bene.
Tornerò là presto, a metà novembre e fno alla fne del mese. Compresa la visita del Papa. Per condividere con loro.
Il 18 novembre ALMA di Colorno porterà là la Setmana della Cucina Italiana. Proprio in quest giorni è uscito il libro che ne racconta il sogno avverato di Albino Ivardi Ganapini.
Grazie, Albino, di avere portato Parma e l’Italia nel mondo con ALMA. Anche in Birmania, come sai, formando Ye Ko, oggi capo cuoco in un ristorante sul golfo del Bengala nel sud del Rakhine. Verranno anche Leo Sarli e Clelia D’Apice per partecipare al Congresso di G.P. Society e costruire rapport di collaborazione. Verrà Alberto con qualche imprenditore interessato a operare in Myanmar. Verranno amici di Bergamo, anche per incontrare là il Papa. E a novembre partrà Caterina, per un anno di ricerca su Hiv e disabilità per la Bicocca di Milano.
A febbraio Sabrina, che di professione fa consulenza e certfcazione dei sistemi di gestone nel setore agro-alimentare, per tre mesi andrà in Birmania dai contadini per consigliarli sulla produzione di qualità del sesamo.
Ecco l’amicizia con la Birmania. Quella che Giuseppe ha cominciato con me, quando tuto era buio e chiuso, e ha proseguito con noi in quest anni straordinari. Incontrando le persone, il tesoro della Birmania, dell’Italia, del mondo.
Vi confermo che l’Italia c’è, con la sua politca, con la sua valorosa e apprezzata Ambasciata, con la sua Agenzia per la cooperazione e lo sviluppo tenacemente impegnata. La cultura, il cinema italiano, il Made in Italy sono present a Rangoon grazie alle iniziatve dell’Ambasciata. Anche nelle sedi internazionali l’Italia si muove con saggezza.
Può sembrare strana questa parte della mia vita. Eppure accolgo quello che mi viene incontro. Ciò che sto facendo, e mi sta coinvolgendo, dal Cervi alla Birmania, non nasce ora. Mi porta al cuore della resistenza morale per la democrazia e per il cambiamento del mondo che mi ha segnato la vita fn dall’inizio. Non importa dove. Importa invece che siamo insieme, in tant.
Con Aung San Suu Kyi, per sostenerne lo sforzo, oggi come ieri. Oggi mi appare perfno, se si può dire, più grande di ieri, così coerente e limpida nell’impegno di ogni giorno dentro la storia.
Il lavoro con le scuole, a Parma come a Treviglio, accompagna loro e noi nel cammino per un mondo migliore.
Poi torneremo là a dicembre con il viaggio di amicizia. E chissà, qualcuno prima o poi arriverà anche nel Rakhine. E’ la stessa terra, è la medesima umanità.
Vi darò notzie. Ma ormai il fume della vita e della storia le parole non riescono più a contenerlo. Capisco il silenzio di Aung San Suu Kyi. Talvolta non vi sono parole per dire pesi così grandi, o contraddizioni così dolorose, o di fronte a interessi di potere copert dall’ipocrisia. Capisco la sua accelerazione, sa che il tempo è questo. Il tempo per lei è sempre stato “ora”. So che lavora tantssimo. E medita.
Resiste, come il giacinto d’acqua, beda, portando il fore. Uscendo dalla sua casa nella sera, c’era nell’ingresso un grande vaso con foglie di beda, una con un fore. Guardandolo mi ha deto: è forita per te.
“Internazionale” di questa setmana così inttolava la copertna: “La fne della favola birmana”. La Birmania è sempre stata un dramma, dietro il fascino della sua bellezza e del suo spirito. È questo che stentamo a capire, la grande soferenza di cui oggi è parte anche la tragedia dei rohingya. Ma la favola vive, nel grande coraggio di un popolo, nella volontà di riscato. È questo che incarna Aung San Suu Kyi. Pochi al mondo sono comelei. Diceva Caterina da Siena: “È meglio perdere la reputazione che la carità”. In Birmania a vivere ci vuole coraggio, e pazienza, si pagano dei prezzi. Si capisce il valore della vita e della politca. Sono la stessa cosa. Avremmo bisogno qui di questo spirito. Il mio spirito, lì, si sente a casa.
Grazie a tut voi di essere parte di questa storia. Albertna Soliani
http://www.settimananews.it/politica/lettera-dal-myanmar/