L’idea diffusa che papa Francesco sia ‘forte’ nella pastorale ma ‘debole’ nella dottrina è un equivoco. La grande espressività del pontefice vive infatti di una originale ‘teologia narrativa’, che è a un tempo tradizionale e innovativa, legata al quotidiano e rivolta a tutti, credenti e non. Nelle sue parole ricorrono appelli di solidarietà sociale per i più deboli, i temi della gioia, dell’amore e della misericordia; ma emergono anche concetti e passaggi problematici come l’‘incondizionata misericordia’ di Dio che lascia indeterminati alcuni motivi religiosi tradizionalmente fondamentali quali il castigo, la punizione e l’espiazione del peccato. Bergoglio mette così in atto una faticosa ridefinizione del concetto stesso di peccato: «siamo tutti peccatori» ma perdonati. Dietro al nuovo sforzo ermeneutico e semantico del pontefice si intravede un abbozzo di nuova e potente teologia. Dove porterà questa ‘rivoluzione’? Quali sono i contraccolpi teologici e dottrinali? Gian Enrico Rusconi esplora le conseguenze della teologia narrativa di Francesco sulla Chiesa, sui laici e sulla società in generale.

Descrizione
Autore: Gian Enrico Rusconi
Titolo: La teologia narrativa di papa Francesco
Editrice: La Terza
Edizione: 2017
Collana: Anticorpi
ISBN: 9788858129982
Prezzo: 9,90

Bergoglio, quel che resta della dottrina
intervista a Gian Enrico Rusconi
Un uomo solo nella sua avventura pastorale e dottrinale. Un enigma teologico e culturale. Un Papa che ha avviato una «rivoluzione» tuttora «incompiuta» e che non siamo in grado di dire oggi se mai si compirà. Così appare Jorge Maria Bergoglio a Gian Enrico Rusconi, storico, politologo e germanista, intellettuale appassionato di vita culturale e civile. Arriva oggi in libreria il suo nuovo libro, La teologia narrativa di papa Francesco (Laterza, pp. 153, € 16) che rappresenta uno sforzo originale rispetto alla sterminata pubblicistica dei commentatori «zelanti» o quella – ridotta – dei combattivi avversari. È un laico che prende sul serio credenze religiose e uomini di fede, che analizza il discorso religioso per comprendere il nostro tempo. Il suo libro – avverte – non è per atei militanti né agnostici intransigenti. Lo ha scritto «per capire criticamente quel che accade».
Però, professor Rusconi, quell’aggettivo «narrativa», appiccicato alla teologia di Francesco, sembra già un giudizio: divulgazione da grande comunicatore, ma scarso rigore dottrinale. Voleva dire questo?
«È una teologia ambivalente: è un tentativo di ritornare alle origini di Bibbia e Vangelo, di cui si parla come se raccontassero eventi del quotidiano. Non mira a riformare la dottrina, sta reinventando una teologia, credo non intenzionalmente. La verità è che la Chiesa non è capace di trovare la dimensione dottrinale e culturale di una volta. Ma è un problema generale: anche la filosofia è diventata conversazione. Ecco, con Bergoglio la teologia è diventata conversazione, reinvenzione semantica, espressività emotiva, flessibilità concettuale».
Mi faccia un esempio.
«Lui parla spesso della Genesi, di Adamo ed Eva, ma dal suo racconto quasi scompare la dimensione drammatica del peccato originale e “narra” altri motivi come quello della scoperta della nudità a cui segue un’azione misericordiosa di Dio che dà alla coppia delle tuniche per ripararsi. Dio è buono, è amore, ha avuto compassione di loro. E manderà suo figlio a riparare ogni cosa. Ma se non c’è il peccato originale, se non c’è la collera di Dio, cosa dovrebbe mai riparare Gesù? Per un laico come me, educato nella religione tradizionale, questo è difficile da capire. La misericordia vince un peccato di cui non si parla. Il nesso offesa-punizione-espiazione viene del tutto sdrammatizzato».
Perché lo fa?
«Perché oggi abbiamo tutti la sensazione di avere molto da farci perdonare. Ma penso anche che il destino della religione sia l’abbandono delle forme dogmatiche. Lui sa che siamo a un punto critico per l’istituzione religiosa, non vuole mettere in discussione il sistema dogmatico, solleva i punti critici, li risolve con il ricorso continuo all’infinita misericordia di Dio e cioè con una risposta emotiva, narrativa, senza esprimere mai la presunzione di innovare, ma di rinnovare».
Ci sono stati però momenti che toccano il vivo dell’esperienza di vita che Francesco ha affrontato apertamente. Nel caso della comunione ai divorziati separati o sulla comprensione dell’omosessualità c’è stata vera innovazione. Non crede?
«C’è un adattamento ai tempi. Il matrimonio resta indissolubile, ma lui è comprensivo, capisce che può finire, che l’amore può fallire. Però proprio questo caso mi sembra esemplare dell’impasse dottrinale e pastorale della Chiesa di Bergoglio. In Amoris laetitia si afferma che il divorziato soggettivamente incolpevole può essere considerato “senza colpa” o più perdonabile rispetto a uno “oggettivamente colpevole”. Chi decide? Sempre il confessore, l’accesso all’eucarestia non è un diritto. Gli avversari vedono tutto questo come confusione; i favorevoli come una grande innovazione».
Da molto tempo i sacerdoti si trovano ad affrontare una dimensione quotidiana di società che è difficile far rientrare nei canoni della dottrina. Lei pensa che il Papa arriverà a modifiche importanti e attese, per esempio nel ruolo della donna?
«Non è un Papa che nasconde le profonde incongruenze della dottrina tradizionale, tuttavia non cerca soluzioni, lascia le cose come stanno. Dice che le donne sono le più coraggiose, intelligenti, anzi che la Chiesa è donna. Ma nessuna sacerdotessa e, al momento, nemmeno diaconessa».
Che cosa pensa della sua celebrata battuta «chi sono io per giudicare un omosessuale che cerca Dio»? Ha cambiato l’atteggiamento della Chiesa nei confronti dei gay.
«È un’innovazione, certo, va riconosciuto l’abbandono delle espressioni più brutali, però resta un percorso incompiuto che si scontra con la realtà. Prendiamo per esempio il caso di questi giorni del capo scout di Monfalcone che si è “sposato” civilmente con il suo compagno. Il parroco lo ha condannato e gli ha chiesto di non occuparsi più di bambini; il viceparroco, un prete operaio, ha partecipato alla cerimonia come sacerdote e amico; il vescovo è in imbarazzo. Che dirà il Papa? Ma sono situazioni inevitabili: se si esprime comprensione, c’è chi ne trae le conclusioni. E invece, per le unioni civili, l’atteggiamento resta critico nei confronti di un diritto che lo Stato laico non può disconoscere nella sua legittima sovranità. Come la rivendicazione dell’obiezione di coscienza nei riguardi di leggi sgradite alla Chiesa».
È un punto cruciale: il rapporto con lo Stato laico che dovrebbe decidere «come se Dio non ci fosse» e il capo della Chiesa cattolica che invece in Italia ha sempre enormemente pesato sulle scelte politiche. Molti laici italiani sono entusiasti o addirittura sedotti da Bergoglio e lei sottolinea nel libro la «fragilità» della laicità italiana. Che rapporto ha Bergoglio con loro?
«Francesco ha una grande potenza mediatica e predilige quelli che contano mediaticamente. Però io credo che lui non li capisca e non li ami, pensa che siano un retaggio del vecchio illuminismo, dimenticando che i diritti dell’uomo di cui oggi la Chiesa si fa portavoce per i migranti nascono con gli illuministi. Il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer parlava della società secolarizzata come di “età matura dell’uomo”. Bergoglio certamente non la pensa così. La reciprocità cognitiva tra laicità e religione, auspicata anche da Ratzinger in un incontro con filosofo tedesco Habermas, resta per il momento irraggiungibile».
a cura di Cesare Martinetti, in “La Stampa” dell’8 giugno 2017

È il papato d’impatto di un esperto di umanità non di un teologo”
intervista ad Andrea Riccardi
Professor Andrea Riccardi, Francesco è un Papa «rivoluzionario»?
«Il suo pontificato è d’impatto, quindi può sembrare rivoluzionario dal punto di vista del suo carisma personale. Invece è in continuità soprattutto con il Concilio Vaticano e Paolo VI. Anche se questa eredità è mischiata con la creatività molto spiccata di Bergoglio: ci troviamo davanti a un insegnamento impastato di genio e storia personale».
È considerato «vicino alla gente», un Papa che «abbatte distanze e muri»: ma non sta rischiando di rendere il suo magistero troppo legato a conversazioni, gesti ed emozioni? Troppo poco profondo?
«È una delle accuse che riceve: avere scarsa profondità teologica. E gli imputano di rimediare a questo con la prossimità. Questo Papa non è un teologo, non ha la struttura accademica di Joseph Ratzinger, come del resto neanche di Paolo VI e Giovanni XXIII, però ha una sua caratteristica particolare, che viene dalla sua storia di Gesuita, Vescovo, latinoamericano: è, come diceva Montini, un esperto di umanità».
Ma la fede come la pone nell’umanità di cui è esperto?
«La coniuga. E questo si esprime in una comunicazione profonda: Francesco dice cose che toccano l’animo e la vita della gente. Il Papa conosce i dolori delle persone, e affronta concretamente temi come il peso della vita, il senso del peccato. Infatti insiste molto sulla conversione e sulla penitenza: è anche un Papa confessore».
Ecco, l’altra definizione che lo accompagna è «Papa della misericordia»: ma non è sproporzionata l’insistenza sul perdono di Dio che supera ogni cosa in confronto al peccato originale?
«La misericordia è una grande elaborazione teologica, non una scorciatoia. Nel cristianesimo mai è sproporzionata o fuori luogo l’insistenza sul perdono di Dio, anzi, forse c’è stata troppo poco: il Papa compie un riequilibrio. Ma la misericordia di Francesco non è il perdono a prezzi scontati. C’è dietro a lui una grande, comprensiva e severa tradizione, come quella dei Gesuiti. E non è la copertura per un pensiero debole: il pensiero forte di un Papa non è solo accademico».
Questo pontificato può essere un «ponte» tra la dottrina cristiana e la società contemporanea?
«Se il Novecento è stato il secolo più secolarizzato della storia, il nostro è pieno di “religioso pulviscolare”, spesso fondamentalista e fanatizzato: si tratta di comunicare i valori del Vangelo in un mondo iper religioso, in particolare in Africa, Americhe e Asia. Qui si colloca il messaggio del Papa, che è un messaggio sodo e radicato nella realtà, dentro una linea che comincia lontano e che in lui ha un ardito interprete».
a cura di Domenico Agasso jr, in “La Stampa” del 9 giugno 2017

“Non innova la dottrina ma l’atteggiamento verso il mondo è diverso”
intervista a Massimo Introvigne
Professor Massimo Introvigne, è vero che papa Francesco è un grande divulgatore ma con scarso rigore dottrinale?
«Questa affermazione presuppone che esista una distinzione assoluta fra dottrina e pastorale. In realtà non è assoluta, e il Pontefice parla di un dialogo continuo e fecondo, che c’è sempre stato. Quello che è nuovo però in Francesco è la denuncia della dottrina isolata dalla pastorale come una rigidità da dottori del Tempio che porta la Chiesa su un binario morto, e la rende incapace di incontrare le persone del XXI secolo».
Comunione ai divorziati risposati, atteggiamento più sensibile verso i gay: sono innovazioni che adattano la dottrina cristiana ai tempi contemporanei?
«Sia i critici conservatori di Francesco sia alcuni suoi entusiasti sostenitori, che troviamo più spesso fra i non cattolici, affermano che il Papa cambia la dottrina, creando una “neo-Chiesa” che sarebbe diversa dalla Chiesa com’era esistita fino a Benedetto XVI. Mi sembrano esagerazioni, figlie di una scarsa conoscenza della storia ecclesiastica. Riforme anche più sostanziali di quelle di Francesco ci sono state molte volte. Se si legge con attenzione il suo magistero, si scopre che la dottrina non cambia quanto all’ideale che continua a essere proposto».
Ma allora che cosa c’è di diverso?
«L’atteggiamento nei confronti del mondo al di fuori di questo ideale, accolto con misericordia. In certi casi l’accoglienza si può estendere all’eucaristia: anche questo succedeva già prima di Francesco nella pratica, ma ora è il Papa stesso a proporlo. Da questo punto di vista Rusconi ha ragione quando dice che un Papa che dichiari lecite le convivenze oppure le unioni omosessuali esiste solo nell’immaginario popolare creato da certi giornalisti. Proprio perché il Papa non sta rovesciando la dottrina: interviene sulla pastorale, consacrando una prassi per molti versi già in atto».
Bergoglio parla troppo di misericordia, sottovalutando che esiste il peccato originale e la «collera di Dio» che presuppone la «riparazione di Gesù»?
«Qui la posizione di Rusconi, che ha un passato di militante cattolico, è molto curiosa. Sembra quasi che chi, come lui, ha abbandonato una Chiesa che talora raffigurava Dio come collerico e vendicativo e proponeva una teologia barocca delle sofferenze di Gesù, si risenta se la Chiesa cambia il suo modo di esprimersi, quasi che questo metta in discussione la decisione di abbandonarla. Ora, evidentemente, la narrativa del peccato originale e della redenzione per mezzo della Croce di Cristo, che è anche una sorgente infinita di misericordia, sta al centro del cristianesimo cattolico come di quello ortodosso e protestante. Ma questa narrativa originaria è stata presentata in centinaia di modi e stili diversissimi. Cambiare lo stile non significa cambiare la narrativa».
a cura di Domenico Agasso jr, in “La Stampa” del 9 giugno 2017