Continuano ad arrivare ogni giorno notizie sulla strage dei cristiani nel mondo. Certo la persecuzione e il martirio hanno sempre accompagnato, fin dalle origini, le comunità cristiane. E’ di ieri la notizia che almeno 110 civili sono stati uccisi ieri nel villaggio cristiano di Koshobe, nel nordest agricolo della Nigeria, da miliziani di Boko Haram. Riportiamo di seguito alcuni servizi giornalistici a testimonianza di quanto sta accadendo nel silenzio generale. Anche i cristiani, preoccupati della pandemia e dei loro problemi economici, purtroppo tacciono e lasciano nell’abbandono i loro fratelli di fede in Siria, Nigeria, Pakistan e in molti altri paesi che vivono la stessa un’unica sofferenza.
Strage in Nigeria: 110 morti, il primo alleato di Boko Haram è la nostra indifferenza
Mauro Leonardi
Il fondamentalismo islamico fa una nuova strage di innocenti. Almeno 110 civili sono stati uccisi ieri nel villaggio di Koshobe, nel nordest agricolo della Nigeria, da una banda del movimento jihadista di Boko Haram, secondo quanto ha testimoniato il coordinatore umanitario dell’Onu in Nigeria. Gli uomini della banda hanno assalito uomini e donne che si trovavano a lavorare nei campi. L’accusa è insensata: questi contadini avrebbero fornito delle informazioni alle forze governative o, in ogni caso, sarebbero state loro troppo vicine. È chiaro invece che gli jihadisti vogliono colpire al cuore il paese mentre, per la prima volta dopo 13 anni, si stavano svolgendo delle libere elezioni.
“Boko Haram” è un’espressione che si può tradurre con “l’educazione occidentale è peccato”. L’organizzazione, alleata con l’Isis, è nata nel 2002 e vede l’occidente come elemento corruttore dell’islam. Il movimento divenne tristemente famoso nel 2014 per le 276 ragazze rapite da un collegio di Chibok sempre nello Stato del Borno.
I fondamentalisti agiscono secondo un’ottica suicida e demoniaca: colpire la gente che lavora in una nazione africana già vessata da enormi problemi economici e sociali. C’è una miopia crudele che mentre usa la propaganda anti-occidentale, continua a vessare proprio i più deboli e condanna alla povertà e alla guerra un Paese che millanta di “voler liberare”.
C’è poi la vigliaccheria della forza. I fondamentalisti di Boko Haram, i criminali di ogni tempo, non agiscono alla luce del sole, ma quasi sempre di notte, all’improvviso, cogliendo alla sprovvista, in modo anche da alimentare la paura, da impedire la possibilità di una vita normale.
L’unica ribellione possibile per noi, in questo momento, è la denuncia, il grido, affinché questi fatti si sappiano e vengano ricordati. In epoca di Covid, infatti, è troppo alto il rischio che le guerre dimenticate, quelle tra poveri, diventino fantasmi e che l’indifferenza sia il vero e più pericoloso alleato dell’odio religioso. E invece bisogna ricordare che non è la religione ad uccidere ma il fondamentalismo settario: come in questo caso, il 98% delle vittime fatte dall’Isis e dai suoi alleati sono musulmani. A riprova che siamo davanti semplicemente a gruppi di banditi che usano la religione per i loro scopi di terrore.
Mauro Leonardi, Sussidiario.net 30.11.2020
Uccisi, perseguitati e stuprate: fermiamo la barbarie sui cristiani
Andrea Indini Matteo Carnieletto
Bisogna ascoltarli i cristiani di Siria, piegati da dieci anni di guerra. Nel 2011, quando tutto è iniziato, erano il 10% della popolazione, ma il conflitto, la leva obbligatoria e l’avanzata delle fazioni jihadiste hanno provocato un vero e proprio esodo, facendone fuggire all’estero oltre 900mila.
“Sai, noi stiamo vivendo i sette anni di carestia annunciati dalla Bibbia, ma presto arriveranno quelli della prosperità” – ci aveva detto ormai due anni fa suor Yola Girges, francescana di Damasco ora in partenza per l’Iraq, in missione – che sperava in un futuro migliore per il suo Paese. Ma in questi due anni la situazione non ha fatto altro che peggiorare: sono sempre di più i cristiani che hanno lasciato la Siria e i pochi che sono rimasti lo hanno fatto a caro prezzo, sperando contro ogni speranza. Una scelta non facile, la loro: in soli dieci anni, hanno dovuto sfidare prima le persecuzioni islamiste, poi una devastante crisi economica e, infine, l’emergenza sanitaria legata al coronavirus. Tre piaghe tremende, che sembrano non volersi rimarginare.
Insciallah, dicono indistintamente cristiani e musulmani in questa fetta di terra. Se Dio vuole. Eppure molti si chiedono dove sia finito Dio – che pure è nato non lontano da lì e che ha inviato il suo apostolo prediletto, Paolo, in quella Siria oggi martoriata? C’è chi dice che stia guardando altrove e chi, invece, sostiene che abbia tempi che gli uomini non possono comprendere perché non sono di questo mondo, ma di un altro, dove i secondi si contano in millenni. Insciallah, dicevamo. Se Dio vuole.
Insciallah, pensano le famiglie siriane che si stanno preparando a festeggiare il Natale. “I cristiani qui ora sono diventati una minoranza. Il loro numero è sempre più piccolo. In questo Paese non hanno denaro e chi rimane è perché non ha i mezzi per andarsene”. Ma non solo: “L’Occidente si è dimenticato dei cristiani di Siria, che ora vivono sotto la legge islamica e la sharia. Inoltre, la situazione finanziaria è molto precaria”. Mentre in Italia, poco alla volta, i negozi riaprono per permettere alle persone di fare i regali di Natale, in Siria si fanno i salti mortali per tutto: “Stiamo pagando moltissimo l’elettricità, le medicine, il cibo e i vestiti. Tutto è diventato molto costoso”. Per questo motivo, ilGiornale.it ha lanciato una raccolta fondi per aiutare i cristiani di Siria. Non servono cifre folli per fare la differenza e bastano alcuni numeri per comprenderlo: un euro equivale a oltre 600mila lire siriane, lo stipendio medio ad Aleppo è di circa 69 euro e in buon ristorante si pranza con 7.91 euro. Con pochi euro, quindi, si può fare la differenza e donare una speranza a chi, da dieci anni, è costretto a vivere tra le macerie e a convivere con il terrorismo.
Proprio ieri, a Koshobe, in Nigeria, i terroristi di Boko Haram hanno ucciso 110 persone. Si è trattato di un blitz in piena regola: i jihadisti sono arrivati all’improvviso e hanno cominciato a colpire chiunque si parasse loro davanti. Uomini, donne e bambini: nessuna differenza davanti ai proiettili. “Sono stati uccisi con crudeltà”, ha detto Edwar Kallon, coordinatore umanitario dell’Onu in Nigeria. Anche in questo caso, i numeri ci aiutano a comprendere cosa stia accadendo in questo Paese: da oltre dieci anni, i terroristi che vietano l’educazione occidentale – questa la traduzione di Boko Haram – hanno ucciso oltre 36mila persone e provocato l’esodo di oltre due milioni di profughi. La speranza sembra non trovare più casa qui. Quando, nel 2017, Daniele Bellocchio e Marco Gualazzini sono stati in Nigeria hanno trovato una realtà devastante. Come quella di Sara Tuzakaria, 43 anni e miracolosamente riuscita a scappare dai terroristi: “Era l’agosto del 2014, quando i miliziani di Shekau si sono impossessati di Gwoza. Dopo aver fatto fuggire i soldati governativi e, una volta conquistato il centro abitato, hanno iniziato con le esecuzioni sommarie. Gli uomini sono stati radunati, poi uccisi con un colpo in testa e gettati nel fiume; noi donne, invece, siamo state rapite e io sono stata portata via insieme ai miei figli”. Gli islamisti le hanno portato via i bambini. Di loro non sa più nulla. “Da quel momento non li ho più rivisti. Sono stata costretta a lavorare e cucinare per i miliziani. Volevano che mi convertissi e mi frustavano perché ero cristiana. Io ero disperata perché non sapevo nulla dei miei figli e, a un certo punto, ho smesso di mangiare: volevo morire, non potevo vivere senza avere notizie dei miei ragazzi”, ha raccontato. Come lei, sono tante le ragazze fuggite, ma solo in parte, dall’incubo jihadista. Noi vogliamo aiutarle, sostenendo la costruzione di un centro, con sede a Maiduguri, che permetterà a 150 donne di essere seguite da un team di esperti che le aiuterà a costruire un futuro per sé e per i propri figli.
Dall’Africa profonda al Pakistan, dove non si ferma la persecuzione contro le donne cristiane. Nel Paese asiatico, infatti, sono sempre di più i rapimenti organizzati da gruppi islamici radicali ai danni di giovani credenti in Cristo. Huma Younus è una di loro. La sua storia, per come lei stessa l’ha raccontata, è un continuo crescendo di violenze: “Dall’ottobre 2019 la mia vita è stata stravolta. Sono stata rapita, violentata e data in moglie al mio sequestratore. Ricevo pressioni per abbandonare la mia fede”. Ha solo 15 anni, ma la sua esistenza è già segnata. I suoi occhi, nonostante un sorriso appena abbozzato, sono spenti. A volte inespressivi. Huma è rimasta incinta in seguito alle continue violenze compiute dal suo rapitore che, tra le altre cose, ha anche un fratello (Mukhtiar) arruolato nei rangers, le forze di sicurezza pachistane, che continua a inviare video di minacce ai genitori della quindicenne. Tabassum Yousaf, avvocato dell’Alta Corte del Sindh che segue il caso, ha raccontato: “Ha chiamato i genitori di Huma con video-telefonate e, facendo vedere loro le armi, li ha minacciati dicendo che li avrebbe uccisi qualora avessero cercato la figlia. Lo stesso Mukhtiar ha aggiunto, tramite messaggi-audio, che anche se tutti i cristiani si mettessero insieme per riavere Huma lui ucciderebbe sia i genitori sia chiunque intenda aiutare questi ultimi”. Huma non è però la sola a subire questa sorte. In Pakistan vengono infatti rapite oltre 2mila cristiane ogni anno. Solamente poche riescono a fuggire. Noi vogliamo aiutarle, fornendo assistenza legale alle vittime di sequestri, matrimoni forzati e conversioni coatte, dando vita a consultazioni con le autorità di governo e i rappresentanti politici.
Siria, Nigeria, Pakistan. Tre Paesi, un’unica sofferenza.
Andrea Indini – Matteo Carnieletto, https://it.insideover.com/societa/uccisi-perseguitati-e-stuprate-fermiamo-la-barbarie-sui-cristiani.html
Cristiani perseguitati: Asia Bibi ad Acs, “Pakistan aiuti le ragazze convertite a forza e costrette a sposarsi. Cambiare la legge sulla blasfemia”
Un appello al Primo Ministro del Pakistan, Imran Khan, perché “aiuti le nostre ragazze, abusate sessualmente, convertite con la forza e costrette a sposarsi”. A lanciarlo è Asia Bibi, la donna cristiana, condannata a morte l’11 novembre del 2010 con l’accusa di blasfemia e poi assolta 8 anni dopo dalla Corte Suprema.
Da 15 mesi la donna pakistana – il cui caso ha suscitato forti proteste da parte di gruppi cristiani e di organizzazioni per la difesa dei diritti umani che chiedevano di cancellare o rivedere la legislazione nazionale sulla blasfemia – vive in Canada insieme alla sua famiglia. “Queste ragazze sono perseguitate e nessuna deve soffrire. Consiglio ai genitori di non lasciare mai sole le proprie figlie” dichiara Asia Bibi in una video intervista rilasciata ad Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), la fondazione pontificia che sin da subito ha sostenuto la causa della donna pakistana facendola conoscere in tutto il mondo con iniziative significative come illuminare di rosso, “il colore del sangue dei martiri”, importanti monumenti quali il Colosseo e la Fontana di Trevi a Roma, la Cattedrale e l’Abbazia di Westminster a Londra, il Cristo Redentore a Rio de Janeiro e la Basilica del Sacro Cuore a Parigi.
Ricordando i casi di due bambine cristiane rapite, convertite a forza e costrette a sposare i loro rapitori, Asia Bibi ricorda che “il Pakistan è di tutti i cittadini pakistani. Le minoranze religiose hanno diritto di cittadinanza e la legge pakistana prevede che ognuno abbia la libertà. Essa deve essere garantita e rispettata”.
Da qui un secondo appello al premier Khan: “Quando il Pakistan venne fondato, il padre fondatore, Jinnah Muhammad Ali, nel suo discorso di apertura ha garantito libertà religiosa e di pensiero a tutti i cittadini. Faccio appello al premier pakistano, specialmente per le vittime della legge sulla blasfemia e per le ragazze convertite con la forza, perché tuteli e protegga le minoranze che sono anch’esse pakistane. Da vittima offro il mio esempio: ho sofferto molto e vissuto molte difficoltà. Ora sono libera e spero che questa legge possa essere soggetta a cambiamenti che vietino ogni suo abuso”.
Nella video intervista Asia Bibi parla anche della sua prigionia e ringrazia tutti coloro che hanno pregato per lei e che si sono impegnati per farle ottenere la libertà: “Ringrazio Dio e quanti hanno pregato per me e per la mia liberazione che per me è un motivo di gioia. Dio mi ha liberata dalle difficoltà in cui mi trovavo. In questi 10 anni di false accuse ho sofferto molto per la mancanza della mia famiglia. Nessuna madre vorrebbe essere separata dai propri figli. Sono stata molto male anche fisicamente. Nel contempo ho sentito forte la presenza di Dio”.
A sostenere Asia Bibi durante la prigionia la preghiera del Rosario con una coroncina di Papa Francesco: “La preghiera è il modo per relazionarsi con Dio e nel Vangelo è scritto che chiunque seguirà Cristo verrà perseguitato. Per restare saldi nella fede la preghiera è necessaria. Ho due coroncine del Papa, una è rimasta in Pakistan, l’altra è sempre con me e ogni giorno recito il Rosario per la fede e per i perseguitati in Pakistan. Ringrazio Papa Francesco e Benedetto XVI che è intervenuto per me e ringrazio Acs, tutti i benefattori e tutti gli italiani”.
Infine un impegno: “Offro la mia disponibilità per dare visibilità alla condizione delle persone perseguitate come me a causa della fede”. E all’invito a venire in Italia del direttore di Acs Italia, Alessandro Monteduro, la risposta di Asia Bibi: “Mi piacerebbe molto vedere Roma e incontrare il Papa e voi tutti, come anche visitare i luoghi santi a Gerusalemme”.
“Ciò che colpisce parlando con Asia Bibi, non solo in occasione dell’intervista, è la sua serenità nutrita da una Fede profonda” dichiara al Sir, Monteduro, che ha intervistato la donna pakistana. “Ciò che lei ha vissuto l’ha resa simbolo per tutti noi della sopportazione nella persecuzione.
Oggi Asia si dice disponibile a divenire la testimonial dei milioni di Cristiani perseguitati. Mette dunque a disposizione di tutti noi la sua prova. È un ruolo al quale potrebbe tranquillamente sottrarsi per dedicarsi, dopo dieci anni di prigionia, alla propria famiglia e a se stessa. E invece decide di intraprendere un nuovo percorso che, per le comunità cristiane oppresse, per esempio per le tante adolescenti appartenenti alle minoranze religiose rapite e schiavizzate, può essere decisivo.
Anche gli appelli al suo Primo Ministro non sono banali esternazioni. Vengono da una donna la cui vita sarà sempre a rischio. La ospiteremo in Italia appena possibile – conclude il direttore di Acs Italia – e sono certo che non mancherà l’abbraccio dell’intera comunità cattolica italiana che mai nella preghiera l’ha abbandonata”.