Di solito è il classico cinepanettone a distogliere la mente degli italiani, nel corso delle festività natalizie, dalle preoccupazioni individuali e sociali del momento. Quest’anno, invece, nelle sale cinematografiche, un’altra tipologia di film ha suscitato l’interesse degli appassionati di cinema: stiamo parlando di Pinocchio, uscito nelle sale il 1 dicembre scorso.
L’opera, diretta da Matteo Garrone è stata interpretata da illustri professionisti come Roberto Benigni, Massimo Ceccherini e Rocco Papaleo; il burattino di legno, invece, è stato impersonato in modo eccellente dal giovane Federico Ielapi. Da un’attenta osservazione non sembrano esserci troppe dissonanze con il testo originario del romanzo di Carlo Collodi, per cui traspare anche in questo caso, una finalità di tipo pedagogico: l’impossibilità dell’uomo di autodeterminarsi, cercando di arrivare alla felicità solo ed esclusivamente con le proprie forze. Questa misera condizione può essere migliorata solo se l’uomo ricorre a quei princìpi e valori dettati dalla legge morale naturale, che nel contesto temporale attuale sembrano persi. Si parla di princìpi e valori come ad esempio l’amore verso l’altro, l’onestà, il senso del dovere, il rispetto, l’educazione, la bontà d’animo e l’ascolto, che nell’insieme, sono alla base dell’etica.
 
Il relativismo dei principi e dei valori
I princìpi dell’etica non possono essere discutibili, come invece sono e devono essere le leggi che si riferiscono ai bisogni particolari del momento storico; ma, anzi, vanno rispettati “poiché definiscono l’uomo per quello che è e per il senso che ha. L’essere e il suo senso non possono mutare,  anche  se sono diversi gli ambienti, le culture, le condizioni economiche in cui l’uomo si trova a vivere. Si ritiene quindi che i princìpi siano ‘fissati’”. Grazie a questi princìpi e valori che sono sempre presenti l’uomo può trasformare la propria condizione passando dalla vita istintiva, simile a quella animale, alla vera vita, cospargendosi così del profumo di umanità.
L’attualità presenta, invece, contegni poco conformi a tali valori etici, ma più vicini, anzi, ad una atmosfera di disumanità. In particolare, nel tempo della modernità liquida, dove tutto è possibile ma  nulla può essere fatto con certezza, i corpi solidi vengono liquefatti, ed è dunque il relativismo ad imperare.
Secondo Roger Scruton, filoso inglese scomparso di recente, oggi, “ una posizione di relativismo totale si autopromuove, visto che lascia fluttuare liberamente e senza fondamento ogni credenza”.  In queste circostanze è l’orientamento nichilista a prevalere, diffondendo così una sorta di pensiero debole in cui non si è più sicuri di nessuna certezza assoluta, e di conseguenza  evaporano i valori universali per fare posto a un’etica storicizzata. L’oggettività cede il posto alla soggettività. La verità e i valori risultano negoziabili. Si crea allora una sorta di pragmatismo secondo cui il vero corrisponde all’utile. Sempre secondo Scruton  il pragmatismo considera inutili le vecchie idee di autorità, ordine e autodisciplina. “Il vero pragmatista non è soggetto a nessun vincolo poiché non esiste nessuna verità oggettiva[…]. Non solo può decidere cosa pensare, ma si può proteggere da chiunque non la pensi allo stesso modo”.
 
Regole, paletti e limiti
La storia di Pinocchio incarna proprio questa tendenza dell’uomo a voler far sempre di testa sua senza ascoltare gli insegnamenti e i consigli di chi è demandato proprio a ricordargli cosa significhi essere uomo. Pinocchio, per diventare un bambino vero ha bisogno di un abbecedario, strumento che con amore Geppetto gli procura per indirizzarlo verso la strada della conoscenza di ciò che è bene e di ciò che è male. Ma il burattino non riconosce l’immenso amore che il padre nutre per lui e neppure ascolta l’eco della coscienza rappresentata dal grillo parlante. Ciò che sta a cuore a Pinocchio è solo il piacere, il divertimento, rigettando così il senso del dovere e l’obbedienza verso chi lo ama. Sembra che questo atteggiamento corrisponda all’analisi fatta da Susanna Tamaro, secondo cui “i giovani hanno bisogno di essere guidati da regole, paletti e limiti che crescendo potranno anche abbandonare -perché questa è la nostra grande e inquietante libertà – ma senza i quali non avranno mai la possibilità di diventare adulti[…]. Abbiamo creduto e ci è piaciuto credere , alla favola bella che i cuccioli d’uomo non siano molto diversi dai funghi: nascono da una spora e da quella si sviluppano materialmente senza bisogno di alcun intervento esterno”. Ma senza una guida che lo orienti verso la retta via l’uomo alla stesso modo di Pinocchio rischia di scottarsi, andando così incontro a dei rischi che potrebbero anche danneggiarlo. Senza punti fermi si vaga senza senso alla ricerca di una meta precisa, ed è allora che, ripercorrendo lo stesso modo di agire di Pinocchio, l’uomo può lasciarsi sedurre da quelle ideologie che all’apparenza sembrano propugnare dei valori morali condivisibili, ma che poi, invece, non danno quella vera felicità di cui l’uomo è in continua ricerca.
 
Le metanarrazioni
Queste ideologie corrispondono a quelle narrazioni moderniste che Lyotard chiama “metanarrazioni”: illuminismo e liberalismo, marxismo, nazionalismo, scientismo e tecnicismo. Hanno tutte “un valore legittimante perché sono universali. Nel senso inteso da Kant le narrazioni della modernità sono cosmopolite: sono promesse fatta all’umanità”. Facendo riferimento al film, si pensi ad esempio alle fandonie del gatto e della volpe quando invitano Pinocchio a investire i soldi con l’intento di fargli credere  di avere un incremento quattro volte maggiore della quantità di monete originaria. Come non pensare alle degenerazioni del capitalismo che spesso rischia di ridurre in povertà l’uomo dietro l’illusione della ricchezza. Oppure si pensi al paradiso in terra o al paese dei balocchi sponsorizzati dall’omino di burro, a cui potrebbero corrispondere tutte quelle forme politiche autoritarie come il comunismo o i vari nazionalismi, che dietro la tutela dei diritti delle classi sfruttate o dei diritti nazionali minacciati da altre nazioni rivali o da uomini di razza diversa, hanno finito per illudere l’uomo ipotizzando mondi da sogno, ma in realtà lo hanno ridotto a bestia, come nel caso di Pinocchio e Lucignolo. E ancora, non si possono dimenticare le false promesse con cui l’evoluzionismo e le teorie positiviste  hanno ammaliato la mente degli uomini, rassicurandoli che solo con la scienza e la tecnica avrebbero potuto raggiungere la perfezione e il progresso. In realtà hanno finito per gettare gli esseri umani nello sconforto perché non sono riuscite a colmare quella mancanza di senso che spesso emerge in essi.
 
La paura di Maestro Ciliegia
Il confronto tra Maestro Ciliegia e Geppetto chiarisce bene anche questo aspetto: secondo Franco Nembrini “Geppetto va a cercare quel pezzo di legno, che è dunque voluto prima che diventi qualcos’altro. Insomma questo pezzo di legno non è solo un legno ma ha dentro qualcosa, che non si spiega con i suoi antecedenti materiali. C’è, quindi, qualcosa, in ognuno di noi che è parte del mistero, del grande mistero di Dio. Solo Maestro Ciliegia da materialista convinto, moderno, modernissimo, razionalista, non può ammettere che il pezzo di legno possa essere di più.
Maestro Ciliegia è segnato dalla paura; la paura delle cose, la paura della realtà, la paura della vita, la paura di quel che eccede la nostra comprensione”. Anche il cardinale Giacomo Biffi, nel suo commento alla storia di Pinocchio, intitolato Contro Maestro Ciliegia, tratteggia il ritratto di una società di tipo scientista:  “l’uomo nasce da un pugno di materia viva che anarchicamente si è trovata un sua linea di sviluppo[…]”. Poi  aggiunge “l’uomo del nostro tempo è afflitto da una tristezza ineludibile e da un sottile sentimento di angoscia, soprattutto perché è smemorato: non ricorda più la sua origine e la sua meta; ha dimenticato cosa è venuto a fare sulla terra. Da questo tipo di deviazioni ci scampa il ricordo di Cristo”.
 
Un messaggio di salvezza 
Ecco allora che il messaggio di questo film, se letto in chiave teologica, non può non essere considerato un messaggio di salvezza per tutta l’umanità, affinché attraverso la Grazia di Cristo, e con la mediazione della Vergine Maria e della  Chiesa, riconosciuti nel film dall’operato della Fatina, torni a riconciliarsi con il Padre. Pinocchio con il tempo capisce che con le sue sole forze non potrà mai raggiungere la perfezione, e ciò rispecchia la finitudine umana. Ma nel momento in cui Pinocchio riconosce il suo limite compie anche un grande gesto di umiltà: è allora in grado di cambiare decisamente rotta e correre ad abbracciare Geppetto chiedendogli perdono. E’ da questo gesto d’amore per il padre che emerge il senso del sacro in Pinocchio; quel quid pluris, che gli permetterà di praticare correttamente le virtù e di resistere alle tentazioni del gatto e della volpe. Il tentativo dei figli di crescere e arrivare alla conoscenza sdoganando la funzione del padre o delle varie figure “paterne” presenti nella società, porta solo alla costruzione di una morale soggettiva, priva di punti di riferimento. Ognuno considera un valore ciò che ritiene più opportuno, sfociando nel moralismo: “il moralismo è la scelta unilaterale di valori per avallare la propria visione delle cose e si traduce in due sintomi gravi: il primo è il fariseismo; mentre il secondo è la facilità alla calunnia. Da un lato dunque giustificazione per se stessi. Dall’altro odio e condanna del prossimo”. Come si raggiunge allora un autentico contegno morale? E’attraverso l’umiltà che l’uomo riconosce il suo limite, ma  ancor di più, è l’adesione al Vangelo che rende nuove tutte le cose, che converte il cuore degli uomini, rendendoli così conformi a ciò per cui sono stati creati: l’unione intima con Dio. Tale unione può realizzarsi però solo attraverso un “sì”. Solo attraverso questo “si” si può costruire la moralità. Un “si” che, “può attecchire nella terra dell’uomo solo attraverso una Presenza dominante, compresa, accettata, abbracciata, servita con tutto lo slancio del proprio cuore che solo così può ritornare bambino. Senza questa Presenza, non c’è gesto morale, non c’è moralità”.
 
Marco Mancini