Finito l’anno “con un click”, una grande indagine de “La Fabbrica” ha ascoltato le voci dei docenti che raccontano pro e contro della didattica a distanza. “Per non sprecare un’occasione al ritorno in classe”.
 
“Per i ragazzi più timidi la didattica a distanza è stato un supporto molto valido, perché ha permesso di seguirli individualmente”. Altri sono convinti del fatto che “i risultati non sono quelli che lo sforzo profuso avrebbe meritato”. E poi c’è chi l’ha definita “un’esperienza difficile, ma per certi versi stimolante per noi docenti che dobbiamo reinventare il modo di insegnare”. Sono alcune delle riflessioni dei professori di ogni ordine e grado su una buona parte di secondo quadrimestre (secondo semestre per gli universitari) passata di fronte al pc, per portare a termine l’anno scolastico dopo l’emergenza Coronavirus. La pandemia ha messo a dura prova l’intero sistema italiano, che ha dovuto fare i conti fin dal primo momento con la mancanza di rapporto diretto tra studenti e insegnanti, quello che si costruisce in classe giorno dopo giorno. Ma le ore passate in videocall su Zoom o Hangouts sono state tutt’altro che fredde. Ed è per provare a raccontare le ultime, particolari, settimane che “La Fabbrica” ha deciso di accantonare per un momento la trasparenza dei numeri e di lasciare spazio a pensieri, rabbia, timori, dubbi e spunti per il futuro.
Lo ha fatto attraverso un’indagine che ha coinvolto, via mail e attraverso la piattaforma online scuola.net, 1.072 docenti provenienti da ogni angolo d’Italia. Dal 18 aprile al 4 maggio hanno lasciato 1.363 commenti su cosa ha funzionato e cosa invece no della “dad”, descrivendo il lavoro fatto e i risultati ottenuti dagli alunni. Senza tralasciare il tema del gap tecnologico che in molti, all’improvviso, si sono ritrovati a dover colmare per non rimanere indietro. E, lasciato alle spalle il periodo di difficoltà, ci sono insegnamenti e buone pratiche di cui fare tesoro per settembre. “Gli ultimi mesi – spiega Daniele Tranchini, ad di La Fabbrica – hanno aperto opportunità inedite di sperimentazione e di sviluppo per nuove modalità di apprendimento, spingendoci a immaginare la scuola del futuro. Spero che la nostra ricerca possa contribuire a promuovere un dibattito serio sulla didattica, a prescindere dal periodo di emergenza che stiamo vivendo”.
 
Pro e contro della didattica a distanza
Dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, nessuno nasconde la difficoltà di essersi ritrovato all’improvviso a comunicare attraverso uno schermo. “È stato ancor più difficile raggiungere e motivare quegli alunni che, anche in presenza, erano poco partecipi”. Alcuni insegnanti, oltre al timore di non aver trasmesso quanto desiderato, si sono preoccupati per gli studenti stranieri che ancora non capiscono bene l’italiano, impresa resa più difficoltosa dalla “dad”. Tecnologia che però può tornare utile “per individualizzare il lavoro, sia per chi deve recuperare che per chi intende eccellere”. E per alcuni insegnati questo strumento ha aiutato a “entrare nel mondo dei ragazzi”. Anche se alcuni docenti, nel farlo, hanno provato nelle settimane del lockdown “un senso di abbandono assoluto”.
Oltre alla scarsa vicinanza delle istituzioni scolastiche, al di là dei vantaggi che la “dad” può dare nello sviluppo di progetti educativi multimediali, alcuni prof hanno sofferto la mancanza di “relazione, odore, clima, bugie da smascherare, improvvisazione, il trasmettere le emozioni di una poesia o lo spendere una parola d’incoraggiamento”. Però la grande maggioranza concorda sul fatto che il valore principale della “dad” è stato quello di “far sentire agli allievi che la scuola non li ha abbandonati e che quel pezzetto della loro vita ha continuato a esistere, anche se con modalità diverse”.
 
La cattedra in salotto
Come provato da molti durante il lockdown, lo smart working è una modalità di lavoro che, se non regolata, tende a occupare tutta la giornata. Tre docenti su dieci hanno ammesso di aver avuto problemi a separare la vita privata dall’insegnamento, ritrovandosi collegati a ogni ora per rispondere a messaggi, email e chiamate. Il 26 per cento, almeno all’inizio, si è fatto in quattro per trovare una formula di scambio online che coinvolgesse gli studenti. Il 40 per cento ha creato una classe virtuale in videocall, tre su dieci hanno utilizzato il registro elettronico, un insegnante su quattro ha preferito comunicare direttamente via mail o WhatsApp. Supporti tech che sono serviti pure per comunicare con i colleghi, anche se non sempre hanno funzionato: il 20 per cento del campione, infatti, ha rivelato di avere avuto problemi di connessione.
 
Studiare ai tempi del Coronavirus
Gli studenti, mediamente più abili nell’utilizzo delle nuove tecnologie, difficilmente dimenticheranno la fine dell’anno scolastico 2019/2020, sancita con un click del mouse. E neanche i loro genitori, chiamati a organizzare una convivenza non sempre semplice per disponibilità di mezzi e contemporaneità di impegni. Il 22 per cento degli studenti italiani non ha avuto a disposizione un proprio pc per seguire le lezioni. Una percentuale simile si è registrata per quelli che non hanno la connessione o che, per restare in call per molto tempo, hanno litigato più volte col modem che si inceppava. Mentre un 15 per cento, purtroppo, si è ritrovato immerso in situazioni familiari complicate che non hanno agevolato l’apprendimento a distanza.
E se la didattica a distanza ha richiesto agli studenti “responsabilità, autonomia, voglia di sperimentare e creatività”, per loro il modo migliore per tirare fuori queste qualità sono state le videoconferenze con data e orario precedentemente stabiliti (34 per cento). Ma anche i contatti individuali col docente (20%) e i lavori di gruppo in Rete (17%) hanno stimolato l’apprendimento. “C’è un prezioso di più di sapere e di esperienza – spiega Luigi Ballerini, medico, psicanalista e scrittore per ragazzi che ha seguito l’indagine – che deriva dalla sperimentazione, forzata e non sistematica, che è appena stata condotta: il digitale non basta di per sé, ma svolge un ruolo utile e fruttuoso. Allo stesso modo non sostituisce la didattica tradizionale, ma la integra”.
 
L’eredità di tre mesi di “dad”
L’auspicio di tutti – governo, insegnati, genitori, studenti – è che a settembre si possa tornare in classe a fare lezione. Ma dalla pandemia, secondo i prof, ci porteremo dietro insegnamenti importanti: una consapevolezza diffusa della centralità della scuola e del ruolo del docente, un nuovo patto di fiducia tra scuola e famiglie e l’intervento dell’extrascuola nella didattica. Oltre al fatto che le risorse open source rese consultabili gratuitamente da enti, associazioni, aziende e fondazioni sono un nuovo tesoro educativo da sfruttare. Perché, come si legge in uno degli ultimi commenti lasciati dagli insegnanti, “stiamo uscendo al meglio da questa situazione, che ci ha fatto capire che in futuro non possiamo farci trovare impreparati”.
Claudio Cucciatti, Rabbia, timori, speranze per il futuro: così oltre mille prof raccontano la scuola fatta da casa, La Repubblica@scuola