In Irlanda il lockdown dovrebbe concludersi il prossimo 18 maggio. Inizierà allora una strategia di allentamento delle restrizioni che dovrebbe protrarsi per tre mesi, e sarà scandita in cinque fasi.
Strategia per ora assente, invece, in Irlanda del Nord, dove la chiusura totale dovrebbe continuare fino al 28 maggio. È fondamentale ricordare che all’oggi, tra le due Irlande non esiste alcun confine, il che rischia di mettere a repentaglio qualunque efficacia nella gestione nazionale della pandemia.
Abbiamo “incontrato a distanza” Michael D. Higgins, Presidente d’Irlanda, che è confinato nella sua residenza Áras an Uachtaráin nel cuore di Phoenix Park a Dublino dall’inizio del lockdown. Il presidente Higgins è anche poeta ed ex docente universitario di scienze politiche e sociologia, e due suoi libri sono tradotti in italiano, Il tradimento e altre poesie (Del Vecchio), e Donne e uomini d’Irlanda: discorsi sulla rivoluzione (Aguaplano). Gli abbiamo chiesto di darci la sua opinione sulla risposta europea e globale alla pandemia, e sulle ripercussioni dell’attuale crisi mondiale in termini sociali ma anche concernenti la sfera dell’individuo.
 
L’intervista
 
Presidente, sono in molti a concordare che è giunto il momento per l’Europa di dimostrare come la solidarietà tra gli Stati dell’Unione non sia soltanto una parola vuota, ma un reale principio fondante della comunità europea. Crede che l’Europa si stia rivelando all’altezza del proprio ruolo, ed è convinto che non commetterà gli stessi errori del recente passato nella gestione di altre crisi economiche?
Nei primissimi giorni, la risposta ha rivelato un’assenza di azione collettiva, per non parlare della mancanza di solidarietà in quella competizione poco edificante per accaparrarsi dispositivi e indumenti di protezione, o anche materiali atti a fare i test. La decisione dell’Alta Corte Costituzionale Tedesca ha poi sfidato la Corte Europea di Giustizia sulle politiche e azioni monetarie, e questa è una minaccia seria per l’eurozona e per la stessa Unione Europea. La reazione da mettere in campo di fronte al Covid-19 delineerà il futuro dell’Unione Europea.
Ho scritto di recente, in un articolo sul tema dell’“Europa sociale”, che il prezzo pagato per l’austerità è una situazione che non dovrà ripresentarsi una seconda volta. È ora che si metta in campo un cambio di paradigma, e questo cambiamento deve prendere piede tra le strade d’Europa.
Sono a favore di servizi di base universali con un reddito che consenta di vivere, piuttosto che un semplice reddito di base universale di cui potrebbe abusare un sistema incline allo sfruttamento. Servizi di base universali e un reddito di base universale non sono in contraddizione, sempre che la priorità venga data ai primi.
Il Manifesto di Ventotene si contrappone nettamente alla “legge del più forte” in quanto immagine di un’Europa futura.
Quando la pandemia ha colpito il nord Italia in maniera così grave, tra le prime nazioni a inviare aiuti in termini di dottori ed equipaggiamento, c’è stata Cuba. Quali saranno le ripercussioni per la nostra società, se la crisi non verrà gestita secondo i principi della solidarietà internazionale il che vale anche per i rapporti tra Irlanda e Regno unito?
Il comportamento a cui ci ha abituati Cuba nella risposta a situazioni di grave bisogno è un esempio dell’accettazione di una responsabilità collettiva che offre la migliore delle speranze per una reazione adeguata anche ai temi della sostenibilità, e persino dei cambiamenti climatici. Per sostenibilità intendo una forma di economia eco-sociale che implichi il consenso sull’universalità dei diritti fondamentali.
L’aver incluso i medicinali e i materiali necessari per la risposta al Covid-19 nelle restrizioni nei confronti di Cuba e dell’Iran è una chiara violazione del diritto internazionale, che merita una condanna universale.
La risposta irlandese alla crisi sembra dare i suoi frutti. L’obiettivo è implementare misure che valgano per tutta l’isola d’Irlanda. Una divergenza tra quelle adottate in Irlanda e nel Regno unito è foriera di seri problemi.
Le chiedo ora un parere da sociologo. La situazione è iniziata come crisi sanitaria, ma si è subito trasformata in una crisi sociale, politica, economica, persino psicologica. Quali lezioni può insegnarci questa pandemia in termini di interconnessioni tra la società, l’economia, la politica, e la sfera dell’individuo?
È ad esempio un’enorme delusione per me costatare la discriminazione in base all’età nelle risposte alla crisi da parte di tanti paesi, anche se animati dalle migliori intenzioni. Il linguaggio utilizzato per descrivere la vulnerabilità degli anziani è stato rivelatore.
Dove è andata a finire una prospettiva di tipo sociologico?
Hanno prevalso prospettive comportamentali di corte vedute, mentre il valore di approcci fenomenologici alla gerontologia sociale è andato perduto. La mia preoccupazione di ora, da sociologo, è che si indietreggi fino a recedere verso una freddezza dei rapporti interpersonali, per allontanarci dalla quale abbiamo impiegato decenni.
Ricordiamoci che, dei cinque sensi, il più importante per Aristotele era il tatto.
Richard Kearney, in un messaggio recente, cita un pezzo di Julia Kristeva uscito sul Corriere della sera: «La carne delle parole la offriamo in pasto al virus e alla malattia, ma eravamo già orfani di questa dimensione umana che è la passione condivisa. All’improvviso ci rendiamo conto che siamo soli e che non abbiamo contatti con il nostro foro interiore. Siamo schiavi degli schermi che non hanno affatto abolito la solitudine, l’hanno solo assorbita. Ecco l’angoscia e la collera di questi giorni». È un pezzo meraviglioso, e sono d’accordo in tutto e per tutto.
Non condivido invece l’ottimismo di Richard Kearney sulla possibilità che la tecnologia possa avere un utilizzo compensativo rispetto alla comunicazione tutto troppo simile ai lumi della post-modernità.
Lei ha insegnato all’università per diversi anni, e sa bene che la formazione ha un procedere bidirezionale, non è una trasmissione piramidale del sapere. Come vede, lei, questa svolta forzata verso l’insegnamento a distanza, il cui corollario è il sacrificio della necessaria intimità da sempre alla base delle forme di apprendimento?
La presenza fisica in classe dell’insegnante è un concetto ora sotto assedio e questa è una sfida intellettuale da affrontare, davanti a cui non possiamo cedere. La relazione tra insegnante è studente è fonte di attività e capacità critica. Ricordiamoci del pessimismo di Adorno. La tecnologia in quanto strumentale è accettabile, ma come sostituto dell’incontro che avviene in un’università, non è altro che l’ultima freccia all’arco di un mercato che vive di un paradigma morente.
* Andrà tutto bene se continueremo ad attenerci scrupolosamente e responsabilmente alle regole che conosciamo, abbiate cura di voi, dei vostri cari e dei vostri amici.
Intervista di Enrico Terrinoni a Michael D. Higgins – Presidente dell’Irlanda, Vortici.it, 1 giugno 2020