La commemorazione comune, a Lund, di cattolici e protestanti, dei 500 anni della Riforma di Martin Lutero è un evento storico impossibile e impensabile fino a poco tempo fa. Purtroppo però questo evento storico sembra avvenire in sordina e passare quasi sotto silenzio.
La serie di articoli che pubblichiamo riportano opinioni autorevoli del mondo cattolico e protestante, vogliono mettere in evidenza le diverse sensibilità ed insieme anche la grande importanza di questo momento di comunione.
Soprattutto i giovani ed il mondo dell’educazione dovrebbe coglierne la grande importanza in un momento lacerato da divisioni e contrasti che sembrano insuperabili.
 
 
“Junge: solo pochi anni fa impossibile commemorare insieme Lutero
di Iacopo Scaramuzzi

«Negli anni Ottanta nessuno avrebbe creduto che luterani e cattolici sarebbero stati capaci di raggiungere un accordo sulla questione della giustificazione, come è avvenuto nel 1999, e solo pochi anni fa se si fosse parlato di una commemorazione comune dei 500 anni della Riforma di Martin Lutero molti avrebbero detto: impossibile…». Il pastore Martin Junge, Segretario Generale della Federazione Luterana Mondiale (Lutheran World Federation), è stato invitato dalla sala stampa vaticana a presentare il prossimo viaggio del Papa in Svezia, a Lund, lunedì e martedì prossimi, per commemorare appunto l’anniversario dell’avvio della riforma luterana (1517) che cade l’anno prossimo. Con lui il cardinale Kurt Koch, presidente del pontificio consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani, che ha tra l’altro rilevato come le due Chiese siano «sulla buona strada» per raggiungere un accordo sulle questioni pendenti, relative a Chiesa, ministero ed eucaristia, prospettato una non lontana seconda, dichiarazione congiunta. Il direttore della sala stampa vaticana, Greg Burke, ha sottolineato che anche Benedetto XVI avrebbe compiuto un simile viaggio.
Francesco parte lunedì 31 ottobre da Roma e giunge alle 11 all’aeroporto di Malmo, nel sud della Svezia, accolto dal primo ministro svedese Stefan Loefven. Il Papa pranza in privato, mentre si svolgono, per l’occasione, due pranzi di onore, uno offerto dallo stesso premier al cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin e uno offerto al cardinale Koch dalla Federazione Luterana Mondiale. Dopo una visita, nel primo pomeriggio, alla famiglia reale svedese, nel palazzo Kungshuset di Lund, Francesco si avvia ai due appuntamenti-clou della visita. Prima, nella cattedrale luterana di Lund, vicina al palazzo reale, una preghiera ecumenica, alle 14.30, e poi l’evento ecumenico organizzato alla Malmo Arena, dove, a conclusione, il Papa incontrerà le trenta delegazioni protestanti presenti, da vari paesi del mondo. La città di Lund è stata scelta perché qui ha sede la Federazione Luterana Mondiale e il viaggio papale intende commemorare non solo il 500esimo anniversario della Riforma ma anche i 50 anni di dialogo tra questa federazione e la Santa Sede. Poiché l’unica diocesi e la nunziatura apostolica in Svezia sono a Stoccolma, il Papa pernotta in un centro di ricerca medica vicino Lund dove la conferenza episcopale è solita riunirsi. Il secondo e ultimo giorno del viaggio, martedì primo novembre, Ognissanti, dedicato alla comunità cattolica, il Papa celebra messa nello Swedbank Stadion di Malmo, poi riparte, alle 12.30, dal locale aeroporto e arriva a Roma per le 15.30.
Il viaggio del Papa prende il nome dal rapporto pubblicato nel 2013 dalla Commissione internazionale cattolica-luterana sull’unità, «Dal conflitto alla comunione è anche il titolo di un rapporto». Interpellato dai giornalisti, Burke ha spiegato: «Penso che anche Benedetto avrebbe fatto un viaggio simile, una commemorazione, è logico data la lunga preparazione di questo evento».
Nel corso del viaggio a Lund, ha sottolineato Burke, il Papa parlerà nella sua lingua, lo spagnolo, non da ultimo perché la Svezia è un paese di consistente immigrazione, e anche molti membri della minoranza cattolica (119mila persone su una popolazione complessiva di quasi dieci milioni) sono immigrati. Tra le testimonianze della serata ecumenica di Lund interverrà anche una donna rifugiata del Sud-Sudan. Sarà presente anche il vescovo di Aleppo, poiché sugli aiuti al paese in guerra, così come su altre emergenze, Caritas e Chiesa svedese collaborano da molto tempo. «La Federazione luterana mondiale ha piena comprensione delle necessità pastorali del Papa», ha spiegato Junge ai giornalisti che domandavano se la seconda giornata, inizialmente non prevista nel programma del viaggio, non rischi di diluire il contenuto ecumenico del viaggio.
La novità del viaggio, ha detto Koch, «consiste nel fatto stesso che abbiamo una commemorazione comune», mentre in passato vi erano commemorazioni distinte, non di rado con «conti trionfalistici o polemici». «Ho un po’ paura che si relativizzi il viaggio alla domanda: cosa ci sarà di nuovo? Ad ogni modo non so cosa dirà il Papa: sappiamo che il Papa è sempre pronto a fare sorprese, ma se si raccontassero in anticipo le sorprese non sarebbero più sorprese». Nel corso del briefing, Burke, da parte sua, ha detto che non è atteso che il Papa annuncerà novità sul tema della intercomunione, ricordando però che Francesco aveva già fatto significative aperture nel corso di una visita alla chiesa luterana di Roma nel novembre del 2015. E a chi domandava se il Papa ne approfitterà per togliere la scomunica a Martin Lutero, «non può toglierla – ha risposto Koch – perché la scomunica è finita con la sua morte. Una scomunica termina con la morte di una persona e un Papa non ha il potere di cambiare le cose nell’eternità… Altro è quello che possiamo dire su Lutero e quello che possiamo anche imparare da Lutero. Ad esempio il bel discorso pronunciato da Giovanni Paolo II a Mainz o quello pronunciato da Benedetto XVI a Erfurt, quando ha sottolineato che la maggiore preoccupazione di Lutero era la centralità di Dio e di Cristo, o, ancora, quello che ha detto il Papa di ritorno dall’Armenia, quando ha sottolineato che Lutero aveva buone intenzioni».
A chi ricordava un’affermazione del cardinale Gerhard Ludwig Mueller, prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, secondo il quale, a quanto riferito, «i cattolici non hanno nulla da festeggiare per la data del 31 ottobre del 1517 che segna l’inizio della divisione nella Chiesa», il cardinale Koch ha risposto dapprima con una battuta: «Festeggiare in italiano e in tedesco non significa la stessa cosa… in italiano si può festeggiare tutto!». Poi il porporato ha sottolineato che il documento congiunto del 2013, dal conflitto alla comunione, tocca tre punti diversi del rapporto cattolico-luterano: la gratitudine per i passi avanti compiuti, «e questo lo possiamo festeggiare», la speranza di farne altri, «e questo pure possiamo festeggiare», e la considerazione che Lutero non intendeva dividere la Chiesa ma riformarla, «ma non è stato possibile, alla fine vi sono state divisioni e una orribile guerra confessionale: su questo non festeggiamo ma è un tema da approfondire per andare avanti».
Quanto alla collaborazione delle due Chiese su questioni pratiche e sociali, Koch ha invitato a non «mettere in opposizione» i diversi ecumenismi, quello spirituale, quello culturale, quello pratico, perché i diversi cammini devono essere tenuti insieme. «Negli anni Ottanta», ha detto da parte sua Junge, «nessuno avrebbe creduto che luterani e cattolici sarebbero stati capaci di raggiungere un accordo sulla questione della giustificazione, come è avvenuto nel 1999, e solo pochi anni fa se si fosse parlato di una commemorazione comune dei 500 anni della Riforma di Martin Lutero molti avrebbero detto: impossibile…. Questo mi dice che le cose impossibili a volte diventano possibili. Oggi viviamo in un tempo di frammentazione, in un mondo ferito dalle guerre, e camminare insieme è una potente testimonianza che diamo ed è un grande contributo non solo sul piano pratico ma anche per crescere insieme nella fiducia reciproca».
Diverse questioni, certo, dividono ancora luterani e cattolici. Tanto Junge quanto Koch hanno sottolineato che già la dichiarazione congiunta sulla giustificazione mette in evidenza che non c’è accordo su tre punti, relativi al ministero, alla Chiesa e all’eucaristia. «Su questi temi c’è, a livello regionale, un dialogo avviato che procede bene. Siamo sulla buona strada per risolvere questi tre punti, e possiamo andare sulla via di una nuova dichiarazione su questi temi».
in “La Stampa-Vatican Insider” del 26 ottobre 2016
 
 
“Lutero? Ha messo la Bibbia nelle mani del popolo”
intervista a papa Francesco di padre Ulf Jonsson
«A me viene da dire una sola parola: avvicinarmi. La mia speranza e la mia attesa sono quelle di avvicinarmi di più ai miei fratelli e alle mie sorelle. La vicinanza fa bene a tutti. La distanza invece ci fa ammalare». Così Papa Francesco ha risposto alla domanda sulle sue attese per il viaggio in Svezia che inizia lunedì, in occasione dei 500 anni della Riforma di Lutero. Il Pontefice è stato intervistato da padre Ulf Jonsson, direttore della rivista dei gesuiti svedesi “Signum”; il testo del colloquio è stato diffuso da “La Civiltà Cattolica”. Jorge Mario Bergoglio ha parlato anche di Lutero, autore del «grande passo» di «mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo».
Papa Bergoglio ricorda la prima volta che è entrato in una chiesa luterana in Argentina, nella calle Esmeralda, a Buenos Aires a 17 anni. Quindi cita l’incontro con un professore della Facoltà di Teologia luterana. In quel momento padre Bergoglio era insegnante di Teologia spirituale al Collegio San Miguel. «Ricordo che quello era un momento davvero difficile per la mia anima. Io ho avuto molta fiducia in lui e gli ho aperto il mio cuore. Lui mi ha molto aiutato in quel momento».
Riforma e Scrittura
Alla domanda su che cosa la Chiesa cattolica potrebbe imparare dalla tradizione luterana, il Papa risponde: «Mi vengono in mente due parole: “riforma” e “Scrittura”. Cerco di spiegarmi. La prima è la parola “riforma”. All’inizio quello di Lutero era un gesto di riforma in un momento difficile per la Chiesa. Lutero voleva porre un rimedio a una situazione complessa. Poi questo gesto — anche a causa di situazioni politiche, pensiamo anche al cuius regio eius religio — è diventato uno “stato” di separazione, e non un “processo” di riforma di tutta la Chiesa, che invece è fondamentale, perché la Chiesa è semper reformanda. La seconda parola è “Scrittura”, la Parola di Dio. Lutero ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo. Riforma e Scrittura sono le due cose fondamentali che possiamo approfondire guardando alla tradizione luterana. Mi vengono in mente adesso le Congregazioni Generali prima del conclave e quanto la richiesta di una riforma sia stata viva e presente nelle nostre discussioni».
Preghiera comune e azioni di misericordia
Sull’ecumenismo, il Papa ribadisce che oltre al dialogo teologico servono «la preghiera comune e le opere di misericordia, cioè il lavoro fatto insieme nell’aiuto agli ammalati, ai poveri, ai carcerati. Fare qualcosa insieme è una forma alta ed efficace di dialogo. Penso anche all’educazione. È importante lavorare insieme e non settariamente». Francesco ribadisce il suo no al proselitismo: «Un criterio dovremmo averlo molto chiaro in ogni caso: fare proselitismo nel campo ecclesiale è peccato. Benedetto XVI ci ha detto che la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione. Il proselitismo è un atteggiamento peccaminoso. Sarebbe come trasformare la Chiesa in una organizzazione. Parlare, pregare, lavorare insieme: questo è il cammino che dobbiamo fare. Vedi, nell’unità quello che non sbaglia mai è il nemico, il demonio. Quando i cristiani sono perseguitati e uccisi, lo sono perché sono cristiani e non perché sono luterani, calvinisti, anglicani, cattolici o ortodossi. Esiste un ecumenismo del sangue».
Quel pazzo della strage di Nizza
Sul recente incontro di Assisi, «molto rispettoso e senza sincretismo», il Papa ricorda: «Tutti insieme abbiamo parlato della pace e abbiamo chiesto la pace. Abbiamo detto insieme parole forti per la pace, che le religioni davvero vogliono. Non si può fare la guerra in nome della religione, di Dio: è una bestemmia, è satanico». Francesco cita la strage di Nizza: «Quel pazzo che ha commesso quella strage lo ha fatto credendo di farlo in nome di Dio. Pover’uomo, era uno squilibrato! Con carità possiamo dire che era uno squilibrato che ha cercato di usare una giustificazione nel nome di Dio. Per questo l’incontro di Assisi è molto importante».
Non manca un accenno al «terrorismo delle chiacchiere»
«Ogni persona è capace di diventare terrorista anche semplicemente usando la lingua. Non parlo delle liti che si fanno apertamente, come le guerre. Parlo di un terrorismo subdolo, nascosto, che si fa buttando parole come “bombe”, e che fa molto male. La radice di questo terrorismo è nel peccato originale, ed è una forma di criminalità. È un modo per guadagnare spazio per sé distruggendo l’altro. È necessaria, dunque, una profonda conversione del cuore per vincere questa tentazione».
Trascendenza non vuol dire terrorismo
Francesco si dice certo che la vera apertura alla trascendenza non può provocare terrorismo. «Ci sono idolatrie legate alla religione: l’idolatria dei soldi, delle inimicizie, dello spazio superiore al tempo, la cupidigia della territorialità dello spazio. C’è una idolatria della conquista dello spazio, del dominio, che attacca le religioni come un virus maligno. E l’idolatria è una finta di religione, è una religiosità sbagliata. Io la chiamo “una trascendenza immanente”, cioè una contraddizione. Invece le religioni vere sono lo sviluppo della capacità che ha l’uomo di trascendersi verso l’assoluto. Il fenomeno religioso è trascendente e ha a che fare con la verità, la bellezza, la bontà e l’unità. Se non c’è questa apertura, non c’è trascendenza, non c’è vera religione, c’è idolatria. L’apertura alla trascendenza dunque non può assolutamente essere causa di terrorismo, perché questa apertura è sempre unita alla ricerca della verità, della bellezza, della bontà e dell’unità».
La mamma sgozzata davanti ai figli perchè ha difeso la croce
A proposito della situazione dei cristiani in Medio Oriente, Papa Bergoglio afferma: «Credo che il Signore non lascerà il suo popolo a se stesso, non lo abbandonerà. Quando leggiamo delle dure prove del popolo di Israele nella Bibbia o facciamo memoria delle prove dei martiri, constatiamo come il Signore sia sempre venuto in aiuto del suo popolo». In questo momento il Medio Oriente «è terra di martiri. Possiamo senza dubbio parlare di una Siria martire e martoriata. Voglio citare un ricordo personale che mi è rimasto nel cuore: a Lesbo ho incontrato un papà con due bambini. Lui mi ha detto che era tanto innamorato di sua moglie. Lui è musulmano e lei era cristiana. Quando sono venuti i terroristi, hanno voluto che lei si togliesse la croce, ma lei non ha voluto e loro l’hanno sgozzata davanti a suo marito e ai suoi figli. E lui mi continuava a dire: “Io l’amo tanto, l’amo tanto”. Sì, lei è una martire. Ma il cristiano sa che c’è speranza. Il sangue dei martiri è il seme dei cristiani: lo sappiamo da sempre».
Per la Chiesa la sfida è l’unione tra anziani e giovani
Papa Bergoglio risponde poi a una domanda sulle Chiese delle periferie. «È vero che le Chiese giovani hanno uno spirito più fresco e, d’altra parte, ci sono Chiese invecchiate, Chiese un po’ addormentate, che sembrano essere interessate solamente a conservare il loro spazio. In questi casi non dico che manchi lo spirito: c’è, sì, ma è chiuso in una struttura, in un modo rigido, timoroso di perdere spazio. Nelle Chiese di alcuni Paesi si vede proprio che manca freschezza. In questo senso la freschezza delle periferie dà più posto allo spirito. Bisogna evitare gli effetti di un cattivo invecchiamento delle Chiese. Fa bene rileggere il capitolo terzo del profeta Gioele, lì dove dice che gli anziani faranno sogni e che i giovani avranno visioni. Nei sogni degli anziani c’è la possibilità che i nostri giovani abbiano nuove visioni, abbiano nuovamente un futuro. Invece le Chiese a volte sono chiuse nei programmi, nelle programmazioni. Lo ammetto: so che sono necessari, ma io faccio molta fatica a porre molta speranza negli organigrammi. Lo spirito è pronto a spingerci, ad andare avanti. E lo spirito si trova nella capacità di sognare e nella capacità di profetizzare. Questa per me è una sfida per tutta la Chiesa. E l’unione tra anziani e giovani è per me la sfida del momento per la Chiesa, la sfida alla sua capacità di freschezza».
Contro l’ateismo preghiera e testimonianza
Alla domanda su che cosa «si perde una persona che non crede in Dio», Francesco risponde: «Non si tratta di perdere qualcosa. Si tratta di non sviluppare adeguatamente una capacità di trascendenza. La strada della trascendenza dà posto a Dio, e in questo sono importanti anche i piccoli passi, persino quello da essere ateo ad essere agnostico. Il problema per me è quando si è chiusi e si considera la propria vita perfetta in se stessa, e dunque chiusa in se stessa senza bisogno di una radicale trascendenza. Ma per aprire gli altri alla trascendenza non c’è bisogno di fare tante parole e discorsi. Chi vive la trascendenza è visibile: è una testimonianza vivente. Nel pranzo che ho avuto a Cracovia con alcuni giovani, uno di loro mi ha chiesto: “Che cosa devo dire a un mio amico che non crede in Dio? Come faccio a convertirlo?”. Io gli ho risposto: “L’ultima cosa che devi fare è dire qualcosa. Agisci! Vivi! Poi davanti alla tua vita, alla tua testimonianza, l’altro forse ti chiederà perché vivi così”. Io sono convinto che chi non crede o non cerca Dio forse non ha sentito l’inquietudine di una testimonianza. E questo è molto legato al benessere. L’inquietudine si trova difficilmente nel benessere. Per questo credo che contro l’ateismo, cioè contro la chiusura alla trascendenza, valgano davvero solamente la preghiera e la testimonianza».
«Ecco perchè celebro messa in Svezia nonostante i problemi organizzativi»
Infine, il Papa offre un’indicazione ai cattolici svedesi auspicando «una sana convivenza, dove ognuno può vivere la propria fede ed esprimere la propria testimonianza vivendo uno spirito aperto ed ecumenico», perché «non si può essere cattolici e settari. Bisogna tendere a stare insieme agli altri». «”Cattolico” e “settario” sono due parole in contraddizione. Per questo – conclude Francesco – all’inizio non prevedevo di celebrare una messa per i cattolici in questo viaggio: volevo insistere su una testimonianza ecumenica. Poi ho riflettuto bene sul mio ruolo di pastore di un gregge cattolico che arriverà anche da altri Paesi vicini, come la Norvegia e la Danimarca. Allora, rispondendo alla fervida richiesta della comunità cattolica, ho deciso di celebrare una messa, allungando il viaggio di un giorno. Infatti volevo che la messa fosse celebrata non nello stesso giorno e non nello stesso luogo dell’incontro ecumenico per evitare di confondere i piani. L’incontro ecumenico va preservato nel suo significato profondo secondo uno spirito di unità, che è il mio. Questo ha creato problemi organizzativi, lo so, perché sarò in Svezia anche nel giorno dei Santi, che qui a Roma è importante. Ma pur di evitare fraintendimenti, ho voluto che fosse così».
La grazia della vergogna
Una domanda riguarda Gesù e che cosa rappresenta per il Papa: «Gesù per me è Colui che mi ha guardato con misericordia e mi ha salvato. Il mio rapporto con Lui ha sempre questo principio e fondamento. Gesù ha dato senso alla mia vita di qui sulla terra, e speranza per la vita futura. Con la misericordia mi ha guardato, mi ha preso, mi ha messo in strada… E mi ha dato una grazia importante: la grazia della vergogna… La vergogna è positiva: ti fa agire, ma ti fa capire qual è il tuo posto, chi tu sei, impedendo ogni superbia e vanagloria».
Ulf Jonsson, direttore della rivista dei gesuiti svedesi “Signum” (Il testo è stato diffuso da “La Civiltà Cattolica”)
in, La Stampa-Vatican Insider” del 28 ottobre 2016
 
 
“Pensiero e spiritualità di Lutero erano del tutto centrati su Cristo”
di Andrea Tornielli
«Il pensiero di Lutero, l’intera sua spiritualità era del tutto cristocentrica: “Ciò che promuove la causa di Cristo” era per Lutero il criterio ermeneutico decisivo nell’interpretazione della Sacra Scrittura». Così aveva detto Papa Ratzinger venerdì 23 settembre 2011, incontrando i rappresentanti del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania nell’ex convento degli agostiniani di Erfurt. Nel luogo in cui Lutero studiò teologia e celebrò la sua prima messa.
«Ciò che non gli dava pace – disse Benedetto XVI – era la questione su Dio, che fu la passione profonda e la molla della sua vita e dell’intero suo cammino. “Come posso avere un Dio misericordioso?”: questa domanda gli penetrava nel cuore e stava dietro ogni sua ricerca teologica e ogni lotta interiore. Per Lutero la teologia non era una questione accademica, ma la lotta interiore con se stesso, e questo, poi, era una lotta riguardo a Dio e con Dio».
«“Come posso avere un Dio misericordioso?”. Che questa domanda – continuava Papa Ratzinger – sia stata la forza motrice di tutto il suo cammino mi colpisce sempre nuovamente nel cuore. Chi, infatti, oggi si preoccupa ancora di questo, anche tra i cristiani? Che cosa significa la questione su Dio nella nostra vita? Nel nostro annuncio? La maggior parte della gente, anche dei cristiani, oggi dà per scontato che Dio, in ultima analisi, non si interessa dei nostri peccati e delle nostre virtù. Egli sa, appunto, che tutti siamo soltanto carne. Se si crede ancora in un al di là e in un giudizio di Dio, allora quasi tutti presupponiamo in pratica che Dio debba essere generoso e, alla fine, nella sua misericordia, ignorerà le nostre piccole mancanze. La questione non ci preoccupa più».
«Ma sono veramente così piccole le nostre mancanze? – si domandava Benedetto – Non viene forse devastato il mondo a causa della corruzione dei grandi, ma anche dei piccoli, che pensano soltanto al proprio tornaconto? Non viene forse devastato a causa del potere della droga, che vive, da una parte, della brama di vita e di denaro e, dall’altra, dell’avidità di piacere delle persone dedite ad essa? Non è forse minacciato dalla crescente disposizione alla violenza che, non di rado, si maschera con l’apparenza della religiosità? La fame e la povertà potrebbero devastare a tal punto intere parti del mondo se in noi l’amore di Dio e, a partire da Lui, l’amore per il prossimo, per le creature di Dio, gli uomini, fosse più vivo? E le domande in questo senso potrebbero continuare».
«No – aggiungeva il Pontefice – il male non è un’inezia. Esso non potrebbe essere così potente se noi mettessimo Dio veramente al centro della nostra vita. La domanda: Qual è la posizione di Dio nei miei confronti, come mi trovo io davanti a Dio? – questa scottante domanda di Lutero deve diventare di nuovo, e certamente in forma nuova, anche la nostra domanda, non accademica, ma concreta. Penso che questo sia il primo appello che dovremmo sentire nell’incontro con Martin Lutero».
«Dio, l’unico Dio, il Creatore del cielo e della terra, è qualcosa di diverso da un’ipotesi filosofica sull’origine del cosmo. Questo Dio ha un volto e ci ha parlato. Nell’uomo Gesù Cristo è diventato uno di noi – insieme vero Dio e vero uomo. Il pensiero di Lutero, l’intera sua spiritualità era del tutto cristocentrica: “Ciò che promuove la causa di Cristo” era per Lutero il criterio ermeneutico decisivo nell’interpretazione della Sacra Scrittura. Questo, però, presuppone che Cristo sia il centro della nostra spiritualità e che l’amore per Lui, il vivere insieme con Lui orienti la nostra vita».
Benedetto XVI passava quindi a riflettere su che cosa tutto ciò abbia a che fare con l’ecumenismo. «Tutto ciò è forse soltanto un tentativo di eludere con tante parole i problemi urgenti, nei quali aspettiamo progressi pratici, risultati concreti? A questo riguardo rispondo: la cosa più necessaria per l’ecumenismo è innanzitutto che, sotto la pressione della secolarizzazione, non perdiamo quasi inavvertitamente le grandi cose che abbiamo in comune, che di per sé ci rendono cristiani e che ci sono restate come dono e compito».
È stato, questo, spiegava Papa Ratzinger, «l’errore dell’età confessionale», l’aver visto «per lo più soltanto ciò che separa, e non aver percepito in modo esistenziale ciò che abbiamo in comune nelle grandi direttive della Sacra Scrittura e nelle professioni di fede del cristianesimo antico. È questo per me il grande progresso ecumenico degli ultimi decenni: che ci siamo resi conto di questa comunione e, nel pregare e cantare insieme, nell’impegno comune per l’ethos cristiano di fronte al mondo, nella comune testimonianza del Dio di Gesù Cristo in questo mondo, riconosciamo tale comunione come il nostro comune fondamento imperituro».
Benedetto concludeva il suo discorso sottolineando due aspetti che mettono in pericolo questa comunione. Innanzitutto il diffondersi di un cristianesimo «con un immenso dinamismo missionario, a volte preoccupante nelle sue forme», un cristianesimo «di scarsa densità istituzionale, con poco bagaglio razionale e ancora meno bagaglio dogmatico e anche con poca stabilità». «Questo fenomeno mondiale – che mi viene continuamente descritto dai vescovi di tutto il mondo – ci pone tutti davanti alla domanda: che cosa ha da dire a noi di positivo e di negativo questa nuova forma di cristianesimo? In ogni caso, ci mette nuovamente di fronte alla domanda su che cosa sia ciò che resta sempre valido e che cosa possa o debba essere cambiato, di fronte alla questione circa la nostra scelta fondamentale nella fede».
Il secondo aspetto problematico citato da Papa Ratzinger era la sfida della secolarizzazione. «L’assenza di Dio nella nostra società si fa più pesante, la storia della sua rivelazione, di cui ci parla la Scrittura, sembra collocata in un passato che si allontana sempre di più. Occorre forse cedere alla pressione della secolarizzazione, diventare moderni mediante un annacquamento della fede? Naturalmente, la fede deve essere ripensata e soprattutto rivissuta oggi in modo nuovo per diventare una cosa che appartiene al presente. Ma non è l’annacquamento della fede che aiuta, bensì solo il viverla interamente nel nostro oggi. Questo è un compito ecumenico centrale nel quale dobbiamo aiutarci a vicenda: a credere in modo più profondo e più vivo. Non saranno le tattiche a salvarci, a salvare il cristianesimo, ma una fede ripensata e rivissuta in modo nuovo, mediante la quale Cristo, e con Lui il Dio vivente, entri in questo nostro mondo».
«Come i martiri dell’epoca nazista ci hanno condotti gli uni verso gli altri e hanno suscitato la prima grande apertura ecumenica – aveva concluso Benedetto – così anche oggi la fede, vissuta a partire dell’intimo di se stessi, in un mondo secolarizzato, è la forza ecumenica più forte che ci ricongiunge, guidandoci verso l’unità nell’unico Signore. E per questo lo preghiamo di imparare di nuovo a vivere la fede per poter diventare così una cosa sola».
in “La Stampa-Vatican Insider” del 27 ottobre 2016
 
 
Ricca: “La Riforma: un evento rilevante per la storia cristiana, anche quella cattolica”
intervista a Paolo Ricca a cura di Luca Baratto
Il prossimo 31 ottobre, il giorno che ricorda l’affissione delle 95 tesi di Martin Lutero contro le indulgenze, si terrà a Lund, Svezia, una commemorazione congiunta alla quale parteciperanno papa Francesco, il vescovo Munib Younan e il pastore Martin Junge, rispettivamente presidente e segretario generale della Federazione luterana mondiale (FLM), e la vescova Antje Jackléen, primate della Chiesa di Svezia. L’incontro, di fatto, aprirà gli eventi ufficiali del Cinquecentenario della Riforma protestante (1517-2017). A questo proposito abbiamo rivolto alcune domande al teologo valdese Paolo Ricca.
Dal suo punto di vista di teologo evangelico, come valuta l’evento di Lund?
Lo valuto molto positivamente. Prima di tutto perché, a mia conoscenza, è la prima volta che un papa si associa pubblicamente a una celebrazione della Riforma, promossa dai luterani in casa luterana. In particolare, il fatto che papa Francesco si rechi a Lund accentua una volontà di decentramento del pontefice, che si sposta da Roma: lo aveva già mostrato inaugurando l’anno giubilare in Africa. Ora si reca in Svezia, in una città storica del protestantesimo, per associarsi a una celebrazione della Riforma. Certo, il termine corretto non sarebbe “celebrazione” ma “commemorazione”, un termine neutro che indica il fare memoria di qualcosa prescindendo da qualsiasi giudizio di valore sull’evento che si ricorda. E’ la parola proposta dal documento cattolico- luterano “Dal conflitto alla comunione”. Tuttavia, io mi immagino che i luterani svedesi “celebreranno” la Riforma. E a parte le questioni linguistiche, il fatto che il papa sia a Lund significa che egli considera la Riforma un evento rilevante per la storia cristiana in generale, anche per la storia del cattolicesimo. Rispetto a Lund non vedo altro che aspetti positivi. Poi, certamente, molto dipenderà da quello che i protagonisti diranno in quella sede. Si tratta di un fatto nuovo, inedito che richiede molto coraggio da chi lo ha reso possibile. Solo le persone libere – e, a mio parere, la principale caratteristica di papa Francesco è quella di essere un uomo libero – fanno accadere cose nuove, inedite.
Naturalmente non mancano critiche a questo evento sia da parte cattolica sia da parte evangelica. C’è chi dice, tra gli evangelici, che queste aperture ecumeniche decreterebbero la fine della Riforma, il fatto che la Riforma non abbia più nulla da dire. Cosa ne pensa?
E’ esattamente il contrario! E’ Roma che ha sempre sostenuto, fino al Concilio Vaticano II, che la Riforma non avesse niente da dire, non fosse altro che un’eresia un allontanamento dalla verità, un veleno spirituale. Questa è stata la posizione cattolica fino al Vaticano II, cioè praticamente fino a ieri! Ora non è più così. Il Concilio Vaticano II ha abolito la categoria dell’eresia, nei confronti delle chiese evangeliche. Certo non le definisce chiese, le chiama comunità ecclesiali, ma si discosta completamente dalla posizione ufficiale sostenuta per quattro secoli e mezzo. La presenza di papa Francesco a Lund è il riconoscimento che la Riforma è stata un evento positivo per il cristianesimo nel suo insieme. Non è il segno che la Riforma non ha niente da dire. Al contrario, essa comincia a dire qualche cosa anche là dove finora non aveva detto nulla, cioè in campo cattolico.
Considerando in modo più generale il Cinquecentenario, qual è il messaggio della Riforma che ancora oggi rimane attuale, di cui anche il mondo di oggi ha bisogno?
Il nostro mondo ha bisogno di Dio. La Riforma è stata una grande riscoperta di un aspetto fondamentale del messaggio evangelico – e quindi di un aspetto di Dio, perché noi conosciamo Dio soltanto attraverso il messaggio della Bibbia. Questo aspetto è la giustizia di Dio, la giustificazione del peccatore, la grazia incondizionata, immeritata. Questo evangelo – che non è tutto l’evangelo cristiano, ma ne è un punto fondamentale – ha messo in luce la Riforma che ha riscoperto la realtà di Dio riscoprendo la sua giustizia, che non è una giustizia che Dio pretende ma che Dio dona. Può darsi che questo tema non sia centrale nella sensibilità religiosa o laica del nostro tempo, ma quello che la Riforma ha fatto è stato questo: parlare di Dio secondo la Sacra Scrittura. Questo, almeno nel nostro mondo secolare in Occidente, mi pare sia una messaggio di un’attualità assoluta, quello che potremmo definire l’unum necessarium: riprendere coscienza della realtà di Dio.
Nel dialogo tra la chiesa cattolica romana e le chiese luterane la Dichiarazione congiunta sulla giustificazione per fede, sottoscritto ad Augusta (Germania) nel 1999, è una pietra miliare. In che modo ha inciso questo documento nelle relazioni tra le due famiglie confessionali?
La Dichiarazione congiunta è un documento di enorme importanza e valore, anche per l’introduzione del concetto di “consenso differenziato” per cui si è d’accordo sulle affermazioni centrali e ci si differenzia su questioni non centrali che non impediscono la comunione. Tuttavia, la mia opinione è che il documento non abbia inciso nella vita delle chiese. Questo principalmente per il fatto che la giustificazione per fede riveste un’importanza diversa per cattolici e luterani. Per i luterani è centrale nella vita di fede, per i cattolici no. Esagerando un po’, direi che a livello di sensibilità spirituale profonda la giustificazione per fede non appartiene al vissuto della fede del mondo cattolico. Questa asimmetria pesa sull’esito concreto del documento. In più, la comunione che lascia presagire la Dichiarazione congiunta è del tutto teorica perché non c’è accordo sulla questione del ministero. L’accordo sulla giustificazione da sola non basta. In fondo, un accordo si era già trovato nel XVI secolo con la dottrina della doppia giustificazione proposta ai dialoghi di Ratisbona del 1541. Anche in quel caso, l’accordo non bastò a cambiare le cose. Se non si trova un accordo globale, soprattutto sulla questione controversa del ministero, quello sulla giustificazione da solo non basta.
in “NEV” – Notizie evangeliche – del 26 ottobre 2016
 
 
L’alterità della Bibbia
intervista a Lothar Vogel

Siamo giunti all’inizio, riconosciuto anche dai media, delle celebrazioni per il Cinquecentenario della Riforma protestante, anticipate già da diversi mesi da numerose iniziative. Ne parliamo con il pastore Lothar Vogel, professore di Storia del Cristianesimo alla Facoltà valdese di Teologia di Roma, al quale chiediamo innanzitutto come le differenze tra le chiese protestanti in Italia e in Germania (suo paese d’origine) possono rappresentare diversi punti di vista e quindi dare un diverso «taglio» alle celebrazioni. «Le due situazioni sono abbastanza diverse, non soltanto a causa della maggiore vicinanza geografica della Germania ai centri originari della Riforma, ma anche alla diversa posizione sociale delle chiese evangeliche, che hanno più o meno lo stesso numero di membri della Chiesa cattolica: questo significa che hanno spesso anche problemi molto simili, a volte si trovano in una condizione di chiese ex-maggioritarie che le portano ad avere comportamenti più simili in quanto all’organizzazione. Inoltre c’è una storia decisamente più lunga per quanto riguarda l’ecumenismo “diffuso”; mi ha molto colpito, quando sono arrivato in Italia, sentir parlare dell’inizio dell’ecumenismo in seguito al Concilio Vaticano II: in Germania per quasi tutto il XX secolo ci sono stati un fattivo avvicinamento e una collaborazione che danno a questo ecumenismo un respiro più lungo».
– Quale ruolo ha avuto l’attuale papa nel «preparare» questo anniversario?
«Sicuramente un papa diverso, che trasmettesse anzitutto un’“atmosfera” diversa, avrebbe un po’ cambiato la situazione. È evidente che anzitutto con l’attitudine, il modo di porsi stesso che papa Francesco dimostra, c’è una maggiore disponibilità e interesse per il protestantesimo in Italia. Però direi anche un’altra cosa: noi come Facoltà valdese di Teologia abbiamo alcune collaborazioni con colleghi e Atenei cattolici, indipendentemente da chi sia il papa: non ci sarebbero state una differenza o una contrapposizione totale. Per questo motivo penso che in Italia questo abbia un peso ma che non sia totalmente condizionante».
– La Riforma protestante porta un messaggio che va ben al di là delle chiese che si sono sviluppate a partire da essa: qual è il suo significato oggi e in che cosa consiste l’attualità della Riforma di cui spesso si parla?
«Premetto che secondo me il nucleo del messaggio della Riforma non è confessionale: se guardiamo all’insegnamento di Lutero all’Università di Wittenberg negli anni 1513- 1516, vediamo presenti tutti gli elementi che formeranno la sua teologia, che in quel momento viene svolta tranquillamente, senza contestazioni, all’interno di un impianto cattolico. Ricordo a questo proposito che il teologo valdese Giovanni Miegge una volta ha detto che è stato dovuto a contingenze il fatto che questa teologia praticata a Wittenberg (del resto in modo collegiale) non sia finita nelle “note a pié di pagina” della storia della teologia, ma abbia suscitato questo processo, una contingenza dietro la quale Miegge vedeva una “mano più alta”.
Questa teologia non è in partenza confessionale. L’attualità dell’approccio teologico di Lutero e degli altri riformatori potrebbe consistere nel coraggio di affrontare l’“alterità della Bibbia” rispetto ai nostri convincimenti abituali. Quando si parla di una riscoperta della Bibbia ai tempi di Lutero, bisogna tenere conto che in realtà nel 1500-1510 la Bibbia era culturalmente onnipresente nella società occidentale: i riformatori hanno contribuito a un’esegesi più approfondita e più adeguata e in un primo momento “disorientante” della Scrittura. Mi chiedo se noi, che ci troviamo in condizioni in cui l’autorità della Bibbia è decisamente meno riconosciuta di allora, abbiamo ancora il coraggio di farci disorientare, di mettere alla prova i nostri convincimenti nella speranza che la Bibbia possa dischiuderci una dimensione salvifica, oppure di verità pronunciabile ed efficace oggi».
– Quindi piuttosto che di rottura della chiesa con la Riforma si dovrebbe parlare di rottura fra il Cinquecento e l’oggi?
«Se sia una rottura è tutto da vedere, ma sicuramente dei cambiamenti profondi ci separano da
questa epoca. Faccio un esempio: se guardiamo le narrazioni sulle conversioni (August Hermann Francke – 1663- 1727 – o John Wesley, fondatore del movimento metodista) incontriamo sempre un momento in cui non basta più comprendere e interpretare bene la Bibbia, c’è un dubbio più profondo: “Ma se tutto quello che è scritto nella Bibbia è illusorio, che faccio?”. Questa esigenza di un altro tipo di verifica, che potremmo definire “esistenziale”, si pone già nel XVII secolo, ma nel XVI non era presente. E con questa differenza dobbiamo fare i conti. Non dobbiamo farci illusioni: ci sono tanti aspetti su cui cattolici ed evangelici del Cinquecento sarebbero d’accordo “contro di noi”, a cominciare dal presupposto, non messo in discussione nel XVI secolo, che la Bibbia è parola di Dio; noi che siamo passati attraverso secoli di discussioni, attraverso l’Illuminismo, viviamo in un mondo culturale profondamente diverso dal Cinquecento, non possiamo sfuggire a queste differenze».
– Il contesto di oggi è quindi incomparabile con quello della Riforma. Ma, se per ipotesi la Riforma avvenisse oggi, sarebbe possibile, e su quali contenuti principali?
«Non sono certo un profeta, ma dal mio punto di vista di storico della Chiesa posso dire innanzitutto che la storia non si ripete: sarebbe illusorio pensare di poter risuscitare i processi che si sono verificati cinquecento anni fa. Dall’altro lato vedo anche che la fede cristiana è sempre rimasta sotto questa esigenza dell’ecclesia semper reformanda, sin dall’inizio. Non c’è mai stato cristianesimo che non sia vissuto con questa esigenza. Io forse direi una cosa in più: è giusto ricordarsi che la Riforma di Lutero parte dalla riflessione sulla penitenza, da un esame di coscienza e non da un attacco contro altri. Se noi vogliamo riallacciarci alla Riforma del XVI secolo, credo che questo esame di coscienza sia centrale; un processo significativo potrebbe essere innescato soltanto ricordando che, secondo Lutero e gli altri riformatori, il giudizio sull’insegnamento e la predicazione spettava sempre al popolo credente della comunità. Questo significa che forse dobbiamo reimparare a interpretare questo giudizio, a distinguere tra questa disponibilità a un giudizio ed eventuali mosse di manipolazione, dobbiamo essere in grado di dire quello che noi consideriamo valido e affidabile e ciò che invece consideriamo illusorio».
– Sono esistite o potrebbero esistere altre Riforme, o fenomeni analoghi, presso altre fedi o religioni? O quello del Cinquecento è irripetibile?
«La Riforma è irripetibile in senso storico, perché presupponeva condizioni storiche particolari, ma ciò non toglie che sia la fede cristiana sia altre religioni (per quanto io posso valutare) vivano anche di un confronto dialettico con la società con cui si trovano a interloquire, esigenze riformistiche e di ridefinizione e riformulazione della fede sono una dimensione imprescindibile di una religione. Anche di fronte a eventuali ritorni a fondamentalismi, che possiamo osservare in tutte le religioni, c’è l’esigenza di “ripartenze” che secondo me hanno significato nel momento in cui riescono a interloquire con la società e a rispettare quello che i riformatori hanno chiamato il “giudizio del popolo credente”; la Riforma del XVI secolo potrebbe prestarsi come paradigma di come una riforma possa essere fruttuosa, che ispira senza avere chiusure. La Riforma parte anche da un progetto intellettuale di confronto con un testo, con una fede motivata, e non da idee di “uniformazione”. L’intuito iniziale della Riforma è stato disorientante e questo è stato anche il suo potenziale».
– L’augurio che ci si può fare dunque per il cinquecentenario della Riforma è che la conoscenza di ciò che è stata la Riforma protestante possa estendersi nel modo più ampio possibile, offrendo degli spunti e degli esempi importanti e attuali anche nella società di oggi?
«Sì, il mio augurio è anche che si diffonda (cosa che secondo me è in pieno atto) una lettura, di questa storia della Riforma, serena, non identitaria o apologetica, che possa dare spunti ecumenici molto utili».
a cura di Sara Tourn, “Riforma” – settimanale delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi – del 28 ottobre 2016«Oltre la Riforma per riscoprire l’essenziale»
 
 
intervista a Brian Farrel
a cura di Stefania Falasca
«La preminenza della grazia è una verità fondamentale necessaria per la vita cristiana, per la vita stessa della Chiesa. Tornare all’essenziale delle cose è la salvezza della Chiesa». Per monsignor Brian Farrell, segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, la commemorazione ecumenica congiunta a Lund, con papa Francesco da lunedì prossimo, sottolinea il balzo in avanti nel superamento del conflitto e delle rivalità che ha reso possibile un atteggiamento diverso nel modo di guardare alla storia. Ma segna anche cinquant’anni di costante dialogo ecumenico tra cattolici e luterani e i doni di questa collaborazione.
Il 31 ottobre di cinquecento anni fa Lutero fece conoscere le sue critiche e le sue proteste alla Chiesa sulle indulgenze. È la prima volta che cattolici e luterani vogliono commemorare insieme questa storia non polemicamente, gli uni contro gli altri. Come è diventato possibile questo evento?
«Per due motivi principali: il primo è che la storiografia, approfondendo l’esame della vita e delle intenzioni di Lutero nel contesto storico in cui questi ha lavorato e scritto, ha riconosciuto che andava rivalutata la sua persona e la sua opera. Molte delle critiche e delle proposte avanzate da Lutero erano necessarie, in quanto la Chiesa si trovava in uno stato tale che richiedeva una riforma. Lutero ebbe un ruolo sempre più attivo nel tentativo di contribuire a una riforma di pratiche e dottrine che sembravano essere basate sulla sola autorità umana ed essere in tensione o addirittura in contraddizione con le Scritture. Egli non aveva inizialmente alcuna intenzione di fondare una nuova Chiesa, era espressione di un ampio e sfaccettato desiderio di riforma che appariva necessaria».
Il secondo motivo?
«È che cinquant’anni di dialogo ecumenico tra cattolici e luterani ha reso possibile un atteggiamento diverso nel modo di guardare alla storia. Siamo capaci adesso di avere una visione comune dei pregi e dei mali da entrambi le parti e una coscienza che ciò che ci unisce è più importante di ciò che ci divide. Non possiamo cambiare la storia, ma possiamo cambiare l’atteggiamento con cui la guardiamo e questo è il presupposto del documento comune Dal conflitto alla comunione frutto del lavoro della Commissione Internazionale di dialogo cattolico-luterano, affermato ufficialmente nel 2013 dalla Federazione luterana mondiale e dal Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani e che è alla base di questa commemorazione per il cinquecentesimo anniversario della Riforma».
Il comunicato congiunto della Federazione luterana mondiale e del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani parla anche dei “doni” della Riforma, che forse però saranno difficili da comprendere per quanti ancora vedono in essa solo un periodo di conflitto e divisioni…
«Pensiamo ancora all’inizio: Lutero fu costantemente assillato dalla domanda: “Come posso avere un Dio misericordioso?”. E trovò quel Dio misericordioso nel Vangelo di Gesù Cristo. Che cosa voleva Lutero? Voleva che venissero corretti gli abusi che – dobbiamo accettarlo – erano presenti nella vita della Chiesa. Voleva purificarla. Purtroppo le cose sono andate diversamente e c’è stata la rottura, la divisione. Però quel cercare una Chiesa più santa, più vitale, più aderente al Vangelo di Cristo è una spinta positiva che col tempo, attraverso il Concilio di Trento e poi nella vita degli ultimi secoli ed in particolare negli ultimi anni sotto l’impulso della grazia del Vaticano II, ha reso molti dei richiami di Lutero parte della vita della Chiesa stessa e oggi i cattolici sono in grado di comprendere le preoccupazioni riformatrici di Martin Lutero. Noi cristiani non siamo certo stati sempre fedeli al Vangelo; troppo spesso ci siamo conformati alla mentalità e ai comportamenti del mondo che ci circonda. Ripetute volte abbiamo ostacolato la buona notizia della misericordia di Dio. Come è scritto nel documento «sia come individui sia come comunità di credenti, tutti noi abbiamo incessantemente bisogno di penitenza e di riforma, sotto l’incoraggiamento e la guida dello Spirito Santo».
Perché questa storica commemorazione si svolge in Svezia e non in Germania?
«La Federazione mondiale voleva distinguere questa commemorazione dalle altre che ci saranno nelle diverse Chiese luterane dei diversi Land della Germania. Ma soprattutto perché è proprio a Lund in Svezia che è iniziato il dialogo luterano-cattolico. Il 2017 non segna solo il quinto centenario dell’inizio della Riforma ma anche cinquant’anni che la Chiesa cattolica e la Federazione luterana mondiale hanno iniziato il loro dialogo teologico internazionale. L’evento svedese è stato voluto per mettere in luce i cinquant’anni di costante dialogo ecumenico tra cattolici e luterani e i doni di questa collaborazione. Il dialogo ufficiale tra il Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani (allora ancora Segretariato) e la Federazione luterana mondiale ebbe inizio due anni dopo la fine del Concilio, nel 1967. Si trattava della prima commissione bilaterale di dialogo nella quale si implicava ufficialmente la Chiesa di Roma. Dopo qualche decennio, si sarebbe anche rivelato uno dei dialoghi più intensi e fecondi».
In questo graduale iter del dialogo luterano-cattolico può considerarsi una pietra miliare la Dichiarazione sulla giustificazione firmata ad Augusta nel 1999, anche nel senso della rivalutazione di Lutero…
«Si è trattato di una comune sottoscrizione su un aspetto essenziale, fondamentale della fede. Noi, luterani e cattolici, abbiamo potuto affermare ufficialmente il consenso sulle verità fondamentali della dottrina della giustificazione. Tale consenso ci ha permesso allo stesso tempo di dichiarare che le reciproche condanne del XVI secolo relative alla giustificazione non si applicano più. Così, ora non siamo più distanti, la nostra comunione è diventata più profonda e reale, anche se incompleta. Ma questo importante accordo raggiunto, che è stato un salto avanti enorme nei rapporti reciproci, mette in luce anche il valore autentico del cammino ecumenico».
In che senso?
«È il frutto di un cammino che ha aperto la porta al riconoscimento di quanto rimane in loro e in noi della comune comprensione della fede. Il cammino ecumenico è un cammino di conversione di ciascuna Chiesa, per le singole Chiese verso l’essenziale della fede, un cammino di purificazione dalle proprie incrostazioni, di approfondimento e quindi di risalita alle sorgenti. Il cammino ecumenico può avanzare proprio nell’approfondimento, nel ritornare all’essenziale per riscoprire la natura di ciò che unisce. La preminenza della grazia è una verità fondamentale necessaria per la vita cristiana, per la vita stessa della Chiesa, perché senza la fiducia nella grazia di Cristo non possiamo costruire la Chiesa. Non si può neanche progredire ecumenicamente. Il ritorno all’essenziale può garantire un futuro. Senza questo ritorno non può esserci uno sviluppo. La grazia è essenziale anche per noi cattolici, ma possiamo sempre correre il rischio di mettere in ombra questo aspetto essenziale ed è un pericolo per la Chiesa cattolica perdere, dimenticare questa dinamica. Per questo il cammino ecumenico compiuto per il consenso raggiunto con i luterani sulla giustificazione è un bene prima di tutto per noi. Questo tornare all’essenziale delle cose è la salvezza della Chiesa».
Si può dire che si rende attuale anche dall’insistenza di papa Francesco sulla misericordia…
«Papa Francesco ha sempre presentato l’amore di Dio come grazia che sgorga e ci viene dal cuore misericordioso di Dio. Che non sono le opere che fanno la misericordia ma la misericordia che fa le opere. Al tempo stesso ha contribuito a far percepire a tutti la ferita della divisione tra cristiani ».
Ma tutto l’importo di questo documento era stato immediatamente valutato?
«Ci sono voluti anni perché fosse diffuso e recepito nella teologia e nella vita delle Chiese il significato importantissimo di questo documento, attuale anche in vista della prossima commemorazione e dobbiamo riconoscere che la dichiarazione sulla giustificazione è stata recepita positivamente da altre Chiese protestanti, suscitando una grandissima riflessione. Ha comportato che le Chiese luterane non vedono più la Chiesa cattolica come ostile e nemica ma avendo una dottrina comune sulla essenza della salvezza possono avere un rapporto di fiducia e di collaborazione. Papa Francesco ha immediatamente accettato di andare per sottolineare questo balzo in avanti nel superamento del conflitto e delle rivalità del passato. La sua presenza sarà un consolidamento del nuovo rapporto riconciliato fra cattolici e luterani e con altre Chiese protestanti».
Quindi in che maniera l’evento di Lund può contribuire al proseguimento del cammino ecumenico?
«Parte essenziale di questa commemorazione sarà il rivolgere i nostri sguardi verso il futuro, in vista di una testimonianza cristiana comune al mondo di oggi. Noi non sappiamo come e quando saranno risolte le questioni che ancora ci separano dalla piena unità, ma nel frattempo ci riconosciamo uniti nella fede in Cristo e nella missione di diffondere il Vangelo, nella solidarietà, servendo l’umanità sofferente».
in “Avvenire” del 25 ottobre 2016