Come è cambiata la sensibilità della Polonia cattolica dopo la morte di Giovanni Paolo II, con l’avvento del nuovo magistero di papa Francesco e di una nuova classe politica?
Dalle risposte del cardinale Kazimierz Nycz, 66 anni, dal 2007 arcivescovo di Varsavia si può percepire il senso di una nuova sensibilità che conserva, nonostante le inevitabili trasformazioni avvenute nel tempo, un radicamento profondo nella tradizione polacca.
 
“Bisogna aiutare i profughi che scappano dalla guerra”
intervista a Kazimierz Nycz,
«La domanda non è se aiutare o no i profughi che scappano dalla guerra, ma come farlo bene». Il cardinale Kazimierz Nycz, 66 anni, dal 2007 arcivescovo di Varsavia, non ha dubbi sull’atteggiamento da tenere nei confronti di chi fugge dalle bombe e dalle devastazioni del Medio Oriente. In questa intervista con Vatican Insider, il porporato polacco racconta come è stata accolta l’esortazione Amoris laetitia, com’è visto Papa Francesco e invita i giovani a non avere paura e a partecipare alla GMG di Cracovia.
 
Intervista

Eminenza, mancano meno di due mesi alla Giornata Mondiale della Gioventù in Polonia: come vi state preparando?
«Ciò che è più importante è la preparazione spirituale e pastorale a questa Giornata mondiale. Purtroppo i media parlano poco di questo, anche se in Polonia stiamo facendo tanto in questo ambito. Sia nelle diocesi nelle quali i giovani saranno accolti la settimana precedente l’incontro con il Papa, e soprattutto a Cracovia e nelle diocesi limitrofe. Stiamo preparando non solo programmi culturali, religiosi, spirituali, ma anche cercheremo di aiutare questi giovani a conoscere le regioni dove andranno. Cracovia ha molto da mostrare al mondo dal punto di vista culturale e artistico, ma soprattutto dal punto di vista spirituale, con figure come Giovanni Paolo II. C’è il santuario dedicato a Giovanni Paolo II, c’è il santuario della Divina Misericordia. Soprattutto la GMG è un’esperienza di Chiesa universale, che è una in tutte le nazioni e questo è molto importante per i giovani. Infine ci sarà l’incontro con papa Francesco, che è accolto dai giovani nel nostro paese in modo entusiastico: si può paragonare come accoglienza a quella per Giovanni Paolo II. Vorrei dire ai giovani di tutto il mondo: venite, non abbiate paura e sarete contenti».
I media in Polonia hanno scritto dei rischi legati al terrorismo. Che cosa ne pensa?
«Vorrei tranquillizzare tutti. Quello che sta spaventando i giovani e in particolare i loro genitori sono gli avvenimenti accaduti negli ultimi tempi a Parigi e Bruxelles. Posso capire quello che provano, però sono sicuro che lo Stato e le forze dell’ordine sono in grado di garantire la sicurezza perché la GMG si realizzi nel migliore dei modi. La sicurezza al cento per cento non esiste, ma sarebbe un grande successo dei terroristi se riuscissero a farci ridurre i programmi per la GMG».
E con la preparazione delle strutture, a che punto siete?
«Bisogna ricordare che nell’ultimo anno e mezzo qui abbiamo avuto dei grandi cambiamenti nel governo del Paese, nelle amministrazioni locali e nella regione Malopolska, dove si svolgerà la GMG. La preparazione di questo luogo è iniziata tre anni fa, ed è stata organizzata in modo molto professionale. Non è vero che tutto è iniziato soltanto sei mesi fa quando è arrivato il nuovo governo! La preparazione dura da tre anni e sono sicuro che c’è una continuazione in questa preparazione».
Posso chiederle com’è stata accolta nella Chiesa polacca l’esortazione apostolica «Amoris laetitia»?
«Come ha detto Papa Francesco nella recente intervista a La Croix: il percorso è iniziato nel 2014 nel concistoro con la lezione del cardinale Kasper e poi si sono celebrati due sinodi sulla famiglia e c’è stato il documento finale. Penso che la Chiesa polacca legga Amoris laetitia in questo contesto. Il Papa ha detto nell’intervista – e questo mi è piaciuto molto – che abbiamo compiuto un percorso lungo dedicato a un tema importantissimo, la famiglia. Da questo percorso è nata una riflessione molto profonda e questa è l’esortazione apostolica: una meditazione sulla famiglia. Papa Francesco ha detto che abbiamo imparato a guardare in modo profondo alla sinodalità della Chiesa. In alcune parti di questo percorso di tre anni abbiamo imparato a capire che cos’è il Sinodo “cum Petro”, con il Papa. E alla fine abbiamo aggiunto quel punto senza il quale non esisterebbe la sinodalità, e cioè “sub Petro”, sotto la guida del Papa».
Concretamente com’è stata l’accoglienza?
«Generalmente in Polonia i fedeli, i preti e i vescovi hanno accolto questa esortazione in modo positivo e tranquillo. Ci sono dei gruppi mediatici e dei gruppi organizzati di laici, che provano a sovra-interpretare il testo, in modo ideologico. Così alcuni dicono che “c’è troppo poco” e altri dicono che “c’è troppo”. I media si concentrano troppo soltanto sul capitolo ottavo. Nella nostra diocesi abbiamo fatto molto in relazione ai fedeli e ai preti, provando a meditare l’esortazione attorno a tre parole base: preparazione al matrimonio, accompagnamento dei matrimoni, discernimento. Non abbiamo neanche aspettato l’uscita di Amoris laetitia ma ancora prima abbiamo rielaborato una pastorale della famiglia proponendo corsi prematrimoniali molto più profondi e molto più forti. Inoltre, alla pontificia Facoltà teologica di Varsavia abbiamo fatto un percorso di studio sulla famiglia, durante il quale alcune coppie di giovani sposati hanno imparato a diventare nelle rispettive parrocchie leader di gruppi di sostegno ai matrimoni in crisi».
Il punto più discusso resta quello sul discernimento.
«È importante, discernendo alcune situazioni, dare delle possibilità alle persone che non sono riuscite a essere fedeli al proprio matrimonio, dare loro tutto quello che è possibile nella Chiesa. Quello che si legge in Amoris laetitia è una continuazione, non è un cambiamento, rispetto alle premesse poste a suo tempo da Giovanni Paolo II. C’è una grande soddisfazione per il fatto che l’esortazione sia una bellissima catechesi sulla famiglia. Mantenendo i concetti base della sacramentalità e dell’indissolubilità del matrimonio, questo documento è molto pratico e può servire molto da punto di vista pastorale. Nell’intervista a La Croix il Papa diceva che conta molto sul consiglio dei laici per aiutare i pastori dal punto di vista del discernimento, nel preparare alcuni criteri chiari e oggettivi. Penso che questo non vada lasciato soltanto al giudizio soggettivo dei confessori».
In questi ultimi tempi è forte il dibattito sul tema dell’immigrazione. Che cosa pensa delle prese di posizione del governo polacco e più generale di alcuni paesi dell’Est?
«Come Polonia viviamo una situazione un po’ diversa, perché noi per gli immigrati non siamo ancora un paese che attrae ma un paese di passaggio. Come Chiesa e Conferenza episcopale distinguiamo bene tra i rifugiati che scappano dalla guerra – scappano dalla morte e non hanno dove tornare – e quelli che vengono per poter vivere meglio e guadagnare di più. È quest’ultima la stessa cosa che facevamo noi polacchi trent’anni fa durante il comunismo. All’epoca gli italiani, i tedeschi, gli austriaci ci accoglievano! E questo ci riguarda anche oggi, perché due milioni di polacchi lavorano ancora all’estero. Vorrei poi ricordare che in Polonia c’è una grande affluenza di immigrati dall’Ucraina, più di un milione in questo momento. Tra di loro c’è una piccolissima percentuale di rifugiati di guerra, dal Donbass, dall’Ucraina dell’Est. È vero che c’è una diversa concezione su come ricevere i migranti in Europa: alcuni vogliono accogliere senza limiti e dopo li rifiutano, oppure si cerca di risolvere il problema grazie al patto con la Turchia, che non è chiaro fino in fondo. Però per me questa gente che scappa dalla guerra bisogna aiutarla! La domanda non è se aiutare o no, bisogna aiutare! La domanda è come e dove farlo. Bisogna farlo bene».
Si sente dire che c’è il rischio dell’islamizzazione…
«Da quindici anni in Polonia abbiamo fatto l’esperienza di accogliere i rifugiati musulmani provenienti dal Caucaso. Erano circa 90mila rifugiati. Sono rimasti in 25mila, un quarto: alcuni sono ritornati a casa, altri sono andati in Occidente. Non vedo che ci siano stati problemi sociali o religiosi nell’accoglierli. Si può dunque dire che siamo preparati. La Caritas polacca, la Caritas delle diocesi, l’organizzazione della Chiesa tedesca che lavora anche da noi, fanno tantissimo per aiutare chi soffre in Libano in Giordania e in Siria, senza guardare se si tratta di cristiani o no. Questo mi sembra molto importante. Proprio a Varsavia, con la Caritas diocesana e la regione, siamo già preparati, se ci fosse un problema reale, per accogliere. Abbiamo anche la Comunità di sant’Egidio e collaboriamo con loro. Non vorrei dare un giudizio politico su quello che fanno i governi dell’Europa dell’Est, però se la situazione peggiorasse io penso che il governo polacco non resterà insensibile di fronte alle parole evangeliche: ero forestiero e mi avete accolto».
Più volte è stato detto che alcuni richiami di Papa Francesco riguardanti in particolare i pastori non sono stati ben accolti nella Chiesa polacca. È vero?
«No, penso che non sia vero. Anche se non c’è dubbio che è accolto diversamente dai laici e diversamente dal clero. Penso che ci siano vari motivi per questo. Ultimamente leggo molto su Papa Francesco e l’America Latina e mi è venuta in mente un’analogia: dopo quattro anni di pontificato di Papa Francesco c’è una situazione – se si tratta di accettazione – simile a quella di san Giovanni Paolo II. Lo dico nel modo più delicato possibile: in America Latina Giovanni Paolo II era accolto dai laici in modo entusiasta, però a causa della teologia della liberazione e di altri motivi, dai vescovi e dai preti era accolto… diversamente!».

a cura di Andrea Tornielli, in “La Stampa-Vatican Insider” del 6 giugno 2016