La politica contemporanea è dominata da un credo liberale che professa la ‘libertà negativa’ alla ricerca della felicità individuale. Questo credo sottende posizioni sia di destra che di sinistra: il capitalismo del libero mercato, la burocrazia statale e l’individualismo nella vita sociale. Il trionfo del liberalismo ha avuto l’effetto di subordinare l’associazionismo umano e il bene comune al mero interesse e all’utilità di breve termine. Al contrario, il post-liberalismo promuove la realizzazione individuale e la collaborazione reciproca fondate su obiettivi condivisi che hanno un contenuto più sostanziale rispetto alle astrazioni formali del diritto liberale e della contrattazione, ma sono anche adattabili alle diverse tradizioni.
Nel libro di John Milbank e Adrian Pabst le categorie culturali e locali sono applicate all’nalisi dell’economia, della politica, della cultura e degli affari internazionali. In ogni caso, dopo aver diagnosticato la crisi del liberalismo, vengono proposte alternative post-liberali, in particolare nuovi concetti e idee politiche nuove. Essi dimostrano che, in mezzo alla crisi attuale, il post-liberalismo è un programma che potrebbe definire una nuova politica della virtù e del bene comune.
 
Sommario
Introduzione
Parte prima: Politica / 1. La Metacrisis del liberalismo / 2. L’alternativa post-liberale
Parte seconda: Economia / 3. La Metacrisis del capitalismo / 4. L’alternativa dell’economia civile
Parte terza: Polity / 5. La Metacrisis della Democrazia / 6. L’alternativa della Costituzione mista
Parte quarta: Cultura / 7. La Metacrisis della Cultura / 8. La cultura come Formazione
Parte quinta: Mondo / 9. La Metacrisis delle Nazioni / 10 Covenant e cultura del commonwealth
Conclusione / Indice
 
Descrizione
Titolo: The Politics of Virtue. Post-liberalismo e il futuro umano
Autori: John Milbank e Adrian Pabst
Pagine 368
Pubblicato: Agosto 2016
Prezzo: £ 24.95 / 39,95 $
ISBN 9781783486496
 
 
«La via della virtù per una società felice»
intervista a John Milibank
«Quella di liberalismo, capitalismo e democrazia è una metacrisi. Se le crisi sono temporanee e contingenti le metacrisi rischiano di essere definitive coinvolgendo i principi. Per uscirne occorre ripensare il sistema», dice John Milbank in occasione dell’uscita del suo libro scritto a quattro mani con Adrian Pabst: The politics of virtue. Postliberalism and the human future (Rowman & Littlefield).
Milbank è un teologo anglicano docente all’Università di Notthingam e capofila della Radical Orthodoxy. A partire da Theology and social theory mostra la potenza della riflessione teologica nel pensare il XXI secolo andando al di là di modelli interpretativi frusti e desueti.
Perché, professore, una politica della virtù può essere una via d’uscita dalle metacrisi di liberalismo, democrazia e capitalismo?
«Perché la politica della virtù cerca di realizzare una vita veramente felice».
Come arrivarci?
«Bisogna classificare i beni perché non tutti i modi di esistenza sono di pari valore. Le persone dovrebbero essere incoraggiate verso le attività manuali, verso la realizzazione artistica di buoni prodotti, verso posti di lavoro infusi di carità reciproca, verso la poesia in senso lato, verso la contemplazione cosmica e religiosa e verso il dibattito filosofico e la partecipazione politica. Dobbiamo ripristinare la diffidenza verso ciò che ha che fare con il denaro, e la ricerca del denaro dovrebbe essere sempre subordinata a qualcosa d’altro».
Come riuscirci?
«Tutto questo dovrebbe essere sostenuto principalmente dall’abitudine, ma anche dalla legge e dalla politica premiando le pratiche virtuose e riallineando la virtù con il riconoscimento sociale e il successo, per quanto possibile. Solo quando una società si trova d’accordo su alcuni obiettivi positivi e continua a discutere sulla loro natura è possibile una distribuzione più giusta ed equa».
Può spiegare meglio questa idea?
«Sembra paradossale ma abbiamo bisogno di una gerarchia di valori per garantire più uguaglianza sociale ed economica. Estendendo tale paradosso, dobbiamo riconoscere il ruolo degli autentici aristocratici, di coloro che sono in grado meglio di altri di collegare talento e virtù, per custodire e guidare la società. Abbiamo bisogno delle persone migliori per offrire proposte al dibattito democratico, prima che sia soffocato da manipolatori e persuasori. Il rifiuto di riconoscere qualsiasi élite porta al potere una superclasse svilita e trash».
In questo consiste quello che definisce il postliberalismo?
«Il postliberalismo promuove la sussidiarietà e la distribuzione della sovranità ai livelli più appropriati, sia all’interno sia oltre i confini nazionali. Ai governanti deve essere affidato un ruolo a più lungo termine in modo da intrecciare il loro interesse con la fortuna generale. Da qui deriva la necessità di un certo corporativismo. Oltre a essere rappresentate, nelle istituzioni politiche, le persone e l’elettorato ci dovrebbe essere una rappresentanza anche di mestieri, università, arti, religioni e così via per prolungare la democrazia partecipativa e non formale. A un maggior ruolo politico degli organi economici corrispondono maggiori responsabilità sociali per sanare la separazione di politica ed economia propria del liberalismo».
E in termini economici?
«Il postliberalismo comporta la nascita di un nuovo mercato sociale non più capitalistico, sul modello della tradizione dell’economia civile italiana».
«Il contratto dovrebbe essere intrecciato con il dono e la proprietà mutua e condivisa prevedendo la partecipazione di lavoratori e consumatori a fianco degli azionisti. Tutti hanno una vocazione e quindi le qualifiche d’ingresso nel mondo del lavoro dovrebbero essere di natura vocazionale. Occorre che le aziende siano tenute per legge a dichiarare il loro scopo sociale e a coinvolgere lavoratori e clienti nella governance. La produzione dovrebbe concentrarsi in un unico luogo, per assicurare l’integrità delle regioni e la qualità della manifattura».
Che influenza ha la Chiesa in questo frangente?
«Il ruolo delle Chiese, per quanto ora in crisi, è cruciale. Il liberalismo è andato troppo in là violando la legge naturale e la gente lo rigetta. Si corre così il pericolo di gettare il bambino con l’acqua sporca. La libertà negativa e la libertà formale sono comunque indispensabili perché gli esseri umani non troveranno mai un accordo su tutto. C’è il rischio anche di riempire un vuoto positivo con i culti nichilisti del potere e dell’identità etnica. La religione stessa non va degradata associandola solo con l’identità nazionale o la tradizione, in senso opposto a quello che è, tradizione vivente e mediazione della verità eterna ».
«Un tempo si era assunto il rischio di subordinare la politica all’amore interumano e al culto del Dio d’amore superando il culto della legge. Oggi qualcosa di post-cristiano celebra invece il culto del potere e il culto pagano dello stato. Ora assistiamo a una rivolta cesaristica contro i nuovi tribuni oligarchici. Dopo la tirannia delle masse, per bilanciare gli interessi di ogni persona con ciò che è valido della libertà repubblicana serve l’ordine della cristianità. La Chiesa deve essere lo spazio dove la società civile, la libera associazione e la mutualità regnano veramente sovrane perché la Chiesa è diretta al trascendente e non al controllo politico mondano o alla ricchezza terrena. Perciò il nostro debito verso la Dottrina sociale della Chiesa è immenso».
a cura di Simone Paliaga, in “Avvenire” del 17 dicembre 2016