Che significato ha per gli ebrei il nuovo, importante, documento del Vaticano?
“Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche in occasione del 50° Anniversario di ’Nostra Aetate’ (n.4)” è il sottotitolo di questo nuovo, importante documento della Pontificia Commissione per le Relazioni Religiose con gli Ebrei. E di riflessioni si tratta, non “di un documento ufficiale del Magistero della Chiesa cattolica, ma di un documento di studio della nostra Commissione” come hanno voluto sottolineare sia il Cardinale Kurt Koch che il Reverendo Robert Hofmann, rispettivamente Presidente e Segretario della Commissione, in occasione della presentazione ufficiale del documento. Potrebbe darsi che abbiano voluto far notare questa distinzione per via del fatto che alcuni concetti teologici fondamentali relativi al dialogo ebraico- cattolico rimangono “misteri divini”.
Infatti, almeno tre “misteri divini” centrali emergono dal testo. In primo luogo, l’affermazione che le due Alleanze separate, quella con Abramo ed i suoi discendenti nella Bibbia ebraica (la Torah – il cosiddetto “Vecchio Testamento”) e quella con i cristiani nel Nuovo Testamento, non sono in contraddizione, ma sono entrambe paradossalmente valide in eterno, è un mistero teologico derivante dall’attributo “irrevocabili” dei “doni e della chiamata di Dio”, come si legge nel titolo che fa riferimento alla Lettera ai Romani di San Paolo.
In secondo luogo, anche se le direttive contrarie alle attività missionarie dirette agli ebrei sono implicite nei documenti precedenti, questa è la prima volta che un documento del Vaticano le proibisce esplicitamente, affermando che la Chiesa cattolica non conduce né incoraggia alcuna missione istituzionale rivolta specificamente agli ebrei. Dunque, ai cristiani viene insegnato che essi sono comunque “chiamati a rendere testimonianza della loro fede in Gesù Cristo anche davanti agli ebrei; devono farlo però con umiltà e sensibilità, riconoscendo che gli ebrei sono portatori della Parola di Dio e tenendo presente la grande tragedia della Shoah.”
In terzo luogo, la mancanza di fede ebraica nella divinità di Gesù non esclude gli ebrei dalla salvezza: “…non consegue, però, che gli ebrei sono esclusi dalla salvezza di Dio perché non credono in Gesù Cristo quale Messia di Israele e Figlio di Dio” e “che gli ebrei abbiano parte alla salvezza di Dio è teologicamente fuori discussione, ma come questo sia possibile senza una confessione esplicita di Cristo è e rimane un mistero divino insondabile.” (Il documento riconosce inoltre che la Torah è per gli ebrei ciò che Cristo è per i cristiani.)
Per l’interlocutore di fede ebraica, ancora segnato dal ricordo, nei secoli di storia della Chiesa, di conversioni forzate e dell’insegnamento del disprezzo’ (per usare la terminologia di Jules Isaac), queste sono probabilmente le dichiarazioni più significative, che aprono la strada ad una nuova fiducia e all’apertura al dialogo in corso tra le due fedi “fraterne’. Allo stesso tempo, queste stesse affermazioni avvolte nelle contraddizioni del “mistero divino”, aiutano a spiegare la riluttanza della Commissione di proclamarlo “documento ufficiale del Magistero”.
Il documento copre molta strada in sette sintetici e intensi capitoli: 1- Breve storia dell’impatto di ’Nostra Aetate’ (n.4) nel corso degli ultimi 50 anni; 2 – Lo statuto teologico speciale del dialogo ebraico-cattolico; 3 – La rivelazione nella storia come ’Parola di Dio’ nell’ebraismo e nel cristianesimo; 4 – La relazione tra Antico e Nuovo Testamento e tra Antica e Nuova Alleanza; 5 – L’universalità della salvezza in Gesù Cristo e l’alleanza mai revocata di Dio con Israele; 6 – Il mandato evangelizzatore della Chiesa in relazione all’ebraismo; 7 – Gli obiettivi del dialogo con l’ebraismo.
La presentazione di carattere interreligioso del documento presso la Sala Stampa Vaticana ha segnato un’ulteriore ’prima’ storica, come ha osservato il rabbino David Rosen (Direttore Internazionale degli Affari Interreligiosi, AJC – American Jewish Committee). Rosen, insieme al Dott. Edward Kessler, (Direttore e Fondatore del Woolf Institute di Cambridge) sono stati i due ospiti di fede ebraica invitati a presentare il documento vaticano. “La presenza qui di rappresentanti ebrei è di per sé una potente ed eloquente testimonianza della fraternità ritrovata tra cattolici ed ebrei”, ha detto il Rabbino Rosen. “E anche se il documento è destinato ai fedeli cattolici (…) la presenza ebraica in una conferenza stampa (…) è molto incoraggiante, e riflette un cambiamento veramente rivoluzionario nell’approccio della Chiesa verso gli ebrei e l’ebraismo”.
Oltre alle istruzioni per i fedeli cattolici di cui sopra per quanto riguarda il veto sulle attività missionarie; la salvezza per gli ebrei nonostante la loro mancanza di fede in Cristo; e la validità eterna sia della “Vecchia” Alleanza ebraica che la “Nuova” Alleanza cristiana, Rav. Rosen ha notato l’importante riconferma di un impegno comune per combattere l’antisemitismo. “Per lo stretto legame di amicizia che unisce ebrei e cattolici, la Chiesa cattolica si sente particolarmente in dovere di fare quanto è in suo potere, insieme ai nostri amici ebrei, per respingere le tendenze antisemite. Papa Francesco ha più volte sottolineato che un cristiano non può mai essere un antisemita, soprattutto a motivo delle radici ebraiche del cristianesimo.” Rav. Rosen ha ricordato inoltre la “dichiarazione rivoluzionaria di Papa S. Giovanni Paolo II: ’l’antisemitismo è un peccato contro Dio e contro l’uomo’.”
Si potrebbe notare che questo documento dimostra la grande capacità di trasformazione della coscienza della Chiesa. Appena mezzo secolo fa, Nostra Aetate No. 4 osava solo timidamente “deplorare” l’antisemitismo, trovando necessario precisare anche che questo non era “per ragioni politiche”.
Un altro tema fondamentale affrontato dal documento, secondo entrambi i presentatori ebrei, è la posizione esplicita contro la “sostituzione” o la teologia della “sostituzione”. Il Professor Kessler ha accolto con favore l’affermazione del nuovo documento che “La Nuova Alleanza, per i cristiani, non è né l’annullamento né la sostituzione, ma il compimento delle promesse dell’Antica Alleanza.” Allo stesso tempo però, ha avvertito che ’compimento’ può facilmente diventare ’sostituzione’, e che la teoria della sostituzione è viva e vegeta tra i banchi delle chiese.
“In quanto partner ebreo nel dialogo”, ha detto il dottor Kessler, “accolgo con favore ulteriore riflessioni su ciò che significhi ’compimento’ nelle relazioni con l’ebraismo e come si possa garantire che questa trasformazione nei rapporti non si limiti alle élite, ma si estenda dalle mura del Vaticano ai banchi della chiese, agli uffici dei Rabbini capo, sin dentro le nostre sinagoghe”. Ha suggerito che potrebbe essere forse giunto il momento di scrivere una nuova ’Nostra Aetate’!
Il Professor Kessler ha ricordato che secondo le ’Linee Guida’ emesse dalla stessa Commissione nel 1975, “ebraismo e cristianesimo devono essere intese nei termini in cui si autodefiniscono…” e che “il nuovo documento ha ancora molta strada da fare prima che io possa riconoscermi nella sua rappresentazione dell’ebraismo. Ad esempio, si parla poco dell’ebraismo contemporaneo – l’attenzione è posta piuttosto sull’ebraismo biblico e rabbinico”.
Un’altra questione attinente, rilevata da Rav. Rosen, riguarda la mancanza di riferimento alla “centralità del ruolo della terra di Israele nella vita religiosa storica e contemporanea del popolo ebraico”. Ha ricordato che l’instaurazione di relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e lo Stato di Israele è stata una delle “pietre miliari” di “questo straordinario viaggio da Nostra Aetate”, che riflette il “ripudio” della Chiesa cattolica di una vecchia rappresentazione “del popolo ebraico come erranti condannati ad essere senza fissa dimora, fino all’avvento finale”.
Ha ricordato che il rapporto tra la religione, le persone e la terra era già stato esplorato in precedenza (nelle sue dimensioni religiose, non politiche) nelle riunioni del Comitato Internazionale per le Relazioni Cattolico-Ebraiche degli anni Settanta (ILC).
E’ stata inoltre apprezzata l’enfasi posta dal documento sulle responsabilità che gravano sugli istituti accademici a proposito dell’integrazione nei loro programmi sia di Nostra Aetate che deisuccessivi documenti emessi dalla Santa Sede per quanto riguarda l’attuazione della dichiarazione conciliare. La realizzazione di queste conquiste nella società civile “rimane in assoluto la sfida più importante”, ha detto il rabbino Rosen. Ha osservato inoltre la presenza di differenze a livello geografico. Negli USA ad esempio, cattolici ed ebrei sono minoranze consistenti della popolazione e il dialogo è abbastanza avanzato. In America, Nostra Aetate è penetrata a tutti i livelli nelle scuole cattoliche, mentre in Asia e in Africa, dove vivono pochi ebrei, c’è poca conoscenza storica o religiosa delle relazioni tra cattolici ed ebrei. Allo stesso modo, molti ebrei israeliani hanno poca o nessuna conoscenza del cristianesimo contemporaneo. “Quando viaggiano, le persone che incontrano vengono viste come ’altri’, non necessariamente come ’cristiani’”, ha detto Rosen.
La collaborazione tra ebrei e cattolici “nell’impegno comune a favore della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato e della riconciliazione in tutto il mondo” è un altro punto fondamentale del documento, da tempo sostenuto anche dall’ebraismo ortodosso. L’ortodossia ebraica, riluttante ad accettare il dialogo teologico, ha invece sempre sostenuto un’azione comune in questo settore.
E, infine, il rabbino Rosen ha presentato una “Dichiarazione del Rabbinato Ortodosso sul Cristianesimo”, emessa la settimana scorsa e firmata finora da 48 “rabbini ortodossi alla guida di comunità, istituzioni e seminari in Israele, negli Stati Uniti e in Europa”. Tra le firme troviamo nomi illustri e molto autorevoli. Nell’elencare diverse dichiarazioni rabbiniche attraverso la storia riguardanti l’apprezzamento per gli insegnamenti di Gesù, si afferma che “ora che la Chiesa cattolica ha riconosciuto il patto eterno tra D-o e Israele, noi ebrei possiamo riconoscere la validità costante e costruttiva del cristianesimo come nostro partner nella redenzione del mondo, senza alcun timore che ciò possa essere sfruttato per scopi missionari. Come ha dichiarato la Commissione Bilaterale del Gran Rabbinato di Israele con la Santa Sede, guidata del rabbino Shear Yashuv Cohen, ’noi non siamo più nemici, ma partner nell’articolare i valori morali essenziali per la sopravvivenza e il benessere dell’umanità’. Nessuno di noi può realizzare la missione di D-o in questo mondo da solo.”
“Ci aspettiamo che molti altri rabbini ortodossi aggiungeranno le loro firme”, ha detto Rav. Rosen, rimarcando che le barriere all’impegno al dialogo da parte di molti ebrei sono dovute più alla storia che a motivazioni teologiche. Ma si aspetta anche una opposizione vigorosa a causa delle differenti posizioni personali. Rosen ha ricordato che già nel 2000 un documento relativo ai nuovi rapporti tra cristianesimo ed ebraismo, “Dabru Emet” (”Speak Truth”), fu firmato da oltre 220 rabbini e intellettuali provenienti da tutti i rami dell’ebraismo. Tuttavia, dato che le voci dell’ortodossia sono sempre state in minoranza, questo nuovo documento è ben significativo.
*Lisa Palmieri-Billig è Rappresentante in Italia e di Collegamento presso la Santa Sede dell’AJC – American Jewish Committee

in “La Stampa-Vatican Insider” del 14 dicembre 2015
 

 
25 rabbini ortodossi: “Il cristianesimo è un dono per le nazioni”
 
Non solo una dichiarazione su ciò che è possibile realizzare insieme per la pace e la giustizia nel mondo. Ma una riflessione sull’attualità di Nostra Aetate e sulla natura dei rapporti con i cristiani a partire dalla tradizione ebraica. È un salto di qualità importante quello contenuto in un nuovo documento ebraico intitolato «Fare la volontà del Padre Nostro nei Cieli: verso una collaborazione tra ebrei e cristiani». Porta la firma di 25 rabbini espressione dell’ebraismo ortodosso e viene alla ribalta in un momento particolarmente significativo: proprio domani, infatti, il Vaticano si prepara a presentare il nuovo documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, intitolato «Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Rm 11,29). Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche in occasione del 50º Anniversario di Nostra Aetate (n. 4)».
A suggerire che la concomitanza tra i due testi sia qualcosa in più di una semplice coincidenza è il fatto che uno dei firmatari del documento ebraico – il rabbino David Rosen, direttore per le questioni interreligiose dell’American Jewish Committee, una delle maggiori istituzioni ebraiche mondiali – domani sarà a Roma accanto al cardinale Kurt Koch, alla presentazione del documento vaticano. Al di là di questo gesto significativa è inoltre la composizione del gruppo dei 25 rabbini, tutti espressione del giudaismo ortodosso: ben 13 dei firmatari, infatti, vivono in Israele, mentre gli altri risiedono negli Stati Uniti o in Europa (c’è anche l’ex rabbino capo di Francia René Samuel Sirat). Ma tra i nomi più noti c’è soprattutto quello di Benny Lau, rabbino molto noto a Gerusalemme, nipote dell’ex rabbino capo di Israele Yisrael Meir Lau nonché discendente di Samson Raphael Hirsch, uno dei giganti del pensiero ebraico dell’Ottocento.
E proprio il riferimento – tipicamente ebraico – ai grandi maestri della propria tradizione balza subito all’occhio scorrendo il documento. Il punto di partenza è la Shoah, la grande tragedia di 70 anni fa, momento culminante dell’inimicizia tra cristiani ed ebrei: «Guardando indietro – scrivono i rabbini – appare chiaro che l’incapacità di andare oltre il disprezzo e di impegnarsi in un dialogo costruttivo per il bene dell’umanità indebolì la resistenza alle forze malvagie dell’antisemitismo che hanno trascinato il mondo nell’omicidio e nel genocidio».
Ma quella non è stata l’ultima parola: «Riconosciamo – continua il testo – che dal Concilio Vaticano II l’insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica sull’ebraismo è cambiato in maniera radicale e irrevocabile. La promulgazione di Nostra Aetate cinquant’anni fa ha dato il via a un processo di riconciliazione tra le nostre due comunità. Apprezziamo l’affermazione della Chiesa riguardo all’unicità della posizione di Israele nella storia sacra e rispetto alla redenzione finale del mondo.
Il testo dei 25 rabbini contiene anche altri riferimenti importanti alla tradizione ebraica: cita ad esempio una frase del rabbino Naftali Zvi Berliner, un altro grande pensatore ebraico dell’Ottocento, secondo cui «quando i figli di Esaù saranno condotti da un animo puro a riconoscere il popolo di Israele e le sue virtù, allora anche noi saremo condotti a riconoscere che Esaù è nostro fratello». E aggiunge ancora: «La collaborazione tra di noi non sminuisce in nessun modo le differenze che rimangono tra le due comunità e le due religioni. Crediamo che Dio si serva di molti messaggeri per rivelare la sua verità, mentre affermiamo gli imperativi etici fondamentali che tutti i popoli hanno davanti a Dio e che l’ebraismo ha sempre insegnato attraverso la dottrina dell’alleanza universale di Noè».
«Imitando Dio ebrei e cristiani devono essere modelli di servizio, amore incondizionato e santità – concludono i 25 rabbini -. Siamo tutti creati a immagine santa di Dio ed ebrei e cristiani rimarranno fedeli all’Alleanza giocando insieme un ruolo attivo nella redenzione del mondo».
di Giorgio Bernardelli
in “La Stampa-Vatican Insider” del 9 dicembre 201