Secolarismo e modernità: autonomia, autosufficienza, autoderteminazione
La modernità, con il suo liberismo e pragmatismo, ci ha portato a credere che si possa fare a meno della religione ma qualcosa scricchiola da tempo nel cuore insoddisfatto della gente.
Il pensiero dominante, attraverso le importanti fonti d’informazione, come i quotidiani e le tivù, promuove da tempo l’autonomia del pensiero, l’autosufficienza dell’uomo e l’autodeterminazione della donna. L’essere umano viene spinto ad una visione della vita laica, concreta, legata ai beni materiali e alla ricerca del benessere e del successo. La spinta all’autosufficienza è così forte da sconfinare in quello che il teologo protestante Friedrich Gogarten chiama “secolarismo”, quel momento in cui le istituzioni terrene tendono a “divinizzarsi”, sostituendosi alla dimensione religiosa e portando l’uomo a pensare di poter fare a meno di Dio. All’origine dell’avversione verso la religione, c’è sicuramente la “cultura del progresso” che, a partire dal 19° secolo, sulla scia del positivismo, ha spinto verso l’anticlericalismo.
Il malessere sociale serpeggia ovunque e non solo per le conseguenze della terribile crisi economico-finanziaria del 2008 e per l’attuale pandemia con l’inevitabile rallentamento e perfino arresto di molte attività produttive. In merito alla crisi economica, è illuminante la sottolineatura del filosofo Giacomo Samek Lodovici per cui “La crisi finanziaria, come molti hanno riconosciuto, è stata determinata anche da un grande deficit morale dei protagonisti dell’economia.” (1). Un deficit “morale” che ha quindi provocato un disastro economico mondiale, a sottolineare come la dimensione etica e i valori di onestà e di giustizia rappresentano un bene grande anche in campo economico.
 
Cosa ci è successo in 50 anni di consumismo? Cosa abbiamo perso?
Forse manca proprio lo spazio per la spiritualità in un approccio alla vita che si è ristretto al qui ed ora. Manca la progettualità e la speranza nel futuro ma quando si ritorna sempre al proprio presente di fatica e di dolore, si rischia di perdere le proprie risorse, l’energia e la sicurezza di potercela fare. Senza un sogno da realizzare la vita diventa triste, monotona e chiusa in se stessa. Non di rado affiora la disperazione, un male di vivere che può portare al desiderio estremo di farla finita: “Il filo che lega tutti i fattori di rischio per il suicidio è l’incertezza e la perdita di speranza per il futuro…” Tra le principali cause di morte nel mondo vi è proprio il suicidio, in particolare tra i giovani (2).
Purtroppo, la società moderna non riesce a contemplare un’educazione ai valori e alle virtù; tali atteggiamenti dell’animo infatti sono in totale contrasto con l’individualismo e l’egoismo imperante. Tutto ciò che riguarda i valori, le virtù e la morale oggi sembra rientrare nel deprecabile “moralismo”…
Le virtù sono invece indispensabili nella formazione e costruzione dell’identità personale: sapienza o saggezza e prudenza, giustizia, fortezza e temperanza ma anche rispetto, pazienza, coerenza, accoglienza, resilienza. Senza queste capacità dell’essere, le famiglie non durano, i figli non studiano, il lavoro non si trova, le dipendenze aumentano e la corruzione s’infiltra nelle maglie delle organizzazioni e della politica.
Eppure, nonostante il quotidiano martellamento verso il consumismo e una deriva liquida verso l’opportunismo in ogni campo, spuntano qua e là richieste di aiuto di fronte ad una vita che risulta alienante, troppo lontana dalle proprie esigenze più autentiche. Come ci ricorda Gianfranco Ravasi, nella storia vi è una legge che s’impone: “quando una realtà viene a mancare, si ritorna a sentirne la nostalgia e la necessità” (3).
Il richiamo religioso infatti non ha perso la sua grande forza di attrazione per il bisogno innato dell’uomo di trascendere la dimensione puramente biologica. Non si può infatti fare a meno della religione, della fede e della speranza della vita oltre la morte se si vuole raggiungere una pienezza del proprio essere più profondo.
Non di solo pane vive l’uomo” dice Gesù nel deserto, al colmo della fame da digiuno, e poi aggiunge “ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Matteo 4, 4 e Luca 4, 4). No, il “benessere” non può rappresentare in sé il fine ultimo della vita.
 
Il mistero dell’uomo: corpo, anima, spirito
Quando, agli inizi del 900, Sigmund Freud, dopo aver fondato la psicoanalisi, insisteva nella sua visione meccanicistica della libido sessuale, Karl Gustav Jung proponeva una visione dell’uomo diversa, e un approccio alla comprensione dell’umano più ampio, orientato alle culture, alle religioni e ai miti. Piuttosto che usare il termine “libido” preferiva parlare di energia, di slancio vitale. Jung infatti aveva capito che la natura racchiudeva in sé il grande segreto dell’origine della vita, il mistero di un senso, un significato che non si esaurisce nella finitezza e nella morte.
Sul versante filosofico era il tempo di Henri-Louis Bergson che aveva messo in discussione la visione positivista della cultura occidentale. Criticava la pretesa superiorità della scienza a favore di una visione dell’uomo che non si esaurisse nella materia ma che doveva aprirsi allo spirito, alla coscienza, la sua essenza più profonda.
Molto tempo prima nell’antica Grecia, Platone, nel Fedro, invitava già all’introspezione psicologica nel profondo di sé. La cultura cristiana ha contribuito enormemente alla studio dell’animo umano fin dall’antichità e nel Medioevo, basti pensare a San Agostino e all’importante contributo dei Padri della Chiesa. A tenere alta la bandiera del pensiero cristiano occidentale, c’è san Tommaso d’Aquino, che è stato recentemente rivalutato anche in psicoterapia perché offre la possibilità di fondare le basi della pratica clinica sui valori dell’etica e della religione (4).
Egli sosteneva che l’uomo era dotato di un’anima immortale e incorruttibile che gli dava una forma e il corpo. “Il corpo non è altro che il dato terrestre dell’anima, è l’anima in stato di aggregazione”(5).
Gli uomini rappresentano dunque un’unione indissolubile di corpo e di anima. Perciò fin da neonati, ma anche prima di nascere, in grembo, ciò di cui hanno un bisogno disperato è l’amore, l’affetto, l’accudimento premuroso e poi nel corso della crescita necessitano di essere educati alla libertà attraverso le virtù, per imparare a distinguere il bene dal male, e aperti alla fede, al trascendente.
 
Cosa cerchiamo nella vita? 
Soprattutto la felicità, ci dice Socrate, che la identifica nella virtù. Anche per Aristotele che la vede invece espressa nella perfezione personale o capacità di sviluppare ed esprimere i propri talenti. Epicuro descrive la felicità come la soddisfazione del piacere della pace dell’anima, dopo aver eleminato il dolore (aponia). La ricerca eudemonica è fondamentale per il raggiungimento di una pienezza interiore e la religione risponde alle domande più importanti del cuore dell’uomo.
Infatti, non viviamo di soli beni materiali ma abbiamo anche bisogno di un nutrimento spirituale. Il termine spirituale non va inteso solo in senso generale, come una molteplicità di interessi personali. Il bisogno più profondo dell’anima è trovare Colui dal quale tutto proviene, il Padre che ci ha donato la realtà straordinaria che si chiama “un cuore pulsante di vita” e che con la sua Parola spiega il significato della vita e dell’amore.
Per la “neuroteologia”, la scienza che spiega ciò che avviene a livello neurobiologico durante l’esperienza religiosa, dobbiamo a tutti i costi superare l’idea che ha segnato l’occidente: la riduzione del corpo a oggetto perché limita il concetto di soggettività come unione integrata di mente e corpo. Quando Gesù risorto appare ai suoi discepoli che non lo riconoscono subito, parla, si fa toccare e chiede qualcosa da mangiare. Egli cioè recupera la sua fisicità, il suo corpo. I più recenti studi di questa nuova scienza ci dicono anche che, contrariamente a quanto si è finora pensato, sono i riti, le liturgie, ovvero dei “gesti concreti” ripetuti nel tempo che hanno creato i miti e generato il sacro (6).
Ma se l’anima unita al corpo è la vera identità dell’uomo, allora l’uomo per vivere ha disperatamente bisogno di nutrimento sia per il corpo che per la sua anima. L’uomo non è dunque autosufficiente, non vi è in lui solo razionalità e la religione non è solo qualcosa di mistico e di irrazionale ma è la ricerca del senso della vita.
 
Più modernità meno religione?
Uno dei più importanti sociologi della religione Peter L. Berger (7), solo una decina di anni fa, sosteneva che non è vero che a più modernità corrisponda meno religione perché la libertà personale e la dignità umana sono presupposti irrinunciabili.
Lo scandalo della pedofilia nella chiesa cattolica è certamente l’elemento più negativo di questi ultimi vent’anni e ha sicuramente contribuito ad allontanare ulteriormente “il popolo” dalla partecipazione alla vita della chiesa e dalla fiducia nei confronti del clero. Il distacco dalla fede tradizionale, dal senso del peccato, dai dogmi e dalla giustizia eterna è oggi evidente.
Tuttavia, nonostante il pessimo esempio di alcuni sacerdoti, il cristianesimo è sempre presente perché il peccato non vince mai in un mondo che è già stato salvato da Cristo per sempre. Se con il termine secolarizzazione s’intende la perdita di influenza della religione in ambito sociale e riflette il desiderio di molti di relegare la religione nella sfera privata, i cattolici invece sono presenti ovunque nell’organizzazione sociale, basti pensare al Terzo Settore, alla crescita della forte presenza del volontariato nella società civile. A partire dagli anni ’70, nelle varie forme associative senza scopo di lucro, i cristiani si rivelano competenti e capaci di aiuto là dove c’è povertà e disagio ma anche nella prevenzione e nella promozione sociale. Emile Durkheim, sociologo e storico delle religioni, sosteneva che nessuna società può sopravvivere al suo declino senza solidarietà né valori religiosi.
 
Chiesa e secolarizzazione
Ricordo che trent’anni fa la Chiesa italiana (8) aveva condotto delle indagini sociologiche sulla frequentazione alla messa ed era emerso che i cristiani che frequentavano la messa domenicale con continuità rappresentavano circa il 30% della popolazione, riflettendo in tal modo la vitalità del cattolicesimo italiano, anche rispetto alla media europea. La frequenza alla messa è da sempre maggiore nelle donne e nelle persone anziane ed è interessante notare che la presenza in chiesa aumenta col crescere dell’istruzione.
Papa Giovanni Paolo II vent’anni fa, nel sacro Giubileo del 2000, aveva richiamato alla memoria l’Incarnazione del Figlio di Dio, fattosi uomo per salvare l’uomo e aveva suscitato un forte appello all’unità di tutti i cristiani. Questo Pontefice aveva dato l’esempio di vicinanza fisica con tutti gli uomini, innovando uno stile papale autorevole e nel contempo moderno, dinamico e itinerante, le braccia aperte verso tutti i popoli del mondo. Egli ha viaggiato più di tutti i precedenti papi messi assieme per “andare verso la gente”,  proprio come aveva fatto Gesù andando in giro per le strade della Galilea.
Credo che lo stile di G.P.II abbia portato un risveglio religioso nei vari continenti con la sua speciale presenza, parlando tutte le lingue del mondo per farsi capire.
Papa Francesco all’Angelus del 31 gennaio ci ha appena ricordato che “L’insegnamento di Gesù ha la stessa autorità di Dio che parla, la sua parola opera ciò che dice, perché Egli è il profeta definitivo”. “La predicazione di Gesù dunque, appartiene a una logica opposta a quella del mondo e del maligno“.
Queste sono le parole di Gesù quando si fa battezzare da Giovanni il Battista nelle acque del Giordano: “La volontà di Dio è l’unica vera giustizia”. Il fascino della sua Parola non ha uguali perché, come dice Papa Francesco, Gesù è il profeta “definitivo”, nessuno come lui riesce ad essere presente nell’uomo in corpo e spirito; Gesù vive infatti nel cuore di ogni cristiano.
Oggi, il popolo dei cristiani si raccoglie intorno ad alcuni poli mediatici, peraltro di elevata qualità, come TV2000, vecchie e nuove testate giornalistiche come Avvenire, La Nuova Bussola Quotidiana e si distribuisce nella vasta pluralità dei media. La presenza dei cristiani si svela pertanto in modo originale e incisivo nelle loro opere anche di tipo culturale ed educativo: stampa, arte, cinema e teatro, sport, vacanze e tempo libero, scuole e centri culturali.
Fin da quando si è imposto il fenomeno delle migrazioni e in Italia sono giunti i migranti nei primi barconi, abbiamo imparato a convivere con persone di religioni diverse, diventando pluralisti. Da un paese a maggioranza cattolica, stiamo andando verso una presenza di religioni molto diverse tra di loro. Anche l’Europa ha imparato a conoscere le altre religioni del mondo, vivendo nell’integrazione, accanto agli “stranieri”.
La Storia ci ha “costretti” all’accoglienza affinché si realizzasse quanto auspicava il Concilio Vaticano II riconoscendo a tutti gli uomini piena dignità e libertà religiosa. Tale mescolanza di popoli è umanamente un bene autentico che arricchisce l’Europa, nonostante le inevitabili resistenze.
La religione indica quindi lo stato di salute di una società e non può morire. Essa risponde infatti al bisogno più profondo dell’uomo di dare un senso alto alla propria vita. La fede nel tempo non muore perché aiuta l’uomo a conoscere se stesso e gli altri. Essa propone valori irrinunciabili che si traducono in comportamenti costruttivi di pace e d’innovazione. Infine, la fede offre un orizzonte alto, nobile che apre alla serenità, alla pienezza del sé, rendendo le persone più felici.
 
Note

  1. La socialità del bene, Giacomo Samek Lodovici, Edizioni ETS 2017
  2. Dati Istat https://www.epicentro.iss.it/mentale/giornata-suicidi-2020-fenomeno-suicidario-italia
  3. Ritorno alle virtù, Gianfranco Ravasi, Mondadori, 2005
  4. La psicologia e san Tommaso d’Aquino, Roberto Marchesini, D’Ettoris Editori, 2013
  5. L’identità aperta. Il cristiano e la questione antropologica, Ignazio Sanna, Queriniana, 2006
  6. http://www.teologiaefilosofia.it/neuroteologia/
  7. I molti altari della modernità, Peter L. Berger, Emi edizioni, 2017
  8. https://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/118062.html

 
Susanna Primavera