La questione che Aime pone, a partire dall’esperienza degli amici del Chiccodisenape, è di grande importanza non solo per chi partecipa a gruppi ecclesiali, ma più in generale per tutta quella parte del Popolo di Dio che chiamiamo laici.
All’interno della Rete dei Viandanti abbiamo avvertito, poco dopo l’inizio del pontificato di Francesco, il grande rischio di impantofolarsi (che bello, c’è Francesco!) e ne abbiamo parlato più volte negli incontri (“il/un papa da solo non basta”), quasi per esorcizzare la paura. Questa sollecitazione di Aime consente di allargare il discorso; crediamo utile proporla per aprire un dibattito. (ff)
Mi è capitato in questi mesi, colloquiando con amici, di riflettere sull’esperienza di “chiccodisenape” e di altri gruppi nati qualche anno fa durante un periodo di particolare tensione all’interno della chiesa italiana – un misto di immobilismo pastorale ed eccessivo interventismo in campo politico. Attorno alla lettera che nel 2007 diede inizio al cammino di “chiccodisenape” ci fu un consenso significativo e abbastanza ampio. In questi ultimi tempi invece abbiamo constatato una progressiva caduta di partecipazione e di interesse. Anche altre iniziative segnalano un processo involutivo simile. Perché? Può avere avuto peso una certa incapacità di proposta da parte di chi aveva il compito di indirizzare il cammino e di coordinare le attese. I fattori veri di questo allentamento, però, sembrano altri.
Una diminuzione di tensione
Infatti questa diminuzione di tensione e di attenzione è persino in crescita dal momento in cui Francesco è diventato Vescovo di Roma. La ventata di novità evangelica del suo ministero ha dissolto alcune preoccupazioni che motivavano i momenti iniziali di chiccodisenape e di atri gruppi, tanto da far pensare che quelle esigenze siano ormai del passato. Ha ancora senso questo tipo di impegno e di organizzazione, se c’è la novità di Francesco?
A mio parere si dà il caso di una singolare eterogenesi dei fini: da quando c’è Francesco l’impegno laicale nella chiesa – dalla formazione all’evangelizzazione – mi pare in progressiva caduta libera. Con l’emersione di un male cattolico consolidato: il papa- centrismo, deplorato quando ci sono divergenze, confermato quando c’è consenso.
Mi mancano molti elementi per dare un giudizio circostanziato su una situazione più ampia di quello che riesco a percepire, perciò mi limito ad esprimere un’opinione che può essere smentita. La Chiesa italiana si sta mostrando in seria difficoltà a far proprie in maniera creativa le indicazioni del papa: basterebbe seguire i cambiamenti di orientamento degli ultimi anni e la non conclusività del convegno di Firenze. In questo quadro di stallo istituzionale da un lato e di richiamo a un nuovo dinamismo pastorale dall’altro, il mondo laicale, mi pare, non reagisce con un maggiore coinvolgimento, anzi è meno propositivo persino rispetto a periodi più delicati di un non lontano passato.
Perché tutto questo?
Un motivo l’ho indicato: un consolidato papa-centrismo che fa coincidere la vita della chiesa cattolica con quanto dice e fa il papa. Tendenza oggi nuovamente rafforzata dalla crisi della politica che si affida al leader di turno. Quanto poi il consenso sia reale, lo si dovrebbe ulteriormente indagare. Dopo il caloroso applauso, che cosa resta?
Non è un elemento isolato. Dando uno sguardo agli ultimi decenni si potrebbe dire: il raggiungimento con il Vaticano II di una matura teologia del laicato, ha coinciso con una sua progressiva restrizione di ruolo. Anche qui un’eterogenesi dei fini: il massimo riconoscimento nella Lumen gentium e Apostolicam actuositatem e al tempo stesso l’innesco di processi che nella riforma postconciliare hanno portato all’erosione progressiva della presenza laicale reale nella vita della chiesa (il caso Azione Cattolica in Italia è esemplare). Un secondo motivo: le associazioni che in passato fornivano un laicato preparato a compiti non solo parrocchiali sono da tempo in crisi e non hanno saputo finora davvero reinventarsi. A meno che il loro tempo sia definitivamente finito e occorrano altre soluzioni. Di fatto l’azione pastorale della chiesa coincide sempre di più con l’ampiezza dei soli confini parrocchiali. E la diocesi di solito non è che la somma della vita delle parrocchie.
L’autoreferenzialità delle parrocchie
Un terzo motivo: le parrocchie, quando sono in grado di avere una certa vivacità, sono autocentrate, raramente intravedono qualcosa al di là di se stesse. I laici che partecipano alle loro attività pastorali altrettanto raramente hanno uno sguardo che sia un po’ più ampio. La chiesa è la parrocchia, questo è lo schema che sta diventando la norma. Ciò che va oltre normalmente non è quasi mai percepito nella sostanza e nell’importanza. È compito di altri, si concede talvolta, ma non si sa bene di chi. Anche il maggior coinvolgimento dei laici come operatori pastorali, là dove il progetto si realizza, non cambia il quadro generale; è una ministerialità che tende ad essere solo sostitutiva.
Dove dunque può trovare un terreno un po’ fecondo la prospettiva indicata dall’Evangelii gaudium (e anche dalla Laudato si’)? C’è il rischio che siano dei documenti che non entrano realmente in gioco nella vita della chiesa. Il blocco è in alto ma anche in basso.
Cosa fare?
Se l’analisi è corretta, che fare? Mi è già capitato di sostenere in altre occasioni che l’evangelizzazione è affidata oggi e in futuro ai laici – ma questo è un compito tutto da inventare (a questo proposito sono molto interessanti le linee emerse al recente Sinodo di Limerick, in Irlanda) Non si limita alla vita della miglior parrocchia di questo mondo. Le sfide sono anche e soprattutto altrove: lavoro (economia), cultura, globalizzazione. E nelle periferie più volte ricordate da Francesco.
Quando e come e con chi misurarsi su questi temi? La convocazione non viene per ora dall’alto, neanche quando sarebbe non troppo difficile farlo (nella nostra diocesi l’occasione poteva essere il cosiddetto riassetto). I consigli pastorali a livello parrocchiale e diocesano, mai monitorati sul loro reale agire, non sembrano efficaci, talora ridotti a momenti poco più che formali o meramente operativi.
Chiccodisenape e altri gruppi hanno tentato di proporre qualcosa di nuovo, ma ora sono in difficoltà a proseguire. Se qualcosa di simile e di più valido fosse nel frattempo apparso all’orizzonte, sarebbe intelligente e opportuno chiudere e confluire altrove. Ma non è questo il caso. Come assumerci la responsabilità di questa congiuntura?
Nel momento in cui da Roma arrivano le aperture più intense (cosa rara nella storia), le chiese locali e le aggregazioni laicali sembrano ammutolite. Una qualche riforma incomincia a toccare il vertice romano della Chiesa, ma ben poco le corrisponde nelle chiese locali. Una nuova parola d’ordine – la sinodalità – si limita, pare, a poco più che una formula di rito per evocare una generica partecipazione.
Non rassegnarci a questa situazione
Mentre viviamo una profonda rottura della tradizione cristiana che richiede un rinnovamento di visione e di azione e siamo sollecitati a vivere e a proporre la gioia del Vangelo, qual è la nostra risposta? Che cosa ci tocca fare per non essere blandamente assenti in questo momento della fede e della Chiesa? Come coinvolgere le generazioni più giovani che non hanno sperimentato forme attive e significative di partecipazione laicale (talora anche presbiterale!) alla vita della chiesa?
Se non riesce a smuoverci la parola del papa, sarebbe illusorio da parte mia pensare che lo possa ottenere questa mia riflessione. Mi auguro però che qualcosa possa iniziare. Abbiamo bisogno di analisi corrette, di criteri di comprensione e di valutazione, di proposte di stili e di azione. L’Evangelii gaudium disegna le condizioni perché tutto ciò possa avvenire, ma non può in alcun modo sostituire o anche solo disegnare in concreto la nostra responsabilità e la nostra azione. Tocca solo a noi.
Oreste Aime
Membro del gruppo Chiccodisenape (Torino), aderente alla Rete dei Viandanti
Da Francesco a noi, di Oreste Aime, in “www.viandanti.org” del 19 maggio 2016