“L’attuale crisi della politica, dei partiti e della democrazia è sotto gli occhi di tutti. Investe non solo la nazione italiana, ma anche l’Europa e tutti i Continenti. Non risparmia neppure il mondo cattolico, i suoi movimenti, le sue istituzioni, i rapporti tra la comunità ecclesiale e i christifideles laici impegnati nel campo della politica”;” La democrazia non è mai una conquista definitiva. Permane sempre l’esigenza di darle un’anima e un corpo nuovi”. L’esegesi attenta di queste poche frasi sarebbe sufficiente per dare conto del titolo di questo scritto che mette in relazione la crisi attuale della politica con la presenza dei cattolici in questo agitato mare dell’agone pubblico e addirittura con gli evidenti riflessi di essa sulla stessa vita interna della loro Chiesa. Una sorta di attualizzazione dell’antichissima Lettera a Diogneto e della sua misteriosa contraddizione “…i cristiani abitano in questo mondo, sono sparpagliati nelle città del mondo, ma non sono del mondo”( CLICCA QUI ).
 
Chi può essere l’autore di queste affermazioni chiare e perentorie sulla crisi della democrazia italiana? Si leggono nel libro “Per una nuova democrazia” del Vescovo di Faenza Modigliana, Monsignor Mario Toso, già segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Questa scoperta ci invita a ricercare riflessioni di casa nostra, a cominciare da quelle di Bobbio, che indicava nel tradimento dello spirito democratico le radici della crisi della democrazia per passare a quelle più recenti del Sartori di “Democrazia Cosa è”. In chiusura di quest’ultima opera, aggiornata al 2007, si legge che “scrivere un libro sulla democrazia per darsi lustro seguendo le parole d’ordine di moda riesce benissimo. La crisi della democrazia è aiutata dalla inconsistenza del sapere che la dovrebbe capire e far capire”. Avvertimento autorevole che ci spinge a chiederci: cosa non capiamo della crisi della democrazia che pure “è sotto gli occhi di tutti”?
 
Allora arriviamo ai giorni nostri e leggiamo alcuni passaggi di Minima Politica di Gianfranco Pasquino uscito a gennaio 2020: “La Repubblica italiana vive momenti di grande confusione. Tra l’ansia da sondaggio e il termometro ossessivo dei social network, viviamo un assetto da campagna elettorale permanente dove i politici possono dire tutto e il contrario di tutto, fiduciosi nella labile memoria storica del loro elettorato e nell’inerzia intellettuale dell’opinione pubblica che dovrebbe sorvegliare e in caso criticare.
 
Però, chi crede ancora nella democrazia sa che è imperativo reagire all’attuale temperie di approssimazione, fumisteria e populismo”. Ma siamo stati avvertiti in tempo ovvero messi in guardia dai pericoli che corre la nostra democrazia? Tra il 1994 e il 1996, negli ultimi anni della sua vita, un monaco umile, che rispondeva al nome di Giuseppe Dossetti, chiamava in causa i cattolici, giudicati non estranei alla profonda crisi della politica, e additava loro la soluzione nella “conversione”: questa deve convincerci-diceva- che tutti noi, cattolici italiani, abbiamo gravemente mancato, specialmente negli ultimi decenni, che ci sono grandi colpe, grandi e veri e propri peccati collettivi. Cosa intendeva dire lo scomodo monaco di Monte Sole, a suo tempo protagonista della Costituente e del Concilio Vaticano II, seppure ampiamente rimosso da una certa storiografia perbenista? Il 6 dicembre 1995 il Cardinale Carlo Maria Martini, in una lettera pastorale ai milanesi ammoniva: “Non è dunque questo un tempo di indifferenza, di silenzio e neppure di distaccata neutralità… non è in gioco il futuro della Chiesa, è in gioco il futuro della democrazia”.
 
Un messaggio questo emblematico, appena un anno dopo la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi del 1994 e l’avvio della cosiddetta Seconda Repubblica. E’ anche l’inizio della diaspora dei cattolici, della “dispersione infruttuosa” segnalata da monsignor Gastone Simoni, del tempo dei valori non negoziabili del Cardinale Ruini, dell’irrilevanza dei cattolici nella vita politica italiana, pubblicamente criticata nel 2018 dal Cardinale Bassetti, in sede di riunione della Conferenza Episcopale Italiana.
 
Eppure l’albero della democrazia era già scosso da tempo e non aveva torto Papa Francesco quando, nel 2015 a Firenze, aveva descritto la fase storica attuale con una profetica ed emblematica espressione: “Non si tratta di un’epoca di cambiamento ma di un cambiamento d’epoca”. Quasi con un abile gioco di parole, il Cardinale Bergoglio, venuto dalla “fine del mondo” e dopo appena due anni dall’elezione al soglio di Pietro, aveva dimostrato lungimiranza e realismo, seguendo il motto dei Gesuiti “Contemplativi nell’azione”, avvertendo la Chiesa Cattolica che tutto nel mondo era cambiato, che bisognava abbandonare superate autoreferenzialità e proiettarsi “in uscita” verso tutte le periferie. L’ospedale da campo e la solidarietà con tutti i poveri della terra diventavano le due nuove opzioni per la Chiesa del Papa, che aveva avuto il coraggio di chiamarsi Francesco. E ora con il diffondersi della pandemia dov’è finita la politica, che si affida a tecnici e scienziati per superare una crisi inedita e spaventosa?
 
Intorno alla democrazia da anni si celebra una pericolosa liturgia funebre anche e soprattutto sul significato del suo nome: da più parti si afferma che il nostro tempo è già quello della post-democrazia, della popolo-crazia, della democrazia recitativa dei talk show, della democrazia autoritaria e infine della cyber-democrazia. Questo labirinto preoccupante di tesi e contro tesi, confermano che l’istituzione democratica è in crisi a livello globale. Il Report 2018 della statunitense Freedom House si chiama appunto Democracy in crisis: dal 2006 a oggi 113 Paesi hanno abbassato il livello di democraticità, a fronte dei 62 dove è aumentato. Soltanto il 39% della popolazione mondiale vive in un Paese libero. Questa sorta di crollo della democrazia sarebbe per taluni studiosi il frutto amaro del fallimento della globalizzazione neo-liberista che non riesce a superare il lungo trend negativo iniziato con la crisi economica del 2008.
 
Altri non considerano decisiva l’impasse dello sviluppo economico “frenato” ma esaltano cause culturali e antropologiche, come è il caso del politologo statunitense Francis Fukuyama che nel suo ultimo libro, Identità, chiama in causa il populismo, il suprematismo, ogni rigurgito di razzismo e di nazionalismo. In questo scenario cupo a livello mondiale si erge il Magistero di Papa Francesco che nella trilogia di Laudato sì, del Documento di Dubai sulla Fratellanza umana e dell’ultima Fratelli Tutti, traccia la nuova strategia dell’ecologia integrale che si salda con il grande evento dell’Economia di Francesco, incontro di giovani intellettuali alla ricerca di una nuova cultura dello sviluppo economico. L’intervista al Papa andata in onda in mondo visione sul canale 5 al principio del nuovo anno 2021 ha fatto da sintesi dei 7 anni di pontificato nell’incredibile scenario della pandemia che non accenna a demordere ma che dovrà vedersela con la risposta della scienza e dei nuovi vaccini. Per la politica e per la democrazia nel nostro Paese c’è ancora posto?
 
Non è sfuggita a nessuno la convergenza di riflessioni e di raccomandazioni contenute nel discorso di fine anno del Presidente della Repubblica con quelle dell’intervista a Papa Francesco, tutta strutturata in una parola d’ordine “Prima il NOI ora e dopo c’è ancora tempo per l’IO”. Mattarella ha anche insistito sull’auspicio che ci siano costruttori per gestire l’inedito aiuto finanziario che verrà dall’Europa. Cosa serve di più? Una politica più responsabile e più rispettosa del dolore che il Paese sta vivendo, di fronte al quale la cultura laica e soprattutto quella laicista si è ammutolita.
 
Un giornale molto laico e un giornalista laicissimo hanno scritto “ora avanti i cattolici”: perché? Forse perché è arrivato il tempo propizio, il kairòs, per la proposta di una Apologia per un momento cattolico in Italia? In Francia l’ha già scritta Jean Luc Marion che ha voluto ricordare ai francesi che i valori cristiani e cattolici non sono in contrasto con lo Stato laico anzi lo preservano dalla deriva della mancanza di senso. In Italia chi la scriverà? E ’compito soltanto del Papa, dei Vescovi e dei teologi? O è arrivato anche il tempo dei laici, evocato già dal Concilio Vaticano II e forse ancora poco celebrato?
Eppure le tre virtù teologali, fede, speranza e carità sono incardinate nel cuore di ogni battezzato e il popolo di Dio, piccolo gregge, può andare in mezzo alla gente ad ascoltare la voce dei più bisognosi per condividere un sorriso, un segno concreto di speranza, un nuovo modo d’intendere la politica come amicizia sociale.
 
Antonio Secchi, La crisi della politica e i ruolo dei cattolici in Italia, politicainsieme.com, Gennaio 17, 2021