Ci sono Ismail dalla Somalia e Nishanta dal Bangladesh, Rosa dalle Filippine, Ahmed dal Marocco ed Elizaveta dalla Moldavia. E c’è Mei, approdata a Genova trent’anni fa per aprire un ristorante cinese quando non erano ancora così diffusi. Ha preso lezioni di italiano da Pierangelo Campodonico, direttore dei Musei del mare e delle migrazioni, e oggi i loro figli studiano insieme al liceo artistico.
Basta toccare lo schermo e parte il video in cui i loro volti e le loro voci raccontano il lavoro degli immigrati in Italia, centinaia di interviste raccolte da Giovanna Rocchi che costituiscono una delle sezioni del nuovo allestimento permanente nel padiglione Mem, Memoria e migrazioni, del Galata Museo del mare di Genova, che sarà inaugurato domani. Duecentomila euro il costo sostenuto, con il sostegno della Compagnia di San Paolo per 80 mila euro. Già dal titolo, «Italiano, anch’io. L’immigrazione nell’Italia che cambia», il percorso indica un orientamento educativo: la volontà di trasformare una presunta «categoria», quella degli immigrati, in persone con la propria individualità e la propria storia, e renderli così meno «alieni» ai nostri occhi. Persone come il sudanese Solaiman, di cui si può ascoltare l’esperienza di viaggio su un barcone fino a Lampedusa: «Quando vediamo la motovedetta, quello è il punto cruciale per la nostra vita. Sono vivo, sono arrivato».
«Oggi giunse un mese che sono arrivato in America. Di salute stiamo pienamente bene, così speriamo che sia di voi tutti. Io lavoro nella ammazzatura dei bovi». Così scriveva invece Florindo Quaquarini nel 1907, italiano sbarcato in Argentina. Dall’emigrazione nostrana, quella dei viaggi oceanici verso l’America del Nord e del Sud, all’emigrazione di oggi, che approda nel nostro Paese, e lo trasforma, è il percorso che il visitatore segue all’interno del Galata, che punta a fare di Genova la sede del Museo nazionale dell’emigrazione.
Il nuovo allestimento rilegge una cronaca che è diventata storia, come sottolinea il direttore Campodonico, che è anche curatore del Mem. «Abbiamo sentito l’esigenza di ripensare il tema, che da un lato è in movimento, ma che dall’altro ha visto la crescita e la stabilizzazione della presenza straniera in Italia: parliamo di 5 milioni di persone, una parte consistente della nostra popolazione». Nell’allestimento, curato dall’architetto Debora Bruno, è una cronistoria a partire dal 1973 – quando per la prima volta sono più quelli che arrivano in Italia rispetto a quelli che partono – ad accogliere il visitatore, che da un monitor potrà anche rivedere i tg forniti dalle Teche Rai sugli avvenimenti più significativi. Ecco l’uccisione a sprangate del bracciante Jerry Masslo a Villa Literno (1989), l’attracco della nave Vlora a Bari (1991), Mario Balotelli primo calciatore di colore nella nazionale italiana under 21 (2008) che anticipa Cécile Kyenge prima donna di colore nel nostro governo, nel 2013.
Ma c’è anche l’omicidio di Giovanna Reggiani a Tor di Quinto (2007) per mano di uno straniero. «Non vogliamo nascondere la realtà» dice Campodonico «ma dare voce a chi difficilmente ce l’ha». Una tragedia la visse sulla propria pelle lo stesso museo quando, nel 2003, l’operaio albanese Albert Kolgjegja morì sotto le macerie, vittima di un crollo durante la costruzione. È anche nel suo ricordo che nel 2011 è nato il Mem. Tra le foto di Timothy Costa che riprendono gli immigrati di oggi tutti con il sorriso in volto, che si aggiungono agli scatti del fotoreporter Uliano Lucas, il Museo gioca anche la carta dell’approccio più vicino alle nuove generazioni, con un cartoon, messo a punto con il demografo Gianpiero Dalla Zuanna, in cui si spiega perché l’immigrazione sia utile al nostro Paese. La sezione «Genova in un giorno» è un filmato di 24 ore «vissute insieme fra diversi» in luoghi pubblici e privati, sull’autobus e nelle strade. Il viaggio nell’immigrazione in Italia continua attraverso la cucina e la «migrazione del gusto», la conquista della casa e il ruolo della donna nel processo di integrazione e trova un momento «delicato e decisivo» nella scuola.
Al termine del percorso ci sarà una lavagna dove lasciare un commento. «Magari troveremo anche parolacce…» dice Campodonico «È un rischio, ma sapere che cosa pensano i visitatori è fondamentale, non può essere una comunicazione a senso unico, e nessuno possiede la verità».
Migranti di ieri e di oggi verso una nuova vita, di Andrea Plebe, in “La Stampa” del 28 giugno 2016