«Islam in Europa: la sfida della cittadinanza» è il tema dell’incontro promosso dalla Fondazione Oasis in programma oggi (ore 18.30) alla Cripta dell’aula magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano. A conclusione del progetto «Non un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca», realizzato con il contributo di Fondazione Cariplo
Nel rapporto con l’Islam in Europa è decisiva la sfida della cittadinanza. Una sua definizione minimale come partecipazione ai meccanismi rappresentativi di una compiuta politica non sembra essere sufficiente. Lo hanno rilevato non pochi esperti citando il caso belga (e di Molenbeek in particolare).
Se questo esperimento è già fallito altrove, non ha molto senso pensare di replicarlo in Italia. La mia ipotesi, senza ovviamente negare l’importanza del riconoscimento dei diritti politici ad esempio alle seconde generazioni di immigrati, nati in Italia, è che occorra tentare un’altra strada, più alta: la cittadinanza come espressione di una amicizia civica e di una «comunità di destino». L’obiettivo è ambizioso, ma non mi pare che vi siano alternative.
Per centrare questo obiettivo — insisto — il discorso sulla convivenza per la convivenza è del tutto insufficiente; non basta articolare quello che non vogliamo (in sintesi, non vogliamo la discriminazione, l’unica parola che l’Unione Europea riesce ancora ad articolare, peraltro subito consegnandola ostaggio delle diverse lobbies); occorre proporre anche qualcosa in positivo, in altre parole avere una visione. Per che cosa accettiamo di metterci insieme tra diversi? Per quale progetto?
È a questo livello che entra in gioco lo straordinario contributo che il Cristianesimo ha offerto alla costruzione dell’Europa in termini sostanziali, di concezione della persona, dell’uomo-donna, del rapporto tra individuo e comunità, della natura, dell’arte… Sono talmente numerosi gli ambiti in cui la fede cristiana ha contribuito a dare forma alla cultura europea che è impossibile elencarli anche solo sinteticamente.
Due precisazioni sono però necessarie per sottrarre questa tematica — che giornalisticamente ricadrebbe nella rubrica delle «radici cristiane» — a possibili strumentalizzazioni. La prima è che quanti si richiamano al patrimonio cristiano devono essere disposti ad assumerlo nella sua interezza, senza operare selezioni arbitrarie. Nei misteri della Fede è ad esempio implicata una certa visione, in sé va proposta a tutti, del rapporto uomo-donna o della relazione tra comunità politica e religiosa che è diventata costitutiva del modo in cui l’Occidente pensa se stesso; ma vi è anche implicata, con non minore enfasi, un’apertura strutturale allo straniero.
Il numero 24 di Oasis, Tra immigrazione e Islam l’Europa si ripensa, ripropone un famoso testo di Jean Daniélou. «Si può dire che la civiltà — scrive il cardinale gesuita — ha compiuto un passo decisivo, e forse il suo passo decisivo, il giorno in cui lo straniero, da nemico è diventato ospite».
In secondo luogo è bene ribadire che per il cristiano l’identità è sempre relazionale. Basta pensare al grande mistero della Trinità, di cui Romano Guardini ha cercato di mostrare in un celebre testo le implicazioni per la concezione del legame sociale: ogni persona della Santissima Trinità è quello che è in forza della relazione che la lega alle altre. L’identità nel cristianesimo è una realtà dinamica e, in analogia con il mistero trinitario, si costituisce nella relazione con l’altro.
Non è quindi uno strumento per escludere. Mi piace sempre ricordare che per San Tommaso la diversità massima è quella che intercorre tra Padre e Figlio, nel cui abbraccio — che è poi lo Spirito — tutte le altre diversità sono già accolte e composte. È alla luce di questa relazione costitutiva che il cristiano è chiamato a ripensare continuamente la propria identità, arricchendola e purificandola, come l’incontro con il mondo musulmano ci invita a fare (e non da oggi, basterà pensare al contributo della civiltà arabo-islamica nel Medioevo latino).
Ritorno allora alla domanda iniziale: che contenuti dare a una cittadinanza che sia espressione di un’amicizia civica? È evidente che il lascito che ci viene dal passato cristiano dovrà essere giocato nel presente, argomentato e discusso con altre mondovisioni, laiche e religiose, in particolare quella islamica, che peraltro a questa storia europea non è estranea. Si dovrà procedere per tentativi e aggiustamenti, attraverso un cammino creativo di mediazioni, sempre però animato dal desiderio di trovare le buone ragioni per la vita in comune.
L’islam e la sfida della cittadinanza, di Angelo Scola, in “Corriere della Sera” del 23 novembre 2016