La consapevolezza di quanto sia importante l’impegno civile e l’arte del governo
La situazione che stiamo vivendo, tra le altre cose, ci ha resi consapevoli dell’importanza dell’arte del buon governo, del valore dell’impegno civile, della politica e dei suoi interpreti: di uomini e donne dello Stato che in questi giorni hanno dimostrato l’amore per il proprio paese e la propria professione a costo anche della vita: pensiamo ai tanti medici e operatori sanitari che sono morti pur di restare vicino ai malati e ai bisognosi. Come anche la testimonianza eroica di volontari, operatori della Caritas, la protezione civile, le forze dell’ordine e di sacerdoti. Così la determinazione di tanti Sindaci, presidenti di provincia, governatori e rappresentanti del governo che hanno esercitato il dovere civico di compiere scelte, a volte anche ardue e impopolari, per il bene della comunità. Ma l’inattesa circostanza dimostra anche quanto sia difficile governare l’Italia, essere costruttivi e agire con un solo intento. In queste settimane ci siamo resi maggiormente conto che la politica intesa come scienza dell’amministrare e del prendersi cura dell’altro, non è un gioco di poltrone, bensì una cosa seria. L’inedita condizione che ha colpito le nostre democrazie, già attraversate dalla crisi ideologica e della razionalità politica, esige una riflessione nuova che non può prescindere dal contesto in cui si trova. La pandemia determina inevitabilmente, un nuovo approccio con il reale, infatti nel linguaggio comune già si parla di un prima del CoVid-19 e di un dopo, come se la data della scoperta dell’irruzione del virus abbia segnato una linea di demarcazione di non ritorno. Come accade per tante altre cose, sono convinto che anche per la politica, non sarà guardato più con gli occhi di prima.
Il CoVid-19 ha sconvolto le nostre vite
L’emergenza sanitaria seppure non paragonabile ad una guerra, come qualcuno ha detto evidentemente non conscio della complessità dei fatti, ha sconvolto la vita di centinaia di milioni di persone, costringendo a cambiare drasticamente le nostre abitudini, e prestare più attenzione all’igiene e al modo di relazionarci con gli altri. L’unico modo per arrestare la diffusione del coronavirus è giocare d’anticipo, prevenirlo, assumendo un atteggiamento di protezione di sé stesso e degli altri, come il distanziamento sociale. Non solo, ma c’è anche chi ha dovuto abbassare le saracinesche, chi ha perso il posto di lavoro e si trova in difficoltà economica. Dietro ogni attività commerciale che si chiude, non c’è solo un incasso che viene a mancare e con esso il lavoro, ma ci sono volti, storie, vite di persone e di generazioni che con sacrificio e determinazione hanno portato avanti un’idea, un aspirazione, un sogno.
L’emergenza sanitaria si trasforma in emergenza economica
L’emergenza sanitaria si sta trasformando in una profonda emergenza economica, dove chi è già in difficoltà finanziaria pagherà il prezzo più alto. Dopo un primo momento in cui è stata sottovalutata la minaccia del CoVid-19 e liquidata come poco più che una semplice influenza stagionale, da buona parte dell’Occidente, adesso si convocano i massimi esperti del mondo della scienza e della medicina, unitamente ai migliori economisti per contenere, gestire e rinascere da questa imprevista situazione. La gravità dell’emergenza è data non soltanto dall’impossibilità, almeno per adesso, di somministrare un vaccino per l’immunità o di avere una cura precisa per guarire da questa malattia respiratoria acuta con conseguenze anche letali; bensì dal contenimento della diffusione dei casi, dovuta alla complessità di individuare e isolare contemporaneamente i sintomatici, coloro che hanno chiari segni del contagio, e soprattutto gli asintomatici, ossia quelle persone che sono portatori sani del virus senza neppure saperlo.
Colti d’improvviso
Chiaramente tutto ciò, non ha solo spiazzato i virologi, gli epidemiologi e la medicina in generale, la quale ha potuto offrire soltanto ipotesi e non dati certi, ma anche i governi dei paesi, i quali chi più prontamente e chi più lentamente hanno garantito, ognuno secondo la propria strategia, il valore della salute. Inevitabilmente questo ha causato un’evoluzione che ha permesso non soltanto la facilità della diffusione del virus, ma soprattutto la sua penetrazione nell’intero pianeta, tanto che dalla Cina, precisamente dalla provincia di Hubei in breve tempo ha fatto il giro del mondo. Nella prima fase dell’emergenza quindi, gli Stati nazionali hanno agito in ordine sparso, attivando a fatica misure di tutela. Anche perché le stesse direttive dell’OMS hanno suggerito di isolare il maggior numero possibile di casi e mettere in quarantena i loro contatti più stretti, non altro. In Europa, dopo che l’Italia ha chiuso tutto, pure qui dividendosi tra i coloro che chiedevano la chiusura immediata di tutto e chi voleva lasciare tutto aperto, alcuni paesi europei hanno assunto una tempestiva risposta al contagio, mentre altri paesi come la Germania, l’Olanda e il Belgio hanno atteso prima del lockdown. La Gran Bretagna invece ha optato per il  blocco totale solo quindici giorni dopo il terzo decesso, registrato il 9 marzo, cambiando la scelta di perseguire come antidoto al virus “l’immunità di gregge”. Gli Stati Uniti d’America pure si sono divisi sulla chiusura totale, infatti c’è stato un notevole ritardo nel recepire le indicazioni dell’OMS, tranne la tempestiva azione di qualche singolo Stato. Per la chiusura immediata si è attivata la Russia.
L’evidenza dei ritardi della politica italiana ed europea
Tuttavia la prova che i governi affrontano, non è tanto dovuta alla prima reazione all’emergenza, anche perché onestamente l’imprevedibilità del virus avrebbe messo in difficoltà chiunque, bensì dalla risposta che sono chiamati a dare circa il domani. Ovvero di come sapranno compiere scelte  politiche che coltivano il futuro. La partita si gioca nell’oggi di un presente che esige delle scelte coraggiose e lungimiranti. Mi riferisco a quella responsabilità della politica di prendersi cura del popolo, come diritto politico e non come carità, garantendo degli standard minimi di reddito, di alimentazione, di salute, di abitazione, di educazione a tutti quelli che si trovano nella condizione di vulnerabilità. Dobbiamo essere onesti, con la pandemia tutti i ritardi e le contraddizioni della politica italiana ed europea si sono resi maggiormente evidenti. Sono drammaticamente vere le affermazioni del filosofo Umberto Galimberti sulla politica italiana: “Sono trent’anni che il Paese non è governato: accorgerci ora che abbiamo cinquemila letti in terapia intensiva quando la Germania ne ha 28 mila, scoprire che le carceri sono in subbuglio e che è possibile scappare sui tetti, ammettere adesso che andavano costruite altre strutture perché i detenuti potessero vivere in condizioni almeno vivibili; è il conto che stiamo pagando per essere stati distratti, per non aver preteso una guida vera. Per non parlare del debito pubblico: un macigno che si farà ancora più pesante per sopperire alle difficoltà economiche di questi mesi. È questo il limite, reale”.
In  queste settimane la maggioranza e l’opposizione si sono divisi praticamente su tutto, anche al tavolo europeo, quando si doveva sostenere una strategia comune a favore del paese, si sono presentati disuniti. L’Europa dal canto suo, invece di agire come una comunità, secondo il sogno dei padri fondatori, pensando al bene del suo popolo, sta agendo in preda ad isterismi ed egoismi incomprensibili, presentandosi spaccata e sorda ad un appuntamento decisivo della storia, come neanche dopo la Seconda Guerra Mondiale. I paesi dell’area nord che hanno i conti a posto, pur riconoscendo l’urgenza di un intervento europeo che aiuti tutti i suoi cittadini, con le loro posizioni granitiche tengono sotto scacco tutti i paese dell’area mediterranea con un debito pubblico eccessivo. Senza entrare in tecnicismi sterili, anche perché non sono competente in materia, il mio intento qui è solo quello di avanzare una riflessione sull’etica e la responsabilità della politica in un momento critico come quello che stiamo affrontando. Indubbiamente per uscire fuori senza le ossa rotte da questa emergenza c’è bisogno della scienza medica, ma anche di più politica.
L’appello di papa Francesco all’Europa
Papa Francesco il giorno di Pasqua in mondovisione ha lanciato un forte appello: “Oggi l’Unione Europea ha di fronte a sé una sfida epocale, dalla quale dipenderà non solo il suo futuro, ma quello del mondo intero. Non si perda l’occasione di dare ulteriore prova di solidarietà, anche ricorrendo a soluzioni innovative. L’alternativa è solo l’egoismo degli interessi particolari e la tentazione di un ritorno al passato, con il rischio di mettere a dura prova la convivenza pacifica e lo sviluppo delle prossime generazioni”. La riapertura e la ripresa di una vita normale sarà un periodo difficile per tanti lavoratori e imprenditori, per artigiani e famiglie, fatto di preoccupazione per il lavoro che si rischia di perdere e per le altre conseguenze che l’attuale crisi porta con sé. Per cui è necessario che l’Italia e l’Europa riordini l’agenda della politica secondo le nuove priorità, soprattutto di rimettere al centro il futuro, ricostruendo una rete sociale di fiducia tra i suoi cittadini e i suoi rappresentanti, capaci di curare le ferite procurate dal virus invisibile, ma dal più grave virus dell’egoismo, che ne ha indebolito la sua realizzazione. La realtà è che questa emergenza è venuta a pesare sulle nostre società già segnate da incertezza esistenziale e precarietà politico-economico, tanto da generare un ulteriore sentimento di indeterminatezza.
La politica ricerca il bene comune
Qui a mio avviso si pone una riflessione che nessuno può pensare di eludere con superficialità, se è vero come ha anche  scritto Paolo Giordano in un breve e interessante saggio Nel contagio, in cui afferma che la scienza è questa capacità di farsi carico della propria ignoranza, affrontando il rischio dell’errore, quale modalità per raggiungere gli obiettivi. La politica come affermava don Luigi Sturzo ha il dovere sociale di farsi carico dell’altro, di cercare il bene comune e provvedere non soltanto all’amministrazione dello Stato ma soprattutto alla direzione della vita pubblica. In questo la politica si gioca la sua credibilità. Come ha detto ancora Papa Francesco: “incoraggio quanti hanno responsabilità politiche ad adoperarsi attivamente in favore del bene comune dei cittadini, fornendo i mezzi e gli strumenti necessari per consentire a tutti di condurre una vita dignitosa e favorire, quando le circostanze lo permetteranno, la ripresa delle consuete attività quotidiane”. La politica non si può perdere dietro a discussioni di palazzo, statistiche economiche oppure inseguendo il consenso popolare, ma deve farsi carico della gente, sostenendo quanti sono in difficoltà, soprattutto i più fragili, garantendo la dignità una vita normale.
Ricominciare più che ripartire
Da qualche settimana vista discesa della curva dei contagi, si è cominciato a discutere sulla fase due della gestione della pandemia, di come organizzare una possibile ripartenza. Anche su questo la politica si è divisa, tra chi sostiene la riapertura totale e chi vuole mantenere ancora tutto chiuso. Sento che si parla di “ripartenza” e nessuno di “ricominciare”: si tratta di due termini che per quanto simili, pongono una sottile è sostanziale distinzione. Se la parola “ripartire” viene utilizzata per indicare la ripresa di un percorso, riprendendolo da dove si era lasciato, da lì dove si era prima, come se tutto ciò che è accaduto non lo fosse; la parola “ricominciare” viene utilizzata per un nuovo inizio, un riprendere, si, ma cominciando qualcosa di nuovo. Facendo tesoro del tempo che è intercorso tra il prima e il dopo. Pongo questa sottolineatura perché il rischio che si corre è di compiere delle scelte importanti, di ripartire, senza una riflessione appropriata su quello che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo. Per cui si riparte esattamente da dove si era fermato tutto. Insomma, ritorniamo come eravamo prima. Quando in realtà tutta questa storia esige un riflessione seria, perché ha da insegnarci qualcosa di serio: ci consente di aprire gli occhi su ciò che vale veramente, quello che conta e merita la nostra attenzione e dedizione. Penso che questo non può accadere e non debba succedere, soprattutto riguardo all’esercizio della buona politica, quella che serve i cittadini e non si serve dei cittadini per i propri esclusivi interessi. Il tempo sospeso che stiamo vivendo, è prezioso, per ripensare tante cose della nostra esistenza e del nostro vivere sociale a cui prima non prestavamo la giusta considerazione. Soprattutto è un controtempo che ci costringe a riappropriarci del tempo in maniera nuova, ed avviare un nuovo inizio, perché no, anche cambiare i nostri comportamenti di vita, improntati all’individualismo e all’egoismo, a favore di uno stile di vita più ecologico e solidale. Probabilmente per alcuni tutto ritornerà ad essere come prima, sinceramente io mi auguro che qualcosa cambi, che ci sia un risveglio dell’umano, un nuovo impegno politico, la riscoperta di una nuova etica e di una nuova spiritualità.
di Paolo Greco