L’uomo contemporaneo, non avendo più il senso del passato né visioni del futuro, tende a credere che il presente sia ineluttabile. E dunque tende ad accettarlo così come viene. Io no. Avendo speso la vita nella passione della letteratura e della poesia, dunque nell’auscultare l’anima e nell’interpretare e confrontare simboli, cerco di leggere nel presente i segni di ciò che lo trascende e che venendo da lontano prefigura ciò che potrebbe avvenire prossimamente. Io ho un sospetto. Lo dico chiaramente e assumendomi la responsabilità etica di ciò che affermo. Ho il sospetto che la crisi sanitaria che ha travolto e messo in ginocchio l’Italia e l’Occidente, arrivata con furia repentina, apparentemente inattesa e ora in via di attenuazione, e la crisi economica che ne consegue e che invece sta montando come nuvole nere prima della bufera, siano le prove generali di un processo che porterà alla progressiva disumanizzazione e desacralizzazione delle società, degli individui, della stessa vita sul pianeta Terra.

Non ho titoli per opinare in campo medico-scientifico. E ho pensato anche di non aver titoli per opinare in campo politico ed economico. Forse con troppa modestia, guardando al livello di cultura della nostra classe politica, con un parlamento e un governo zeppo di miracolati, arrivati dove sono per il principio che “uno vale uno”, immondo perché falsamente democratico, tirato fuori dalla testa arruffata e astuta di un comico in pensione, benestante e autodidatta. Anche gli economisti mi sembrano nel marasma, visto che si addentrano in tecnicismi inutili invece di dirci con franchezza che con la crisi sanitaria si avrà un trasferimento enorme di ricchezza che metterà alla fame milioni di lavoratori, commercianti, piccoli imprenditori, intellettuali, risparmiatori a vantaggio di chi opera ai vertici nel business della medicina, dei media elettronici e dell’e-commerce. Se già ora 85 persone fisiche detengono la ricchezza di tre miliardi di poveri Cristi, presto possiederanno la ricchezza di tutti gli abitanti del pianeta. Almeno questo è il disegno: poi c’è l’astuzia della Storia, che potrebbe non permetterlo. Le prove di disumanizzazione dovrebbero essere evidenti a tutti.
Abbiamo visto in ospedali colpevolmente privi di attrezzature adeguate medici lasciati soli a fare la terribile scelta di salvare o no un paziente in base alla sua età: dunque costretti a trattarlo come un oggetto, un mezzo per riequilibrare il numero di posti in terapia intensiva piuttosto che come una persona, un fine. È disumanizzante isolare gli anziani in orribili ghetti dove un minimo contagio può fare stragi. Non smetto di ringraziare il Signore dell’Universo per avermi dato la possibilità e la forza di mantenere la promessa fatta a mia madre, venuta a mancare a 98 anni compiuti, di chiudere gli occhi   nel letto di casa sua, circondata di affetti. È disumanizzante declassare il valore della vita quanto più si prolunga nel tempo, disprezzare la debolezza del corpo, la limitata presenza sulla scena del consumo e della moda: del resto il succitato comico in pensione non aveva già vagamente proposto di togliere il voto agli anziani? Ed è disumanizzante, anche se tutti lo abbiamo accettato con senso di responsabilità, uscire per strada con il volto coperto come un rapinatore e con i guanti di lattice come un detective o un assassino, dover tenere la distanza di sicurezza da chiunque altro essere, fosse anche un amico o una persona amata. Non ci rendiamo conto che l’uso della mascherina abolisce il sorriso come la distanziazione abolisce la stretta di mano, segni che ci distinguono in quanto esseri umani? È disumanizzante negare come è stato fatto gli accessi ai giardini pubblici e al mare, toglierci paradossalmente, per proteggere i polmoni dal virus, il respiro della natura, della bellezza naturale degli alberi e delle onde. È stato disumanizzante chiudere teatri e cinema, luoghi dove la immaginazione collettiva elabora sogni e miti, massacrare l’universo dei libri, baluardo della formazione di individui e generazioni. E infine è disumanizzante la accentuata perdita del primato del lavoro, che dovrebbe essere sacro e inviolabile, e la conseguente formazione di sacche molto ampie di miseria disperata e di cieca alienazione. Anche se tutti oramai usiamo il telelavoro (lasciatemelo chiamare così, piuttosto che con l’ambiguo smart-working), ci rendiamo conto che con esso   la virtualità rischia di prendere il sopravvento sulla nostra stessa corporeità, di farci diventare ombre e ologrammi.
È stata da tempo dimenticata l’energia dello spirito. Il suo primato, che Giuseppe Ungaretti, forte della sua visione poetica, invocava già nel 1950. Ora si comincia a vedere come anche il corpo potrebbe essere dimenticato in quanto fonte di forza, eros, piacere (D.H. Lawrence con la sua visionarietà che lo rende estraneo alla cultura media italiana lo aveva profetato) per diventare un oggetto governato da protocolli lavorativi, ingiunzioni ideologiche (quelle delle femministe  estremiste, per esempio)  e controlli sanitari forzati. La qualità della vita così si inabissa. E parallelamente si inabissa la qualità della morte. Chi non ha provato una sensazione mista di pietà e di orrore nel sapere quanti nostri simili morivano negli ospedali senza un volto caro vicino, nel vedere le colonne di camion che portavano via le bare ammassate, in silenzio, di notte, come se smaltissero merce avariata? Le porte delle chiese e delle moschee sbarrate sono state segni simbolici terribili anche per un non credente, perché, oltre a limitare la fondamentale tra le libertà che è quella di culto, hanno   suggerito la superfluità del sacro, del rito, della preghiera.
La desacralizzazione della realtà è un fenomeno di immane gravità, come la scristianizzazione progressiva dell’Occidente, di cui nessuno si rende conto. Lasciatelo dire all’unico intellettuale della sua generazione che a quindici anni era iscritto al Partito Liberale, in Italia la cellula del PCI (mentre l’ideologia comunista generava il contrario di quello che aveva promesso, servitù e povertà) e la parrocchia (mentre il cattolicesimo continuava a fornire argomenti a certi oscurantismi) erano pur sempre luoghi di resistenza dell’umano. Il proletariato e la piccola borghesia vi trovavano uno scudo contro il nichilismo disumanizzante. Oggi il culto del Centri Commerciali è praticato da zombi incolpevoli, né proletari né borghesi, tutti burattini nelle mani lontane di poteri sconosciuti.  Cacciato il sacro, si è cacciato dalla società il mistero, l’invisibile, l’energia creante, la visionarietà, la profezia, l’arte nel senso più alto: in sintesi, la parte più che umana, divina, magica dell’uomo. E cacciato il sacro, si è cacciato l’amore vero per la natura, per la bellezza delle foreste e dei mari, per lo spettacolo del cielo stellato, per l’armonia del cosmo che nessun ecologismo tecnologico, quello oggi di moda, può surrogare.  Qualcuno mi dirà che esagero. Si è detto che non ho mezze misure. È vero, non ne ho, credo nelle mie idee da quando ero un ragazzo e le difendo sino in fondo. Walt Whitman non ebbe paura di apparire ridicolo, così fu omerico.
Nel mio piccolo, difendo da decenni le ragioni della poesia, della natura, del sacro, dell’anima, e leggo la realtà in base ad esse.  E proprio per questo oggi ho un sospetto. Mi direte che si è trattato soltanto di una crisi sanitaria, che sta tutto per finire e tutto tornerà come prima, tra happy hour e shopping. Non so. Può anche darsi. Ma io sospetto che le prove generali di disumanizzazione e di desacralizzazione del mondo siano ormai avvenute: in qualunque momento lo spettacolo livido di un totale asservimento dell’uomo a forze tiranniche e invasive di ogni momento della sua giornata saprebbe come    incominciare. Sappiamo ormai come si instaurerebbe una dittatura tecnologico-sanitaria che adducendo la necessità di una pletora di controlli per salvaguardare la nostra salute finirebbe per controllare perfino l’interno del nostro corpo, ci irreggimenterebbe, ci toglierebbe libertà, dignità, movimento, piacere, anima. In una parola, saprebbe come fare a sradicarci dall’umano. Si prepara a imporla la Cina? Si prepara Conte (che certo con i suoi modi versatili, innocui e gentili, farebbe volentieri il premier anche in un’Italia in mano alla Cina)? Si preparano a imporla i potentati economico-finanziari occidentali, il club degli 85 supermiliardari oggi ancora più super? A me non piacerebbe vederlo. Non so a voi. Ma il sospetto io ce l’ho. E sono pronto a esercitare, donchisciottescamente, tutta la resistenza spirituale possibile. Intanto quella.
Giuseppe Conte, Pangea, Maggio 16, 2020