“Immunità”: Vocabolario voltagabbana del virus. Si è speculato di immunità parlamentare come di un sinistro privilegio, nei tempi in cui le vacche parevano grasse: ora vorremmo tutti, semplicemente, essere immuni dal contagio. Immune, un tempo, valeva per impunito: oggi continuiamo a intendere il contagio come una punizione – non è più un dio a scalciare, ma la divina natura – da cui vorremmo essere sanati, salvi. Restiamo, invece, colpiti e dementi, deboli e frantumati: nessuno è immune da colpe e oltre ai dati del contagio potrebbero leggere San Paolo, Lettera ai Romani, “La fama della vostra obbedienza è giunta a tutti… siate saggi nel bene e immuni dal male. Il Dio della pace schiaccerà Satana sotto i vostri piedi” (16, 19-20). In effetti, che ragione ho di proteggere la mia vita se questa non è data, devotamente, ad altro (la salvezza di un altro, la dedizione all’altro)?
*
Immunità si fonde con invulnerabilità. La parola immune è una sfera di miele nel palato perché si lega a quell’altra, indicibile. ImmortaleEssere immuni a ogni contagio è il primo passo verso l’immortalità – immunità alla cronologia. Che tenerezza: l’uomo è pur sempre quell’animale che si sente fuori posto e fuori luogo, diverso dal resto del creato, che ha paura di soffrire. Eppure – bisogna cantilenare ancora Eschilo? – si conosce soffrendo e l’immortalità è dei vampiri. Immuni & immortali – Jorge Luis Borges strappa le ciglia di una simile idiozia. “La morte (o la sua illusione) rende preziosi e patetici gli uomini. Questi commuovono per la loro condizione di fantasmi; ogni atto che compiono può esser l’ultimo; non c’è volto che non sia sul punto di cancellarsi come il volto di un sogno. Tutto, fra i mortali, ha il valore dell’irrecuperabile e del casuale. Tra gli Immortali, invece, ogni atto (e ogni pensiero) è l’eco di altri che nel passato lo precedettero”, racconta il legionario romano de L’immortale – il racconto che apre L’Aleph – che, nato sotto Domiziano, riuscì a morire, disperato dalla sua immunità alla morte, negli anni Venti del secolo scorso.
*
Vorremmo essere immuni dalla vecchiaia, ignorando che la giovinezza è la verifica della ferocia (Alessandro Magno, Giovanna d’Arco…), una spada che non ammette immunità al massacro. Così, i vecchi vengono vigorosamente messi ai margini, in luoghi ‘protetti’ per proteggerci dal loro contagio. Recentemente un vasto gruppo di “scrittori, artisti, intellettuali, rappresentanti della cultura e… operanti nel contesto sociale” – tra gli altri: Eugenio Borgna, Massimo Cacciari, Carlo Ginzburg, Enzo Bianchi, Milo De Angelis, Sandro Lombardi – ha inviato al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio dei Ministri un appello “contro la discriminazione degli over 70”, stigmatizzando l’eventuale “segregazione sine die in base al dato anagrafico”. Il punto centrale è questo: “Chiuderci in casa vorrebbe dire, perciò, minacciare e non proteggere la nostra salute. Posta in condizioni che rappresenterebbero un delitto sociale da parte dello Stato. Il vero contagio, il più pericoloso virus diventerebbe questo, inoculato ogni giorno nei nostri cervelli e soprattutto in quelli dei giovani indotti a considerare gli anziani una sottocategoria, una merce avariata” (il testo completo lo leggete qui).
*
Immunità vuol dire essere sollevati dagli obblighi, essere alieni dai munera, militari (obbligo della difesa della città) o economici (le tasse). Significa, però, alienarsi dalla munificenza della vita, dalla sua magnificenza.
*
L’uomo è contagio, la natura è contagiosa: tutto ci tocca, tutto tocca. Siamo esposti a tutto – a tutto dobbiamo esporci.
*
Più che immunità, una consacrazione. Non alienare il contagio, essere pura lebbra, deposta ai piedi dell’alto; essere scempio, scemenza, semenza. Numeri, capitolo 6.
*
Questo è il vecchio & caro Dostoevskij: “Sulla nostra terra noi possiamo amare veramente soltanto con sofferenza e attraverso la sofferenza! Noi non siamo capaci di amare in altro modo e non conosciamo altro amore. Io voglio la sofferenza per amare. Io voglio, io ardo dal desidero di baciare in quest’istante medesimo quell’unica terra che ho lasciato e non voglio, non accetto la vita su nessun’altra!”.
*
Dietro al desiderio di essere immortali – eccesso d’immaginazione – c’è quello, più sibillino, di restare malati. Tutti i cittadini sono malati – cioè: sono il male – e lo Stato è il farmaco, il custode della cura. Da soli non ce la possiamo fare, siamo inabili, inabilitati: lo Stato è l’antidoto al male. Immunità, allora, si sfata in controllo: che distanza c’è tra il bene di Stato – di tutti, diciamo, anche se è sempre di alcuni – e il proprio bene? Che abisso tra bene e benestare, tra bene e benessere? In fondo, ci piace che esista una app per farci immuni: non pagare le tasse, non avere obblighi, non agire. Tutti i giorni mi domando chi agiti il mare: sulla spiaggia i cingoli recano una verbosità geroglifica; le nuvole s’intrecciano come draghi; il colore dell’acqua, ogni volta, è diverso. Come se fosse una bestia, l’acqua, non disattenta alle proprie ambizioni. (d.b.)
*In copertina: Isabelle Adjani, Klaus Kinski, Werner Herzog sul set di “Nosferatu”, 1979

Pangea, Maggio 01, 2020,