Una conversazione del 1986 con il frate e poeta sul vero senso cristiano della festa: «È il dono del Padre a questi figli disperati che siamo noi»
Quando morì David Maria Turoldo (nel 1992, era nato nel 1916), in una commemorazione quasi notturna, la televisione italiana che lo aveva avuto ospite e collaboratore mandò in onda un documentario-intervista nel quale egli parlava di sé leggendo ciò che io avevo scritto sei anni prima in un saggio sulla sua poesia intitolato Turoldo o la consolazione della morte.
Il pieno consenso al mio intervento critico aveva aperto un canale di intelligenza spirituale tra me e l’insonne frate servo di Maria. Attraverso quel canale mi giunsero gli accenti della sua voce profetica suscitati da mie domande intorno al mistero, alle verità, all’attualità senza tempo e perciò di ogni tempo del Natale del Signore. Strano che paia – oggi non saprei dire perché -, le tre pagine che mi inviò per posta, battute a macchina e sigillate dalla firma autografa, erano rimaste inedite.
Le ho ripescate a caso riordinando vecchie carte in un bustone che conserva lettere ricevute da scrittori autorevolmente consacrati tra i maggiori del nostro Novecento. Sarà utile richiamare qui una preliminare peculiarità che connota la scrittura di Turoldo non meno di quella di altri autori cristiani e cattolici, questa: non c’è ‘letterarietà’ nelle pagine che si arroventano al fuoco di Dio. Bisogna dunque ricordarsi di non leggerle, per non restare al buio, come esito di ricerca stilistica o come esibizione di bravura formale. La loro pronuncia trascende canoni estetici e di poetica, si converte in substantia di colloquio e comunione con l’Assoluto oltre le sfere della conoscenza sensibile. Tanto premesso, ascoltiamo il nostro Turoldo.
 
Che cosa è il Natale?
«Davanti a una simile domanda non so se vergognarmi o ridere. Così, a primo impulso. E invece, Lei ha ragione: c’è proprio da domandarsi cos’è il Natale; e se perfino noi cristiani sappiamo cosa sia veramente il Natale. Soprattutto, cosa abbia a che fare con il vero Natale di Cristo questo nostro modo di celebrarlo: in queste città impazzite per commerci e traffici; e scialo di luminarie, e ostentazioni di ricchezze, eccetera, c’è da domandarci sul serio cosa significhi per noi Natale: se si può ancora pensare che da noi Cristo continui realmente a nascere, a prendere corpo in una società come la nostra. Ecco, a pensare propriamente a questo mi porta la sua domanda».
 
Pertanto come è da accogliere il Natale di quest’anno?
«E però al di là del dubbio e del contrasto, al di là del sospetto che siamo davvero su vie sbagliate, al di là di ogni mercato, sopravviva almeno la nostalgia che la vita è un dono. Perché questo è il significato profondo del Natale: il dono del Padre a questi figli disperati e soli che siamo noi; il dono di un figlio e di un fratello che ci salvi dalla disperazione e dalla solitudine. E che ritorni ad apparire qualche segno di maggiore umanità nei nostri rapporti, in queste nostre città sempre più ‘senza Dio’. (Non dico atee, dico ‘senza Dio’ che è molto diverso: se non altro per quel tanto di drammatico che c’è solitamente nell’ateo; invece ‘senza Dio’ dice soprattutto indifferenza, noncuranza, non-pensiero, quando non dica addirittura cinismo)».
 
Ha scritto qualcosa per il Natale prima d’ora?
«Se ho mai scritto qualcosa per Natale? Sì, ho scritto anche troppo e spesso male. E anzi è per questo che continuo a scrivere: con l’augurio sempre di porci rimedio. E magari non faccio che peggiorare. Come quando si ricade nel solito vizio. Mi giustifica la speranza che sia sempre un nuovo Natale: che finalmente la Parola prenda carne, e cioè si realizzi nella vita quotidiana, in questo mio divenire tumultuoso e caotico, e mi salvi da una esistenza insensata e banale. Perché Natale o è incarnazione del verbo di Dio nella nostra realtà individuale e storica, o non è Natale. Naturalmente concedendo quanto di dovere alla nostra miseria: pronti a comprendere, certo, ma non a desistere di fronte alla pazienza di Dio che tuttavia viene, che non cessa di venire…».
 
Gesù è perennemente contemporaneo dell’uomo?
«È a questa attualizzazione e contemporaneità di Dio nella storia dell’uomo che siamo chiamati, se non altro per aprirci, comunque a rispondere. Perché è certo che egli viene, ma dove e in chi viene? Certo che viene per tutti, ma non è detto che tutti lo incontrino».
 
Abbiamo qualche memorabile Natale in letteratura?
«Un Natale in letteratura? Invece di perdermi in altri ricordi, voglio limitarmi a un richiamo: che tutti pensino come il Natale di Cristo sia annunciato dalla stessa Madre con il suo ‘Magnificat’, il quale è un canto al vero ‘Infinito’ e segna la vera rivoluzione nella storia: il canto che io chiamo dei ‘dieci verbi’, a indicare l’irrompere di Dio nel mondo».
 
Quali sono i dieci verbi?

«Dio che ha guardato all’umiltà della sua serva; che ha fatto grandi cose in lei, l’Onnipotente; e poi ha spiegato la potenza del suo braccio; e ha disperso perfino i pensieri dei superbi; ha rovesciato i potenti dai troni; ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati; ha rimandato a mani vuote i ricchi; ha soccorso Israele suo servo; si è ricordato della sua misericordia! Dieci verbi, dieci imprese: il poema della madre che già lo porta in seno. Per dire che colui che concepisce Cristo non può non mettersi a cantare; e celebrare davanti al mondo cosa significhi la sua venuta. Che se non significa questo, vuol dire che non è venuto, che ancora non ha preso carne. Ed è inutile perfino che gli angeli si mettano a cantare… ».
In questo finale di gloria spalancato sull’eternità è il Turoldo che per noi vicini e per tutti i viventi lontani canta il Natale.

 

a cura di Pasquale Maffeo, in “Avvenire” del 22 dicembre 2015