Tre anni fa il cardinale Martini, già molto malato, ebbe in dono una preghiera. Egli, dopo averla letta attentamente, esclamò: “Ho un’idea: perché non raccogliamo un certo numero di ‘preghiere personali’, scritte da gente di diverso ceto o cultura, tutte dirette al Padre, che sta nei cieli? Io poi scriverò la mia e la metteremo in apertura a questa raccolta”. Purtroppo dopo pochi mesi morì, ma questo libro è la sua eredità, germogliata nel cuore di coloro che, conosciuto questo progetto, hanno realizzato il suo desiderio. È per questo che la sua anima aleggia in ognuna di queste pagine.
 
 
Un Padre per tutti noi, è la democrazia del Cielo
di Carlo Baroni
A Lui che sta nei cieli chiediamo da duemila anni il pane quotidiano e di liberarci dal male. Forse non ci ascolta sempre. Magari siamo noi che non sappiamo come dirlo. Anche se le parole giuste ci erano state suggerite. Ma ognuno ha qualcosa in più e di diverso. Il mio Padre Nostro (edizioni Imprimatur) è l’ultimo «regalo» di Carlo Maria Martini: l’idea, nata tre anni fa, di far riscrivere la preghiera delle preghiere a persone diverse per cultura, ceto sociale, età. E raccolte da . . Non a caso pediatra e poeta.
Perché nell’invocazione al padre siamo tutti come bambini. Si comincia da Adriano, astronomo, e si arriva a Vittoria, che con i suoi novant’anni è la meno giovane di tutti. C’è la naturale necessità, il bisogno di mettersi in ascolto persino quando siamo noi a fare le domande. La fede semplice fatta di parole dirette, senza fronzoli o sofismi da intellettuale.
Giacomo, che un mestiere non ce l’ha più e dice che «non gli resta che pregare», ma non è una resa. Solo l’unica cosa da fare. E parla a Dio come ci si rivolge all’amico fidato perché «ci metta una pezza». Aldo, biologo, ci vede il «miracolo della vita», per lui che ogni giorno la incontra al di là di un microscopio ed è sempre una domanda con troppe risposte e, talvolta, nessuna. C’è Anna, psicoterapeuta, che viaggia, balla il tango, fotografa e scrive. E lavora per aiutare le persone traumatizzate a «rammendare l’amore per la propria storia». Jessica vende il suo corpo e «non si vergogna di ammetterlo». Le bastano nove parole per rivolgersi a chi può tenderle una mano: «Padre Nostro, rendimi degna, non respingermi. Ti prego, aiutami».
Tra le sessantasei voci che si rivolgono al divino anche i nomi di chi la vita, il lavoro ha messo in copertina. Albano Carrisi vede il Padre «nei colori dell’arcobaleno, nei vulcani che ardono sempre, nelle nenie di popoli lontani». Roberto Donadoni sa che basta chiedere perché ci venga dato. La personale preghiera di Ermanno Olmi si conclude con l’esortazione a liberarci da «ogni egoismo e prevaricazione sui fratelli più deboli». Quello di Giulio Giorello è il Padre Nostro del ribelle, quello pensato per ricordare il giorno della morte di Bobby Sands. Ferruccio de Bortoli, autore anche della prefazione, parla al Padre dei suoi dubbi e chiede un «ormeggio per la sua anima» e la capacità di riconoscere il «Male, anche quando questo veste abiti eleganti e incanta con il suo eloquio». Marco Garzonio chiede il dono di essere reso «discepolo della Tua Parola».
Preghiere che tirano fuori le storie di ciascuno di noi. Dove riconoscerci. Perché se il Padre è uno solo, anche i figli sono tutti uguali. E non conta da dove vieni o quanti anni hai. La democrazia del Cielo che si spande sopra tutti. Bisognosi di un aiuto senza essere mai rassegnati, però. Anche nel dolore, persino nell’ineluttabilità di una situazione senza sbocchi, la disperazione resta sempre fuori dalla porta. Possono esserci le lacrime, si può provare un senso di ingiustizia, ma niente che possa spingerci sotto per sempre.
Ci sono le preghiere dei bambini, quelli che hanno sempre capito tutto in anticipo. E qualche volta la preghiera nasconde il desiderio che ci vengano riconosciuti i nostri meriti che il mondo non vuole vedere. O, peggio, pretendere vendetta per chi ci ha fatto del male. Sono le volte che gli occhi non ce la facciamo, non possiamo alzarli e le parole ci escono da labbra sempre screpolate dall’odio .
in “Corriere della Sera” del 29 gennaio 2016