[responsivevoice_button rate=”1″ pitch=”1.2″ volume=”0.8″ voice=”Italian Female” buttontext=”Avvio”]

Si deve a Shakespeare, com’è noto, una delle definizioni più importanti del teatro. Quando il principe Amleto si rivolge al capocomico della compagnia girovaga giunta nel castello di Elsinore, per convincerlo a mettere in scena una recita a soggetto che lo aiuti a scoprire se sia vero che a uccidere suo padre sia stato lo zio con la complicità della madre, egli afferma che il fine del teatro “sia all’inizio che adesso, era ed è quello di reggere lo specchio alla natura, di mostrare alla virtù il suo proprio volto, al vizio la sua propria immagine e alla stessa età e allo stesso corpo la sua forma e la sua impronta.” (Amleto, atto terzo, scena seconda).
Questa funzione di essere lo specchio che permette agli uomini di vedersi in esso riflessi e, dunque, di conoscersi meglio, oggi sappiamo è tipica di ogni forma d’arte. Dunque ogni arte contribuisce a fornirci delle chiavi interpretative per leggere in profondità la contemporaneità, oltre il semplice susseguirsi dei fatti: se l’arte è uno specchio, noi siamo, al tempo stesso, il soggetto e l’oggetto di un processo ermeneutico che ha come luogo contestuale l’oggi.
Ma se questa è prerogativa di ogni forma d’arte, qual è lo specifico contributo che a questo processo ermeneutico può portare il linguaggio teatrale? Certamente è un contributo multiforme che, qui, nello spazio consentitomi, mi sembra di poter individuare soprattutto in due aspetti.
Uno degli aspetti specifici del linguaggio teatrale è costituito dal fatto di essere una forma di spettacolo dal vivo (da questo punto di vista, questa è una specificità condivisa con altre forme d’arte che hanno la stessa caratteristica, come, per esempio, la danza, l’opera lirica, il concerto dal vivo, lo spettacolo circense).
L’evento teatrale, infatti, non va ridotto alla scrittura teatrale in senso tradizionalmente drammaturgico. Il testo teatrale, quale testo scritto sulla pagina, è soltanto propedeutico alla messinscena e, considerato in sé, è da intendersi come l’equivalente di una partitura musicale, la quale sarà musica soltanto quando verrà eseguita.
Il teatro, dunque, agito da attori sulla scena al cospetto di un pubblico, si presenta, oggi, con una carica dinamica difficilmente sopravvalutabile. Esso va a fornirci una peculiare lettura di quanto e di come l’esplosione comunicativa attraverso i linguaggi digitali e i social abbia modificato la prassi comunicativa.
La centralità del corpo nella sua immediatezza fisica, esposto all’esperienza diretta, priva di mediazioni digitali, provoca reazioni sostanzialmente modificate rispetto al passato, in un pubblico quotidianamente immerso in contesti comunicativi fortemente indeboliti dell’immediatezza fisica.
Si pensi, per esempio, a una delle caratteristiche più tipiche di qualsiasi forma di spettacolo dal vivo: l’esposizione all’errore. In contesti fortemente mediati, la possibilità di errore è tendenzialmente ridotta fino a poter essere espunta poiché la performance, in quei contesti, può essere ripetuta, modificata e corretta prima di essere immessa nella relazione comunicativa. Viceversa, nelle performance dal vivo, la continua possibilità di errore svela in maniera evidente i tratti più essenziali dell’esperienza umana: la sua caducità, l’inevitabile mescolanza dell’errore con la corretta esecuzione, fino alla fragilità intrinseca in ogni atto umano.
Oppure si consideri il ruolo che, nell’evento teatrale, rivestono fattori apparentemente marginali, puntualmente cancellati nelle forme di comunicazione altamente mediate, quali, per esempio, il sudore dell’attore o lo scricchiolio di una scarpa sulle assi del palcoscenico, la polvere sollevata da un costume che sfiora il pavimento o il respiro affannato di un attore che ha effettuato una lunga tirata. Tutto questo viene espunto da contesti comunicativi altamente mediati, come elemento residuale e di disturbo. Al contrario, in un contesto dal vivo, proprio questi fattori costituiscono un plusprodotto artistico che contribuisce a costruire l’unicità dell’evento.
Non appare esagerato dire che alla patinatura artificiale di relazioni comunicative in cui la contemporaneità si scopre sempre più immersa, questo altro tipo di esperienza contrappone un’autenticità capace di svelare proprio l’artificiosità.
Una seconda caratteristica, il teatro la presenta essendone il titolare esclusivo: la dimensione dialogica.
Ovviamente, il teatro non è l’unica forma d’arte che utilizzi la dialogicità. In esso, però, la dimensione dialogica costituisce l’unica dimensione. Se, per esempio, in un testo narrativo, il momento dialogico compare di fianco a quello del racconto, nella pagina teatrale esso costituisce l’unico momento. Il teatro o è azione drammatica, vale a dire dialogo, o non è.
Sia chiaro che con il termine dialogo non s’intende soltanto l’atto del parlare fra due o più persone. Dialogo è “azione fra”, non racconto di un’azione. E anche quando in un contesto teatrale si racconta un’azione (si pensi al fatto che, per esempio, nella tragedia greca la morte non veniva mostrata ma raccontata in scena), il racconto di quell’azione è esso stesso “azione tra”: tra due personaggi o fra un personaggio e il pubblico (in quest’ultimo caso vanno inseriti, per esempio, i monologhi teatrali).
Ebbene, l’immediatezza della dimensione dialogica, tipica del linguaggio teatrale, sollecita lo spettatore a esercitare costantemente una pratica ermeneutica in cui interprete e interpretato vengono collocati in una relazione strettissima, riducendo al minimo gli elementi mediatori. Se, cioè, per esempio, in un contesto narrativo, il fruitore è guidato dal narratore nell’atto interpretativo, il linguaggio teatrale immette immediatamente lo spettatore nell’attività ermeneutica.
Non sembri ovvio e scontato questo dato specifico. È sempre più frequente, infatti, dover registrare quante persone trovino difficile leggere un testo teatrale. Non che lo trovino, per esempio, noioso: questo potrebbe semplicemente essere attribuibile a questioni di gusto. Molte persone trovano, invece, proprio difficile questo tipo di lettura, poiché poco abituati alla coscienza dell’esercizio ermeneutico e, dunque, necessitanti di una guida all’atto ermeneutico che, invece, il teatro (scritto e agito) richiede senza ulteriori mediazioni.
di Giancarlo Loffarelli