Il cristianesimo al tempo di papa Francesco è il tema del convegno di studi che si svolge a Roma presso la Società Dante Alighieri a «Palazzo Firenze». Il convegno promosso dall’Università di Roma II, l’Università Cattolica di Milano, l’Università per Stranieri di Perugia e la World History Academy vedrà la partecipazione di autorevoli storici di tutto il mondo sui temi tanto cari a Bergoglio: centri e periferie, globalizzazione, storia, cultura e Teologia e prospettive future. Tra i relatori il cardinale Walter Kasper, monsignor Dario E. Viganò, il teologo Pierangelo Sequeri, gli storici Andrea Riccardi, Agostino Giovagnoli, Jean Pierre Bastiana, Jean Francois Colosimo, Massimo Faggioli, Marta Margotti, Francesco Bonini e Mariella Pieroni.
«Nel titolo del tema non è indicato il cattolicesimo ma il cristianesimo in Francesco» – afferma Agostino Giovagnoli – «perché nel cattolicesimo del Papa la parte ecumenica è realtà fondamentale». D’altronde da una parte l’elezione di Francesco è stata meno casuale rispetto a quello che si possa pensare ma «è stata il frutto di dinamiche storiche di decenni e dall’altra il suo papato porta le periferie al centro e innesta un cambiamento profondo in una realtà come quella cattolica che per secoli è stata segnata da una logica territoriale. Francesco è dunque un leader cristiano in una realtà più ampia della sola Chiesa cattolica».
Il Papa è un contemporaneo di Trump e di Putin ed emerge rispetto ai leader politici per la sua carica profetica e alternativa, infatti, aggiunge Giovagnoli: «Questo pontificato è profondamente legato alla realtà storica ma la sua novità non è solo legata alla sua energia personale, alla sua spiritualità ma in realtà Francesco è espressione di un cambiamento che è irreversibile e dunque non è pensabile al suo papato come una parentesi perché la realtà del mondo globalizzato pone delle sfide diverse da quelle tradizionali» e il Papa argentino le incarna nel rispetto della tradizione ma soprattutto alla fedeltà al Vangelo.
Le voci critiche nei confronti di papa Francesco esprimono un pregiudizio molto eurocentrico, prosegue Giovagnoli, «si imputa al Papa sudamericano di non avere una solida preparazione teologica perché la teologia del popolo, agli occhi di coloro che muovono critiche, vale poco. La prospettiva per il Papa argentino è avviare i processi, e molti ne sono stati avviati».
Al convegno questa visione sarà illustrata perché – prosegue il Docente della Cattolica – «in Bergoglio c’è un modello alternativo che è un cristianesimo di minoranza, coeso, identitario e perdente rispetto al mondo globalizzato. Vi sono nostalgie di un modello del passato che appare largamente inadeguato per parlare al mondo di oggi che ha bisogno di una Chiesa che deve essere missionaria e in ascolto».
«Nei prossimi anni il suo papato – chiosa Giovagnoli – potrà riservare delle sorprese nel rapporto con la Cina, i rapporti con l’ortodossia e in particolare con la Russia; e poi la grande sfida della Chiesa in uscita che dovrà fare sempre meno i conti con le sue forze istituzionali, con la sua capacità organizzativa, l’applicazione del Diritto canonico insomma tutto quello che ha ereditato dal passato per attrezzarsi a una novità pastorale come quella delineata dall’Amoris Laetitia».
Uno dei passaggi più interessanti del convegno sarà presentato da Massimo Faggioli che parlerà dei laici nella Chiesa al tempo di Francesco. «Vi è uno stretto rapporto tra la crisi della democrazia e la crisi del laicato cattolico organizzato», afferma il Docente ferrarese che insegna in America. «Il laicato cattolico globale non si identifica più con quello strato sociale di estrazione europea che si collocava tra proletariato e media-alta borghesia. I nuovi accenti del magistero di Francesco su matrimonio e famiglia sono frutto di questa mutazione. Bergoglio ha percepito questa stagnazione del movimentismo cattolico – una stagnazione in termini di spinta propulsiva, se non in termini
demografici. Toni del tutto nuovi vengono da Francesco verso il laicato cattolico organizzato, quando il Papa mette in guardia dalla tentazione di utilizzare l’esperienza del movimento- associazione come rifugio per cattolici culturalmente e ideologicamente affini».
«Il messaggio di Francesco continua nel solco dell’ecclesiologia cattolica novecentesca e conciliare, superando non solo l’ecclesiologia del duo genera christianorum ma anche l’ecclesiologia del duo genera laicorum. Francesco ha archiviato l’idea di una superiorità del laicato organizzato e ideologicamente organico al pontificato come il modello perfetto di sano laicato, superiore al laicato indistinto all’interno della comunione ecclesiale», conclude Faggioli.
In introduzione del convegno, questa mattina, Andrea Riccardi ha svolto ha svolto una riflessione sulla «Chiesa tra centro e periferia». Il Papa, ha sottolineato lo storico, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, nonché presidente della Società Dante Alighieri, è sia «profeta» che «uomo di Governo», e sebbene Francesco esprima apprezzamento per uno stile collegiale e sinodale, «mi sembra – ha rilevato Riccardi ricapitolando i quasi quattro anni di pontificato del Papa chiamato «quasi dalla fine del mondo» a rilanciare con una riforma una Chiesa e una Curia segnati nel 2013 da una crisi profonda – che ci sia una verticalizzazione nel governo della Chiesa, in attesa che emerga un rinnovamento profondo a cui il Papa spinga da profeta». In questo quadro, la «riforma del centro alla periferia» impersonata dal Papa, «in un certo senso non ha ancora preso corpo», mentre «quello su cui papa Francesco lavora di più è, direi, una rivoluzione culturale di lungo periodo». La riforma di Jorge Mario Bergoglio, insomma, non ha un «disegno organico ed ecclesiologico», come quello promosso a suo tempo da Paolo VI, che, con la pressione del Concilio Vaticano II, in appena due anni cambiò profondamente il personale di Curia. Non è un programma dettagliato come quello che fece Paolo VI, ma un «processo», che, di per sé, «non è controllabile». Da qui la questione: «In un processo tutto dipende non da chi lo mette in moto, ma dalla ricezione», da parte di pastori, fedeli, soggetti ecclesiali, e la riforma di papa Francesco sta suscitando «adesioni, resistenze, e anche indifferenze». Questa, per Riccardi, è «la grande sfida» perché «la palla passa nel campo dei vari soggetti ecclesiali». Papa Francesco «inciderà sulla storia di lungo periodo del cattolicesimo?», Jorge Mario Bergoglio «riuscirà?»: per rispondere «non bisogna guardare solo al Papa, ma alla realtà della Chiesa del XXI secolo, a come i vari soggetti aderiscono, resistono o sono indifferenti», ha detto lo storico. Il rischio, per chi cerca di capire e raccontare il pontificato, è che «l’osservazione si fermi al Papa, non vedendo la miriade di settori del cattolicesimo, che però determineranno in gran parte il successo o l’insuccesso di quello che Papa Francesco inizia».
di Luca Rolandi, in “La Stampa-Vatican Insider” del 19 gennaio 2017