Il credente cristiano e la secolarizzazione: come ridestare la coscienza religiosa

Secolarizzazione e de-secolarizzazione nella modernità
Com’è noto, la secolarizzazione è un fenomeno complesso, che si è sviluppato in Europa con il procedere della modernità, e che in tempi recenti è andato mutando in secolarismo e post-secolarismo, non senza la tensione con il movimento opposto, la de-secolarizzazione.
Consideriamo qui due valenze del termine. La prima individua nella secolarizzazione e nella de-sacralizzazione che la accompagna, una delle caratteristiche tipiche del cristianesimo: la netta separazione fra la trascendenza assoluta di Dio e la natura, che risulta quindi profana, secolare e desacralizzata.

Secondo la lettura di Max Weber
Secondo la lettura di Max Weber, la prima modernità, soprattutto con il calvinismo, abbatte il muro che separa il regno religioso del monaco dal regno mondano: nella sua vita sulla terra ogni cristiano deve diventare un monaco, secondo una condotta ascetica assunta come metodo per condurre i propri comportamenti pubblici e privati. L’esito è la riduzione del sistema dualistico tipicamente medievale, fatto di “questo mondo” e delle strutture di mediazione fra “questo mondo” e “l’altro mondo”, ad un unico mondo, quello secolare, all’interno del quale la religione, e il credente, dovrà ridefinire la propria posizione.

La rivoluzione industriale e la pluralizzazione delle opzioni
Una seconda valenza indica nella secolarizzazione il progressivo indebolimento delle strutture di plausibilità della religione, ossia della sua funzione di legittimare istituzioni politiche, forme di pensiero, espressioni culturali; e l’inizio di un suo concomitante declino, che troverà un formidabile acceleratore nella rivoluzione industriale fra XVIII e XIX secolo. L’implicazione antropologica più significativa di tutto ciò è la pluralizzazione delle opzioni che si offrono alla scelta di ciascun essere umano.

“L’imperativo eretico”
L’individuo moderno, infatti, è obbligato a scegliere una delle molte visioni del mondo che ha a disposizione, sia religiose sia profane: il suo è quello che il sociologo Peter Berger chiama «imperativo eretico», secondo il significato originario della parola greca haìresis (eresia, scelta). Nel contempo, come osserva Romano Guardini, «declina la recettività religiosa», intesa come «contatto diretto con il contenuto religioso delle cose […]. Ma ciò significa che l’uomo moderno non solo smarrisce in gran parte la fede nella Rivelazione cristiana, ma subisce anche un indebolimento delle sue disposizioni religiose naturali, e viene sempre più portato a considerare il mondo come una realtà profana».

Il cristiano nel mondo straniero in patria: “L’epistola a Diogneto”
Due sono le questioni sollevate dalle connotazioni della secolarizzazione appena richiamate. La prima riguarda la posizione del credente cristiano nel mondo; la seconda, il ridestare la «recettività religiosa», ossia la coscienza religiosa personale.
Quanto alla prima questione, l’Epistola a Diogneto resta di singolare attualità: i cristiani non si differenziano dagli altri uomini in nient’altro se non nella forma di vita meravigliosa che si propongono e che li rende «stranieri» nella loro patria terrena. Essi «vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. […] abitano in questo mondo, ma non sono del mondo. […] sono detenuti nel mondo come in una prigione, ma sono loro a sostenere il mondo». A rendere i cristiani «stranieri» in patria è la testimonianza che essi danno della fede e dei contenuti in cui credono, e con la quale attestano nell’esperienza e nella storia un’idea e un’ispirazione che le oltrepassano. Come scrive Paul Ricoeur, il testimone è la coscienza della presenza dell’Assoluto in lui, per quanto la testimonianza sia la sua testimonianza, un’attestazione personale e individuale, la mediazione personale e individuale attraverso la quale l’Assoluto trascendente è nel mondo, facendosi esperienza e storia viva.
E tuttavia, negli atti esteriori e nei loro esiti, questa testimonianza rischia di confondersi con altre forme di impegno, personale, sociale, civile, politico.

L’accorato appello ai laici cattolici di John Henry Newman
A differenza di altri, il credente cristiano attesta la propria come proveniente dalla Parola di Dio e dalla dottrina che ne è seguita nel corso del tempo. Il che introduce nel nostro ragionare altre due questioni: la formazione religiosa del credente come suo elemento distintivo e la sua capacità di dialogare con i non credenti sui contenuti della fede.
Alla metà dell’Ottocento John Henry Newman rivolgeva un accorato appello ai laici cattolici perché curassero la conoscenza della propria religione, per poterla spiegare e difendere, e perché coltivassero la ragione come criterio per distinguere verità da verità e come fattore essenziale nella definizione della natura della fede. Ciò non a favore dei fanatici o degli integralisti, ma per «gli uomini di buon senso». Che questi siano i destinatari del messaggio di Newman, rivela un principio non trascurabile perché la presenza dei credenti cristiani nel mondo secolarizzato sia significativa: la fede è un esercizio della ragione, di una ragione pratica, la cui forza è temperata dall’amore; non è né irrazionale né irragionevole né superstizione. D’altra parte, come potremmo ignorare che gran parte della nostra vita si fonda su atti di fede? Ci fidiamo (crediamo in e crediamo che) dei medici o degli insegnanti, dei professionisti e delle loro competenze, degli artigiani e degli amici, … Per il fatto che ce ne fidiamo, dovremmo essere tacciati di superstizione? Accusati di essere irrazionali o irragionevoli?

L’«impegno cooperativo di traduzione», dei credenti, insieme ai non credenti
Resta il problema di come rendere comprensibile i contenuti della fede religiosa ad un mondo che, in quanto secolarizzato, non ne comprende il linguaggio. Jürgen Habermas indica la soluzione nell’«impegno cooperativo di traduzione», che vede i credenti, insieme ai non credenti, impegnati a tradurre le proprie convinzioni in termini comprensibili anche a chi non le condivide. Questo impegno cooperativo è giustificato da un èthos comune e, in particolare, dal condiviso riconoscimento che non si può sapere quali risorse di formazione di senso perderebbe la società secolare se non consentisse ai credenti di esprimersi: «Anche i cittadini laici o di fede diversa possono a volte imparare qualcosa dai contributi religiosi, ad esempio quando nei contenuti normativi di verità di un enunciato religioso riconoscono intuizioni proprie, cadute sovente in oblio», intuizioni che costituiscono quel mondo della vita che è il luogo del senso di ogni esperienza.

Come ridestare la coscienza religiosa: il cammino salvifico del disinganno
Quest’ultimo rilievo ci consente di affrontare la seconda questione dalla quale siamo partiti: come ridestare la coscienza religiosa. Se si ritiene che in un mondo secolarizzato essa sia sopita, si riconosce implicitamente che esiste una tendenza alla trascendenza connaturata all’essere umano. Il che esige di occuparci dell’uomo, di ricostruire un’antropologia da quello che Michele Foucault chiama «il vuoto dell’uomo scomparso». E un’antropologia integrale, nel senso che consideri l’essere umano come un tutto, che comprende in sé tutte le istanze che lo distinguono dagli altri esseri viventi e, oggi, anche dagli enti artificiali dotati di “intelligenza”. Il filosofo tedesco Max Scheler scrive che «ogni spirito finito crede o in Dio o in un idolo»: il problema è capire se questo atto di fede trovi un oggetto correlativo adeguato oppure tenda ad un oggetto che ne contraddice l’essenza. La soluzione non è introdurre nell’uomo, dall’esterno, l’idea e la realtà di Dio, ma condurlo all’analisi di sé e al disinganno dai suoi idoli, risvegliando l’atto religioso verso l’oggetto al quale è per sua natura rivolto e dal quale era stato sviato a causa degli idoli. «A chi nega Dio […] bisogna in primo luogo far vedere, soprattutto a partire dai fatti della sua vita, che egli ha e possiede un bene, una cosa che egli di fatto tratta in ogni momento della sua vita “come un Dio” – come una cosa che ha l’essenza del divino –; egli deve elevare a chiara consapevolezza questo fatto e riconoscere, attraverso il cammino salvifico del disinganno, che questa cosa è un idolo». Si apre così la strada che dall’idolatria secolare conduce alla fede religiosa. In realtà, Dio è già trovato prima di essere cercato, come recita la frase che Pascal mette sulle labbra di Gesù rivolto all’uomo: «Tu non mi cercheresti, se non mi avessi trovato».

Per approfondire:
Chi sono cristiani? Lettera a Diogneto, a cura di M. Perrini, Qiqajon, Magnano 2018.
S.S. Acquaviva, L’eclissi del sacro nella civiltà industriale. Una teoria del movimento generale di dissacrazione e una sintesi della pratica religiosa nel mondo, Comunità, Milano 19815.
P.L. Berger, L’imperativo eretico. Possibilità contemporanee di affermazione religiosa, trad. it. di A. Altera e M. Marchetto, Ldc, Torino 1987.
G.L. Brena, Dialogo tra civiltà e secolarizzazione. Per una laicità non secolaristica, Messaggero, Padova 2012.
J. Casanova, Oltre la secolarizzazione. Le religioni alla riconquista della sfera pubblica, trad. it. di M. Pisati, il Mulino, Bologna 2000.
P. Costa, La città post-secolare. Il nuovo dibattito sulla secolarizzazione, Queriniana, Brescia 2019.
M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, trad. it. di E. Panaitescu, Rizzoli, Milano 201512.
R. Guardini, La fine dell’epoca moderna. Il potere, trad. it. di M. Paronetto Valier, Morcelliana, Brescia 201512.
J. Habermas, La religione nella sfera pubblica. Presupposti cognitivi dell’“uso pubblico della ragione” da parte dei cittadini credenti e laicizzati, in Tra scienza e fede, trad. it. di M. Carpitella, Laterza, Roma-Bari 2006.
Id., La religione nella sfera pubblica delle società post-secolari, in Verbalizzare il sacro. Sul lascito religioso della filosofia, trad. it. di L. Ceppa, Laterza, Roma-Bari 2015.
J.H. Newman, Discorsi sul pregiudizio. La condizione dei Cattolici, a cura di B. Gallo, Jaca Book, Milano 2000.
B. Pascal, Pensieri, 736 Chevalier, a cura di A. Bausola, Rusconi, Milano 19974.
P. Ricoeur, L’herméneutique du témoignage, in Lectures 3. Aux frontières de la philosophie, Seuil, Paris 1994.
M. Scheler, L’eterno nell’uomo, a cura di P. Premoli De Marchi, Bompiani, Milano 2009.
C. Taylor, L’età secolare, a cura di P. Costa, Feltrinelli, Milano 2009.
M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, trad. it. di P. Burresi, Sansoni, Firenze 1977.
Michele Marchetto