La pandemia e le contraddizioni della globalizzazione
La pandemia non solo ha inciso sugli individui, ma anche sulle nostre società, i sistemi democratici e i modelli di sviluppo, ne ha evidenziato le contraddizioni, i ritardi e inefficienze, ma anche i punti di forza. Se vogliamo entrare con maggiore consapevolezza nella nuova stagione del mondo che ha inaugurato il CoVid-19 occorre necessariamente riflettere sull’incidenza dell’emergenza sanitaria sulla globalizzazione così come la conosciamo oggi. Il sociologo Arjun Appadurai ha individuato, tra i molteplici fattori della globalizzazione che ha caratterizzato il nostro modo di vivere fino a ieri, quello del movimento delle persone nel pianeta per motivi di lavoro, turismo e di emigrazione, a cui associa quello delle immagini mediatiche, il movimento dei capitali finanziari e delle ideologie, ed infine il movimento delle tecnologie.
Molti ritengono che il virus sia in qualche modo figlio della globalizzazione, a causa del movimento delle grandi masse di persone che si spostano da un posto all’altro, da una città all’altra e da una terra all’altra. Il virus ha circolato rapidamente e senza farsi notare. Per molti altri invece, è stato soltanto grazie al mondo globalizzato che si è potuto mettere un argine alla diffusione del contagio nel mondo. Grazie allo scambio delle informazioni, notizie e dati tra paesi, come delle competenze tecniche e scientifiche. Tuttavia è innegabile che un microscopico virus ha fatto tremare il gigante  della globalizzazione, dai piedi d’argilla. Se da una parte tale modello ha manifestato il suo volto solidaristico, dall’altra ne ha rivelato quello più egoistico. Siamo rimasti tutti commossi dinanzi alla solidarietà dei paesi europei che hanno accolto i pazienti italiani bisognosi delle terapie intensive, come anche il vedere i medici cinesi, russi, cubani, albanesi e americani arrivare nei nostri ospedali per dare una mano.
Ma ci siamo anche indignati dinanzi all’indifferenza da parte di alcuni paesi, più interessati a sé stessi che a coltivare una rete di protezione continentale e mondiale. La corsa che si è innescata per rastrellare le mascherine, a discapito di chi ne aveva bisogno, ne è un chiaro esempio. Hanno suscitato grave preoccupazione le prese di posizione dei paesi europei più ricchi, sulla possibilità di attuare un programma economico che aiuti i paesi più colpiti. Come anche le avvisaglie delle Nazioni con maggiore potere d’acquisto per accaparrarsi per prime il vaccino. Mentre le nazioni più povere dovrebbero aspettare.
Al di là degli encomiabili gesti di solidarietà, il CoVid-19 ha messo in evidenza il volto di una globalizzazione egoistica e non solidaristica, che insegue il proprio profitto, senza tenere conto della persona, che dovrebbe occupare il centro del progetto. Da qui gli appelli di papa Francesco per superare la “cultura dello scarto”. La società contemporanea, pur caratterizzandosi per il suo marcato tratto di apertura alla mobilità, al pluralismo delle idee, ai diritti e alla fusione di stili, in  pratica si traduce in un individualismo esasperato e in una libertà rivestita di narcisismo.
 
I lati oscuri della globalizzazione
La globalizzazione più che un opportunità sembra imprigionata in processi tecno-economici che invece di promuovere l’umano, hanno favorito insicurezza e una nuova vulnerabilità. Si va sempre più diffondendo una visione mercantile dell’esistenza che fonda il suo futuro sul ricavo e sull’astratto calcolo del business, dove si afferma la monotona priorità della ricchezza e la ricerca compulsiva del profitto per il profitto. Ciò che di fatto ha pervaso il vissuto contemporaneo è la mentalità capitalistica individualista, che fa della ricerca del guadagno l’unico scopo e – come ha affermato papa Francesco – diviene una struttura idolatrica, dove il denaro è il nuovo idolo da adorare, per il quale si è pronti a qualunque cosa. Ciò che conta è il prodotto e il consumo, il valore in moneta, i consumatori di prodotti e i produttori di consumi. Si dimentica il reale valore delle persone, riconosciute non in quanto tali, ma per i beni che producono e che consumano e il denaro che possiedono. La prosperità si trova concentrata nelle mani di pochi privilegiati, con ingenti somme di denaro, incuranti delle condizioni di povertà di tutti gli altri, che pur di guadagnare si adeguano ai dettami di un mercato dal volto disumano, dove ciò che conta è l’accumulare denaro.
La globalizzazione da realtà salvifica si è tradotta, così, in una dannazione per un grande numero di persone private di diritti e di dignità. Il costo del lavoro e lo stipendio si sono abbassati per la competizione del mercato e il lavoro è stato ridotto a salario e a merce, non più al servizio del bene comune e della realizzazione di sé stessi. Tutto ciò pone profondi interrogativi alle istituzioni pubbliche e democratiche, ed in particolare modo alla politica, che devono governare in maniera corretta il rapporto tra il bene comune e il bene del singolo. La globalizzazione può divenire fonte di bene per tutti se si mette al servizio della persona, secondo la buona regola della condivisione, soprattutto con i più poveri della comunità e i più giovani, che si aprono al futuro.
 
La Globalizzazione e l’economia dell’esclusione
La globalizzazione del capitalismo senza regole ha imposto l’economia “dell’esclusione e dell’inequità” che costruisce un’economia senza volto e dimentica la dimensione umana. Siamo dentro una nuova idolatria, quella del denaro, il nuovo deus invisibile che governa il mondo, ed esaspera soltanto il profitto ed il consumo. In tale orizzonte non si diffonde un maggiore benessere e l’uguaglianza tra tutti gli individui, bensì l’indifferenza e le disparità tra le persone e l’uso sconsiderato delle risorse della terra.
Per promuovere un reale ed integrale sviluppo della persona e del mondo in cui abitiamo  dobbiamo  abbandonare il modello esclusivamente consumistico e del profitto per favorire un nuovo modello di economia che si ponga al servizio dell’essere umano e delle sue reali e fondamentali esigenze. Il modello economico centrato sui dogmi del denaro, del profitto e del consumo genera profondi squilibri che minacciano seriamente la vita umana dei singoli individui e l’ambiente dove essi vivono. Questa economia, miope ed egoista,  dove prevale “la legge del più forte” – ha affermato papa Francesco-  “uccide”, si dimentica delle persone, genera scarti e avanzi umani, mette a rischio la vita, come purtroppo le cronache spesso hanno raccontato.
 
La globalizzazione della solidarietà e della fraternità
Evidentemente qui non voglio certamente apparire tra quelli che vedono la globalizzazione come il male assoluto, tutt’altro, lo sviluppo dell’uomo passa anche attraverso un miglioramento delle condizioni di vita e del suo benessere, e quindi anche dall’apertura dei mercati e dalla produzione di beni, ma la globalizzazione di cui abbiamo estremamente bisogno è quella della solidarietà e della fraternità.
La Dottrina Sociale della Chiesa insegna che l’attività economica, se soggetta all’esclusiva logica mercantile crea gravi scompensi, mentre se finalizzata al bene comune può produrre la vera ricchezza, che si trova nel generare rapporti di amicizia, socialità, solidarietà, reciprocità, rispetto del creato. Il sistema di mercato lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore di beni scambiati, non riesce a produrre coesione sociale e tantomeno a funzionare bene. Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può espletare la propria funzione economica a servizio dell’uomo. Relazione che papa Francesco, nella Laudato sii, approfondendo la riflessione sulla questione ecologica, ha sottolineato come principio essenziale che l’uomo contemporaneo deve tenere presente e mai dimenticare: un vero approccio ecologico è sempre un approccio sociale, ovvero interessa tutta l’attività umana, quindi anche l’economia e la politica, le quali sono chiamate ad essere al servizio dell’umano e non dei loro meri interessi.
 
Un nuovo modello di sviluppo per il risanamento delle relazioni
Quando i sistemi di mercato si costruiscono esclusivamente sugli interessi materiali, cedono alla logica dello sfruttamento delle risorse e finiscono per uccidere la vita e con essa il futuro del mondo. Per questo oggi è urgente avviare un’operazione di risanamento della relazione con il mondo. C’è bisogno di guarire le relazioni tra gli esseri umani alla luce dell’apertura ad un “Tu”: in altri termini dobbiamo rimettere al centro l’altro, ed in ultima istanza l’Altro con la “A” maiuscola.
Per porre rimedio agli squilibri economici ed ecologici, manifestatisi a causa di una globalizzazione sbilanciata, bisogna mettere la politica e l’economia in dialogo tra di loro. Una relazione che evita gli squilibri e le deviazioni che conducono a pensare che la soluzione di tutti i problemi sia esclusivamente il profitto, secondo una concezione fatalista. In realtà il giusto rapporto tra economia e politica conduce a pensare ad un nuovo modello di sviluppo che guardi prima di ogni cosa al bene comune e al bene delle persone, all’ambiente dove si vive ed alla natura che ci ospita. Ridisegnare allora un nuovo modello di economia che abbracci la sfida culturale soggiacente ai processi sociali ed economici, sappia rispettare i ritmi della natura, i tempi di degradazione e rigenerazione, la complessità degli eco-sistemi e l’uso sostenibile delle risorse naturali. Solo una politica capace di un’etica amica della persona può correggere le distorsioni di una globalizzazione improntata al “profitto” e al “consumismo”, ad una visione “privatistica della vita”. Come ci ha insegnato il CoVid-19, nessuno si salva da solo. Siamo insieme sulla barca della vita in questo mondo. E soltanto insieme possiamo fare fronte ai venti contrari della storia.
di Paolo Greco