PREMESSA
Vista la risonanza straordinaria che l’evento del Family Day ha avuto in ambito sociale, culturale, politico ed ecclesiale ci pare utile fornire un’ulteriore documentazione che aiuti la comprensione di questo evento che certamente lascerà un segno non tanto sull’esito legislativo della legge Cirinnà,  quanto sulla definizione di un nuovo rapporto all’interno della Chiesa italiana tra gerarchia e una parte importante dei movimenti ecclesiali.  Grandi movimenti ecclesiali come l’Azione cattolica, i Focolarini, l’Agesci, parte dell’episcopato e lo stesso papa Francesco  hanno sottolineato la loro distanza dall’evento del Family Day, mentre un’altra grande parte di movimenti e associazioni, vescovi e sacerdoti, lo promuovevano e si schieravano a favore.
A sua a volta anche il mondo civile, culturale e politico ha registrato una spaccatura trasversale che passava all’interno dei gruppi sociali, culturali e politici creando due schieramenti contrapposti.
La documentazione che abbiamo selezionato si propone di documentare e offrire criteri interpretativi di questa profonda divisione oggi evidente, ma latente da molti anni nella cultura e nella chiesa italiana.
 
 
DOCUMENTAZIONE
 
“Basta con questo strabismo Le famiglie tradizionali sono quelle da difendere di più”
intervista a Nunzio Galantino, a cura di Andrea Tornielli
«Basta affrontare il tema in maniera strabica e ideologica. Bisogna prendere atto della situazione reale della famiglia oggi in Italia». Il vescovo Nunzio Galantino, segretario della Cei, partecipa ad Abano Terme al seminario nazionale di pastorale sociale «Vie nuove per abitare il sociale» e nella sua prima uscita pubblica dopo il Family Day risponde alle domande della Stampa.
Intervista
Che impressione ha avuto della manifestazione di sabato?
«È stata un’esperienza certamente positiva, per tanti motivi. Non fosse altro perché abbiamo sperimentato concretamente il valore delle parole rivolteci dal Papa: noi non dobbiamo essere vescovi-piloti. Ma questo non significa essere gente disattenta e distratta. Il tema del Family Day e dei relativi dibattiti può trovare adeguata collocazione e diventare occasione di confronto leale, per la politica e per la stessa comunità ecclesiale».
Come si continua ora, rispetto all’iter della Cirinnà? Si può trovare un punto d’incontro?
«Si sta discutendo nelle aule parlamentari, per rispetto non voglio entrare nel dibattito politico. La posizione della Chiesa è chiara ed è stata già chiaramente espressa».
Che cosa è importante oggi per la famiglia?
«Non bisogna affrontare il tema in maniera strabica e ideologica. Strabismo è non rendersi conto – agendo di conseguenza – che la famiglia è uno strumento necessario prima di tutto per la tenuta della società stessa».
Qual è la situazione reale in Italia?
«Comincio da una banalità che sembra ignorata: le famiglie composte da padre, madre e figli sono assolutamente maggioritarie rispetto ad altre forme di convivenza. Dinanzi a questa realtà è ovvio chiedersi: ma quanto investono i nostri governanti per tenere viva e produttiva questa realtà? Il vero ammortizzatore sociale oggi, anche rispetto alla crisi e al lavoro che manca, è la famiglia. Poi c’è la sempre più bassa natalità: bisogna intervenire a più livelli perché la crisi demografica impoverisce il nostro Paese e mortifica le prospettive di futuro».
Francesco a Firenze ha invitato la Chiesa italiana a non essere ossessionata dal potere anche quando assume l’aspetto positivo della «rilevanza sociale». A che punto siete?
«Il Papa ci ha invitato ad abbandonare ogni tentazione di concepirci come un potere accanto ad altri poteri. A non cercare e non esercitare un potere nemmeno per raggiungere fini positivi. Questo non significa non avere la responsabilità, la libertà e la passione di occuparci della città degli uomini, della dimensione sociale e politica. Non “cercare” rilevanza sociale e politica non significa non “avere” (anche) rilevanza sociale e politica, ma usare quest’ultima, che può essere solo il frutto di una testimonianza di vita autenticamente evangelica, a servizio del bene comune e non per il conseguimento di privilegi ingiustificati. Le persone oggi accolgono la Chiesa se si mantiene alla larga da logiche di potere e si sforza di testimoniare il Vangelo attraverso scelte credibili».
Il Papa ha chiesto ai vescovi di non fare i «piloti» dei laici. Quanto pesa ancora il clericalismo?
«Il clericalismo, ha detto una volta Papa Francesco, è come il tango: lo si balla sempre in due! È il risultato dell’incontro tra due debolezze: un clero che ama pensarsi come una casta superiore, per posizione e per pensiero, quindi chiamata a “pilotare”, e un laicato incapace di riconoscere la sua dignità e di esigerne il rispetto. Quando il giro di tango dura a lungo, allora si fanno strada con una virulenza insopportabile, da un lato, indebite richieste di “benedizioni” (per sé) e antievangeliche richieste di “scomuniche” (per gli altri!); dall’altro lato, si fanno strada forme di collateralismo e di piaggeria funzionali al perseguimento dei soliti interessi, assai concreti e assai meschini, dei soliti noti, disponibili a ogni soluzione pur di riciclarsi come uomini nuovi».
«La Chiesa italiana si trova storicamente nella condizione di ricevere risorse provenienti dalla destinazione volontaria dell’8×1000 da parte di fedeli che ne apprezzano la presenza e il servizio svolto a favore di tutti, credenti e non credenti. Il cattivo uso che solo qualcuno, nella Chiesa, fa di queste risorse non giustifica le generalizzazioni strumentali e il rifiuto pregiudiziale di prendere atto di tutto quello che la Chiesa, attraverso le sue strutture e la sua presenza, restituisce in termini di risposte all’intera collettività, e in particolare alle fasce più deboli e indifese. Quanto a quelli che vengono presentati come scandali e che, in alcuni casi, tali sono: nessuna giustificazione, anzi desiderio che gli abusi vengano denunziati perché l’azione della Chiesa non venga sporcata da comportamenti inaccettabili».
in “La Stampa” del 3 febbraio 2016
 
 
«Noi in minoranza? Non è affatto scontato Trovare un accordo è ancora possibile»
Colloquio con Camillo Ruini a cura di Aldo Cazzullo
Eminenza, vediamo il Family Day su Sky o su Rainews24? «Le dispiace se mettiamo Tv2000, la tv dei vescovi? Sembrava non dovessero trasmetterlo, invece…». Lo speaker annuncia: «Siamo due milioni!». Il cardinale Camillo Ruini, 84 anni, per 17 vicario di Giovanni Paolo II, sorride: «Due milioni mi sembrano un po’ tanti…». Prende la parola il portavoce, Massimo Gandolfini, neurochirurgo. «Un personaggio interessante, lo vorrei conoscere. Due neurologi mi hanno spiegato che le adozioni sono dannose non solo per il bambino ma anche per le persone omosessuali, che ne soffrono molto». Poi d’un tratto, davanti alle immagini dall’alto del Circo Massimo, i suoi occhi si arrossano e si riempiono di lacrime: «Una folla immensa. Come quella che si radunò per Cofferati, contro l’articolo 18. Però questi non avevano un soldo da spendere. Persone semplici…». Ruini è commosso. Ma subito riprende a parlare con la lucidità chirurgica con cui ha guidato i vescovi italiani.
Intervista
Cardinale, come mai non va al Circo Massimo?
«Anzitutto per motivi fisici. Sono molto anziano e fatico a stare in piedi a lungo, come vede. E poi penso di aver già dato al Family Day tutto il sostegno che potevo con i miei interventi pubblici».
Il primo fu quando disse al «Corriere» che, se si fosse andati avanti con la legge, ci sarebbero state grandi manifestazioni. Come mai ne era così certo?
«C’era già stata quella del 20 giugno. Soprattutto, c’è nel Paese una diffusa contrarietà al matrimonio, o simil matrimonio, tra persone dello stesso sesso; in particolare all’adozione da parte di questo tipo di coppie, e alla pratica dell’utero in affitto».
L’utero in affitto resta vietato.
«Ci si nasconde dietro l’espressione inglese “stepchild adoption” per negare la realtà. Come fanno altrimenti due uomini ad avere un figlio?».
Una legge sulle unioni civili esiste in tutta Europa. Perché proprio l’Italia dovrebbe fare eccezione?
«Una legge sulle unioni civili si può senz’altro fare. In Parlamento praticamente tutti si dichiarano favorevoli, e di fatto gran parte di questi diritti anche in Italia esiste già, a seguito di decisioni della magistratura. Ma è importante che i diritti siano attribuiti alle persone che formano le coppie, non alla coppia come tale, per evitare equiparazioni al matrimonio».
Anche l’Europa denuncia il ritardo italiano.
«L’Europa tende purtroppo ormai da parecchi anni a trascurare il principio di sussidiarietà. Cerca di rendere uniformi norme e situazioni che sono legittimamente diverse nei singoli Paesi. E fa troppo poco in quelle materie come la politica estera, la difesa, ora in particolare la questione degli immigrati, in cui solo l’Ue può agire con efficacia».
È sicuro che la situazione in Italia sia diversa rispetto al resto d’Europa?
«La pressione c’è anche da noi. Qui però si è riusciti a resistere».
La Chiesa ha perso molte battaglie, dal divorzio all’aborto. Lei vinse quella sulla fecondazione assistita, ma la Consulta ha smontato la legge che lei difese. Non è che contro la modernità non si può fare nulla?
«Non c’è una sola modernità. C’è quella cui lei si riferisce, e che nei Paesi occidentali gode di una vera egemonia culturale. Ma c’è anche un’altra modernità, nel vasto mondo e pure nei nostri Paesi. È la modernità che vediamo oggi al Family Day. Una modernità che fa nascere figli, contrastando la crisi demografica che si sta mangiando l’Europa. Una modernità che ha fiducia nel futuro e crede nei legami sociali. Senza di essa, anche la modernità oggi egemone avrebbe poche speranze».
Che cosa intende dire?
«Che la folla del Family è una risorsa da non disperdere, per il bene del Paese».
Ma i vescovi all’inizio hanno esitato; poi la mobilitazione delle parrocchie li ha indotti a muoversi. O no?
«Mi pare una lettura un po’ semplicistica. I vescovi sono preoccupati di lasciare l’iniziativa ai laici, com’è giusto; ma nella sostanza non hanno fatto mancare il loro consenso. E non poteva essere diversamente».
Ora cosa accadrà in Parlamento? È più difficile per un parlamentare cattolico votare la legge?
«Questo non sono in grado di prevederlo. Credo però che tutti i parlamentari, non solo quelli cattolici, farebbero bene ad ascoltare questa manifestazione; che non è il frutto di una forte organizzazione, ma del sentire di gran parte del nostro popolo».
È ancora possibile un compromesso?
«Direi che è possibile, o almeno sarebbe possibile, un vero accordo, se oltre a stralciare le adozioni si togliessero i tanti riferimenti al diritto matrimoniale e al diritto di famiglia. Altrimenti si apre la strada all’equiparazione, attraverso le decisioni della magistratura».
È deluso da Renzi?
«Lei sa che non esprimo mai giudizi sulle personalità politiche».
È un premier cattolico. Come lo era Prodi, di cui lei celebrò il matrimonio e battezzò i figli, prima dello scontro sui Dico.
«Romano Prodi rimane per me un amico come, ne sono sicuro, io per lui. Le divergenze su alcune questioni non significano la fine di un’amicizia che tra Romano e me ha radici molto profonde».
E Renzi?
«Rispondo solo che da Renzi come da altri politici continuo ad aspettarmi scelte positive, per le quali non è mai tardi».
Ci sono quindi i margini per un accordo.
«Se si vuole, ci sono eccome. Bisogna avere la volontà di essere disposti a fare modifiche profonde».
Se invece la legge dovesse passare, si farà un referendum per abrogarla?
«Mi pare un po’ presto per parlare di referendum. Adesso l’impegno e la speranza sono di evitare che sia fatta una cattiva legge, e che sia invece approvata una legge equilibrata e largamente condivisa dai parlamentari e dalla sensibilità comune».
Sta dicendo che non si può fare come se non ci fosse stato il Family Day?
«Questo si vedrà. Certo sarebbe strano che non se ne tenesse conto».
Ma non era meglio tenersi i Dico?
«È vero che non contenevano certe forzature dell’attuale disegno di legge. Ma se fossero stati approvati non sarebbero stati il punto d’arrivo, come non lo sarebbe nemmeno l’attuale disegno di legge. Il vero traguardo è la totale parificazioni delle coppie omosessuali a quelle eterosessuali; come riconoscono apertamente i promotori più decisi di queste rivendicazioni, e com’è già accaduto in molti altri Paesi».
È sempre convinto che «l’ondata libertaria defluirà come è defluita quella marxista degli anni 70»?
«Lo penso sempre, e questa giornata lo conferma. L’omosessualità è sempre esistita, ma il matrimonio tra persone dello stesso sesso è una novità assoluta rispetto a ogni epoca e a ogni cultura».
Il Papa ha ribadito che non si deve confondere la famiglia tradizionale con le altre, però la sua non è parsa una chiamata alle armi, un modo per indurre i cattolici a fare opposizione. O no?
«In parte sono d’accordo con lei. È sbagliato estrapolare le parole dei Papi — adesso Francesco, prima Benedetto, Giovanni Paolo II, Paolo VI — dal loro contesto e applicarle direttamente ai problemi italiani del momento. Questo non significa che i Papi ciascuno con il suo stile non abbiano molto a cuore questi problemi, e non chiedano a tutti, in particolare ai cattolici, una posizione chiara».
Ma Francesco mette l’accento sui temi sociali più che su quelli etici, non trova?
«Certo, il Papa ha la sua sensibilità, ha l’esperienza da cui viene, che lo induce a privilegiare le situazioni di povertà estrema: le periferie del mondo. Questo non vuol dire che non sia sensibile
all’“ecologia umana”, come la chiama lui. Infatti si è espresso più volte in difesa del matrimonio e dei figli».
Però non guida questo movimento. Paolo VI contro il divorzio l’aveva fatto.
«Non vuole guidarlo, né vuole che sia guidato dai vescovi, ma dai laici. Paolo VI era un Papa italiano, aveva una forte percezione delle cose italiane; si impegnò, e dopo la sconfitta rimproverò i cattolici del dissenso. Ma anche lui preferiva che a guidare fossero dei laici».
Agli omosessuali cosa si sente di dire?
«Che non soltanto non sono ostile alle persone omosessuali, ma ho avuto fin da giovane autentiche amicizie con qualcuno di loro. E chiaramente tutte le persone hanno integralmente i diritti che competono alla persona come tale, a partire dal rispetto che è loro dovuto».
Cosa le resta di questa giornata?
«Una conferma: non è detto che siamo sconfitti. Le partite sono sempre aperte. Ha anche ragione lei: c’è un’altra modernità; ma ci siamo anche noi. E tanta gente in chiesa va poco, ma su queste cose la pensa come noi» .
in “Corriere della Sera” del 31 gennaio 2016
 
 
Scommettere sulla famiglia
di Bruno Forte
Qual è la posta in gioco nell’attuale dibattito parlamentare sulle unioni civili riguardo al bene comune? La risposta a questa domanda richiede che si rifletta sui valori di fondo implicati nelle decisioni da prendere.
Mi sembra che essi siano fondamentalmente tre: i diritti del cittadino, i suoi doveri verso la “res publica” e i doveri della stessa nel promuovere il bene di tutti, per tutti. Tra i diritti del cittadino rientra certamente quello di essere rispettato nella sua dignità di persona e nella libertà e autonomia delle sue scelte nel gestire la propria vita e nello stabilire e coltivare le relazioni stabili e durature, nell’ambito delle quali intenda viverla: da questo punto di vista, chi sceglie di costruire un patto di vita stabile con una persona di sesso diverso o dello stesso sesso, può avanzare la richiesta che i diritti connessi a un tale rapporto siano pubblicamente riconosciuti e garantiti. Si tratta di diritti personali che hanno una ricaduta sociale e pubblica e che come tali possono essere regolamentati dal legislatore.
A questa domanda di tutela dei diritti va però connessa quella – da essa inseparabile – del rispetto dei diritti altrui e della “res publica” e dell’osservanza dei doveri che ciò naturalmente comporta. Fra questi c’è il rispetto del dettato costituzionale, che all’articolo 29 esplicitamente afferma: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». La tutela dei diritti connessi alle cosiddette “unioni civili” non potrà pertanto essere attuata a scapito della famiglia, riconosciuta dalla Costituzione quale «società naturale fondata sul matrimonio» (l’uso del verbo «riconoscere» mostra chiaramente come il valore e il diritto della famiglia preesista a ogni arbitraria decisione contingente). La pari dignità dei coniugi esige non solo che i loro diritti siano tutelati, ma anche che il bene dell’unità familiare sia misura decisiva per il riconoscimento e la realizzazione dei diritti personali.
In particolare, l’articolo 30 della Costituzione afferma il «dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio», in tal modo affermando anche il diritto dei figli a ricevere da chi ha dato loro la vita tutto il necessario per la sussistenza, la crescita, l’istruzione e l’educazione. Vengono così messi in luce accanto ai diritti dei coniugi quelli dei figli, da promuovere e tutelare fino al punto che se i genitori risultassero incapaci a farlo lo Stato deve provvedere adeguatamente: «Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti». La promozione e tutela della famiglia, riconosciuta come bene fondante, esige dunque l’attenzione ad essa in tutte le sue componenti, sì che i diritti e doveri dei coniugi siano contemperati con quelli dei figli e della loro crescita armonica e integrale.
Questa riflessione aiuta a comprendere le riserve da esprimere in particolare circa la cosiddetta “stepchild adoption”, l’adozione da parte del partner di una coppia omosessuale unita civilmente del figlio o dei figli dell’altro. Dal punto di vista dei minori quest’adozione dovrà misurarsi col diritto naturale di essi ad avere una relazione educativa che implichi la reciprocità dei sessi, necessariamente richiesta nell’atto riproduttivo che ha dato loro la vita: come la nascita è frutto dell’azione congiunta di un padre e di una madre, così la crescita dei figli non può ignorare il loro naturale bisogno di relazionarsi a genitori legati dalla reciprocità maschile – femminile. All’obiezione che tutto questo in tanti casi della vita non viene a realizzarsi, si deve rispondere che ciò non può essere ragione sufficiente a che la legge codifichi come diritto una tale possibilità. Detto con parole diverse, il diritto naturale dei figli ad avere un padre e una madre non solo nell’atto generativo, ma nell’intero processo della loro crescita ed educazione, va rispettato e tutelato in tutti i modi in cui la legge possa farlo. L’adozione del figlio del partner da parte di una coppia dello stesso sesso implicherebbe il venir meno di uno dei ruoli fondamentali nella crescita della persona, quello paterno o quello materno, a favore di una genitorialità sessualmente univoca e perciò non equiparabile a quella naturale, senza contare la complessità dei rapporti affettivi in cui il minore verrebbe a trovarsi in relazione da una parte ai genitori naturali, dall’altra al genitore aggiunto dello stesso sesso del partner.
Queste riflessioni sono dettate da una cura per l’umano nella sua integralità, che non ha alcun intento polemico o discriminatorio: come ha affermato in maniera chiara Papa Francesco nel suo discorso al Tribunale della Rota Romana in occasione della recente inaugurazione dell’Anno Giudiziario (22.01.2016), «non può esserci confusione tra la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione… La famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo, appartiene al “sogno” di Dio e della sua Chiesa per la salvezza dell’umanità».
Citando il grande Papa del dialogo, Paolo VI, Francesco ha poi aggiunto: «Per mezzo del matrimonio e della famiglia Iddio ha sapientemente unite due tra le maggiori realtà umane: la missione di trasmettere la vita e l’amore vicendevole e legittimo dell’uomo e della donna, per il quale essi sono chiamati a completarsi vicendevolmente in una donazione reciproca non soltanto fisica, ma soprattutto spirituale». In tal modo, Dio «ha voluto rendere partecipi gli sposi dell’amore personale che Egli ha per ciascuno di essi e per il quale li chiama ad aiutarsi e a donarsi vicendevolmente per raggiungere la pienezza della loro vita personale; e dell’amore che Egli porta all’umanità e a tutti i suoi figli, e per il quale desidera moltiplicare i figli degli uomini per renderli partecipi della sua vita e della sua felicità eterna» (12 febbraio 1966).
in “Il Sole 24 Ore” del 31 gennaio 2016
 
 
Noi femministe siamo contro l’utero in affitto». L’appello da Parigi
intervista a Francesca Marinaro a cura di Claudia Fusani
«Stop alla surrogata». Che vuol dire stop alla pratica delle donne che prestano il proprio corpo, anche a pagamento, per dare figli a chi figli non può avere. Associazioni di donne, ma non solo, in arrivo da tutto il mondo, si sono ritrovate a Parigi nella sede dell’Assemblea nazionale per dire uno stop mondiale alla pratica dell’utero in affitto. Che in alcuni paesi, come l’Italia, è reato. In molti altri ancora no come Gran Bretagna, Stati Uniti e molti paesi del nord europa. «Chiediamo l’abolizione – dice l’ex senatrice del Pd Francesca Marinaro – vogliamo una battaglia e una sensibilizzazione mondiale così come è già accaduto per la pena di morte e per la mutilazione degli organi genitale femminili. Vogliamo un impegno internazionale di cui si possa fare garante l’assemblea delle Nazioni Unite». Marinaro è anche una delle fondatrici di «Se non ora quando – Libere», l’associazione femminista schierata contro l’utero in affitto (anche se una parte non era d’accordo nel fare ora questo appello per il timore di strumentalizzazioni). La firma della Carta per l’abolizione universale della maternità surrogata è arrivata ieri in serata da numerosi rappresentanti politici e associazioni tra cui Maya Surduts et Nora Tenenbaum di CADAC (Collettivo diritti delle donne), Jocelyne Fildard et Catherine Morin Le Sech del Coordinamento Lesbiche francese (CLF) e Sylvaine Agacinski del Collettivo Rispetto della Persona (Corp).
Intervista
Il caso vuole che l’appello universale contro la pratica della maternità surrogata avvenga lo stesso giorno in cui il Parlamento italiano avvia la discussione e le votazioni in aula sul disegno di legge Cirinnà. Quante associazioni sono presenti?
«Di tutto il mondo, dall’India alla Germania, dagli Stati Uniti alla Svezia, Belgio. Anche di paesi dove la surrogata non è vietata ma una prassi legale».
Quali sono i principi che sostanziano il vostro appello?
«Infiniti. Il rispetto della dignità umana, della donna e del nascituro. Il rispetto del corpo umano. L’obiettivo delle assisi per l’abolizione universale della maternità surrogata è quello di raggruppare responsabili della politica di tutta Europa, delle associazioni femministe e in difesa dei diritti umani, delle ricercatrice e dei ricercatori di tutte le discipline per rendere visibile l’impegno comune a combattere l’ingiustizia di una pratica sociale che lede i diritti fondamentali dell’essere umano».
E se l’utero in questione non fosse «in affitto» ma una libera scelta?
«E chi controlla quelli che lei considera atti e gesti di altruismo? Chi dà garanzie che sia una libera scelta della donna che, nel caso, offre se stessa per la gestazione di un nascituro? Vede, purtroppo noi sappiamo che girano tariffari sui corpi delle donne che vengono offerti sul mercato a pagamento per soddisfare la voglia di genitorialità di terzi».
Lei quindi è contraria all’articolo 5 del disegno di legge sulle unioni civili?
«Io sono favorevole alle unioni civili ma contraria all’utero in affitto. Una buona legislazione deve tener conto di questo. Il nostro obiettivo, la nostra campagna non entra nel dibattito politico di un singolo paese. Anzi, suggerisco in generale di non confondere e non sconfinare».
Lei ritiene che il disegno di legge Cirinnà apra una porta alla pratica, per altro già chiaramente vietata in Italia dalla legge 40, del cosiddetto utero in affitto?
«Non sono più in Parlamento e, come detto, non voglio entrare nel merito di una legge nazionale. Ognuno legga e rifletta con pazienza e scrupolo e poi assuma, in coscienza, le proprie responsabilità».
in “l’Unità” del 3 febbraio 2016
 
 
Vacca: Family Day non reazionario, la sinistra rischia la deriva nichilista
intervista a Giuseppe Vacca a cura di Massimo Rebotti
Giuseppe Vacca è un filosofo marxista, una vita nel Pci e nelle sue successive declinazioni, fino al Pd di cui è uno degli intellettuali più autorevoli. Nel 2012, insieme ad altre figure di riferimento della sinistra, come Mario Tronti e Pietro Barcellona, firma un documento sull’«emergenza antropologica»: si sostiene che esistono «valori non negoziabili» e si apprezza l’impegno della Chiesa, allora di Benedetto XVI, per difenderli. Ai firmatari viene affibbiata l’etichetta di «marxisti ratzingeriani».
Qualche anno dopo quei temi sono al centro del dibattito sulle unioni civili; il professor Vacca ha seguito con attenzione sia il Family Day che le iniziative a favore del ddl Cirinnà.
Intervista
Cosa pensa di chi dice che le piazze contro le unioni civili sono reazionarie?
«Definire il Family Day reazionario è assolutamente improprio. Su come regolare le questioni della vita non si può applicare la coppia progresso-reazione. Quella folla esprime un modo di vedere la famiglia che appartiene a una vasta parte della società italiana».
Si sente equidistante?
«No. Io penso che sia un bene che la legge sulle unioni civili passi. Ma si deve risolvere il nodo della stepchild adoption: trovo fondate le osservazioni di chi dice che può essere un modo surrettizio per introdurre la maternità surrogata, l’utero in affitto».
Hanno quindi ragione i manifestanti del Family Day?
«Sul punto sì, il problema c’è. Così come penso che non sia necessario declinare al plurale la famiglia, che è una. Detto questo, è necessario riconoscere le unioni civili».
C’è un clima da fronti contrapposti?
«Direi di no. Al netto delle sigle politiche che si sono aggiunte, penso che entrambe le piazze fossero dialoganti. Chiunque giochi alla contrapposizione, sbaglia».
Un passo avanti rispetto ad altri «scontri» tra laici e cattolici?
«Sì, il confronto è più maturo rispetto ai tempi dell’aborto o del divorzio. Basta guardare l’intervista, molto bella, che il cardinale Ruini ha rilasciato al Corriere quando ha detto che non c’è una sola modernità».
A proposito di modernità: lei ha parlato di un’«emergenza antropologica».
«È un’epoca in cui ci sentiamo sottoposti a varie minacce, il discrimine tra il naturale e l’artificiale si mescola, non ci sono solo “magnifiche sorti e progressive”. È una deriva per cui, come diceva la signora Thatcher, la società non esiste ma esistono solo gli individui».
C’entra con le unioni civili?
«Come si fa a dire, per esempio, che avere un figlio è un diritto? Come si può pensare di declinare tutto nella chiave della libertà individuale, come se ciò che accade prescindesse dal modo in cui si compongono le volontà e le coscienze dei gruppi umani?».
Sbaglia la sinistra a fare dei diritti individuali il fulcro della sua azione politica?
«Assolutamente sì. La sinistra subisce una deriva nichilista, in termini marxisti la definiremmo spontaneista».
Cioè?
«Non è più capace di grandi visioni sul mondo, dalle guerre ai conflitti economici. Assolve mediamente i suoi compiti nazionali, ma sui grandi scenari mostra un impoverimento culturale che genera analisi povere. Negli anni 70 laici e cattolici hanno fatto la più bella riforma del diritto di famiglia. E dopo? Di fronte a quello che cambia su questi temi, la sinistra non ha più niente da dire? Penso al referendum sulla fecondazione assistita quando tutto è stato ridotto a uno scontro tra fede e scienza. Insomma, il professor Veronesi è un grande medico, ma non è uno statista…».
La piazza cattolica le è sembrata più consapevole dei «grandi scenari»?
«Lì si è manifestato un denominatore comune, la nostra civiltà cristiana. È una grande eredità».
in “Corriere della Sera” del 3 febbraio 2016
 
 
L’utero in affitto e la legge Cirinnà
di Giannino Piana
La questione della «madre surrogata» o dell’«utero in affitto» – il termine tecnicamente più preciso è «gestazione per altri» (gpa) – è venuta, negli ultimi mesi, con insistenza alla ribalta anche nel nostro paese. A renderla attuale è stato il dibattito sul disegno di legge Cirinnà relativo ai diritti delle unioni omosessuali che andrà prossimamente in discussione in Parlamento. Il nodo maggiormente critico di tale disegno è costituito dalla cosiddetta stepchild adoption, ossia dalla possibilità di adozione, anche nel caso di coppia omosessuale, del figlio del partner. La giustificazione che si adduce è che questa possibilità, oltre a rendere paritetico il rapporto dei due membri della coppia nei confronti del figlio, assicura soprattutto a quest’ultimo la tutela dei propri diritti nel caso in cui il padre o la madre originari venissero a mancare. L’assenza di tale dispositivo comporta infatti che l’uomo o la donna che non sono direttamente padre o madre non godano di alcun diritto nei confronti del figlio del partner, e non siano conseguentemente vincolati da alcun dovere e da alcuna responsabilità nei suoi confronti.
La proposta Cirinnà è accusata di costituire una sorta di «cavallo di Troia» attraverso il quale si introdurrebbe di fatto – non certo di diritto perché la legge 40 non lo prevede – il consenso all’utero in affitto. La possibilità del ricorso all’adozione finirebbe infatti per favorire chi ricorre alla pratica della surrogazione avendo la garanzia di un riconoscimento del bambino come figlio della coppia. A reagire con forza nei confronti di tale progetto sono stati anzitutto alcuni ambienti del mondo cattolico, che, muovendo talora da rigide posizioni ideologiche, sono giunti ad affermare che si tratterebbe in realtà di un’escamotage truffaldina.
Ma la reazione che ha suscitato maggiore clamore è stato l’appello proveniente dal gruppo femminista «Libere», che opera all’interno del movimento «Se non ora quando», e sottoscritto, tra le altre, da Stefania Sandrelli, Grazia Francescato, Cristina Comencini e Dacia Maraini. In tale appello, che non si riferisce direttamente alla proposta Cirinnà, si legge: «Nessun essere umano può essere ridotto a mezzo. Facciamo appello alle istituzioni europee – Parlamento, Commissione e Consiglio – affinché la pratica della maternità surrogata venga dichiarata illegale in Europa e sia messa al bando a livello globale». Si tratta di affermazioni drastiche, che non possono essere sospettate di confessionalismo e che rivelano la gravità di una prassi, che mette seriamente a repentaglio la dignità della donna.
 
le ragioni del rifiuto
Non sono certo mancati interventi duri di esponenti del Lgbt, che non hanno esitato a definire omofobica tale presa di posizione, addebitandola alla più bieca cultura di destra e accusandola di mettere seriamente in discussione l’intero impianto del disegno di legge Cirinnà. Per questo è importante mettere anzitutto a fuoco le motivazioni del «no» alla maternità surrogata – un «no» peraltro presente nei dispositivi legislativi della stragrande maggioranza degli Stati europei – evidenziandone l’alto significato antropologico ed etico. La prima di tali motivazioni è presente nell’appello delle femministe citato, laddove, facendo eco a un noto principio kantiano, si sottolinea l’esigenza che nessun soggetto umano venga trattato come mezzo ma sempre come fine, e che, di conseguenza, non possa venire subordinato al perseguimento di un altro obiettivo, fosse pure alto e nobile. La inaccettabilità etica della maternità surrogata è perciò dovuta al fatto che la ricerca della propria felicità avviene mediante lo sfruttamento della donna, il cui corpo è ridotto a semplice macchina incubatrice per conto di terzi. Si tratta di una forma di egoismo individualistico, che non valuta il trauma cui è sottoposta colei che si trova a portare in grembo una creatura, sentendola crescere dentro di sé per nove mesi, partorendola e dovendola poi consegnare ad altri. Se poi si considera che questo avviene, nella stragrande maggioranza dei casi, con donne povere, appartenenti a classi disagiate e ad aree socialmente marginali, le quali vengono indotte dalla loro condizione ad offrire il proprio corpo per danaro -non è irrilevante che la maggior parte delle coppie italiane, in larga misura eterosessuali, che ricorrono alla maternità surrogata si rivolgano a paesi come l’Ucraina, la Russia, l’India e il Nepal – appare evidente l’immoralità di un mercimonio che fa di esse – come ci ricorda la nota femminista francese Sylviane Agacinski -le vere «schiave moderne».
Accanto a queste considerazioni riguardanti il rispetto della dignità e dei diritti della donna, non manca (e non è meno rilevante) – è questo il secondo ordine di motivazioni – la scarsa attenzione ai diritti del bambino. Lo sdoppiamento della maternità, tanto nel caso della coppia eterosessuale che di quella lesbica – accanto alla madre biologica vi è infatti la madre che lo ha generato – può dare origine a una situazione conflittuale – si pensi soltanto alla eventualità che la madre che lo ha portato in grembo fino alla nascita rivendichi il proprio diritto alla maternità nei confronti della coppia committente -con ricadute pesantemente negative sullo sviluppo della personalità del bambino. Analogamente (e in termini ancor più problematici), questo succede nel caso in cui a ricorrere alla maternità surrogata è una coppia gay. Non è difficile in questo caso immaginare, accanto ai rischi già richiamati, il disagio del bambino, che scopre l’esistenza della propria madre, la quale risulta essere, nella maggior parte dei casi, del tutto estranea alla sua vita.
 
le obiezioni più rilevanti
Non mancano tuttavia situazioni, sia pure con una rilevanza quantitativa minimale, nelle quali a sottoporsi alla maternità surrogata sono persone la cui disponibilità è frutto di altruismo. È questo il caso di madri che si offrono di portare a compimento la gravidanza per la propria figlia che si trova nell’impossibilità di farlo o di altre donne che si mettono, senza nulla pretendere, al servizio delle coppie che non sono in grado di avere altrimenti un figlio. Vi è allora chi obietta: perché non ammettere, in questi casi la pratica della maternità surrogata, la quale non ha qui nulla a che fare con l’utero in affitto?
La risposta non può che essere negativa. La ragione di fondo sta nella considerazione che introdurre, sia pure entro confini precisi (peraltro difficilmente definibili), la maternità surrogata finirebbe per dare luogo a una inevitabile deriva, con lo sviluppo degli effetti negativi già ricordati. Siamo qui di fronte a un limite invalicabile della legge, la quale – come già affermava Aristotele – vale nella pluralità dei casi ma non nella totalità (in pluribus sed non in omnibus), e lascia per questo sempre sussistere eccezioni o casi emergenti. La gravità delle conseguenze implicate dal riconoscimento della pratica della maternità surrogata esige che si proceda con il massimo rigore: l’interesse generale non può che avere il sopravvento su quello particolare.
A questa prima obiezione se ne associa un’altra, riguardante le coppie gay, le quali, al contrario delle coppie lesbiche, non possono che ricorrere, per avere un figlio, alla maternità surrogata. La proibizione di tale pratica – si osserva – provocherebbe una disparità nei diritti; darebbe cioè luogo a un stato di vera sperequazione. Ora, a parte le considerazioni già fatte circa la strumentalizzazione della donna e il possibile disagio del bambino, non si può dimenticare che esistono altre strade per l’esercizio della genitorialità – basti pensare all’adozione – e che ci si deve confrontare, d’altronde, con alcuni limiti naturali mai totalmente superabili.
 
esiste un diritto assoluto al figlio proprio?
Ma, al di là delle considerazioni fin qui fatte, si deve riconoscere che la questione di fondo, la quale rende, in definitiva, ragione delle differenti posizioni sulla maternità surrogata, è quella del diritto della coppia al figlio proprio. Vi è, a tale riguardo, chi pensa che tale diritto sussista ed abbia carattere di assolutezza e chi, invece, ritiene che si possa semplicemente parlare di legittimo desiderio, il cui esercizio deve fare concretamente i conti con i limiti della realtà.
L’appello delle femministe ricordato, fornisce in proposito una risposta inequivocabile. «Siamo favorevoli – si legge nel documento – al pieno riconoscimento dei diritti civili per lesbiche e gay, ma diciamo a tutti, anche agli eterosessuali: il desiderio di figli non può diventare un diritto da affermare a ogni costo». La trasformazione del desiderio in diritto incondizionato, oltre a condurre talora alla negazione dei diritti fondamentali dell’altro – è il caso della donna che si sottopone alla pratica dell’utero in affitto con la perdita della propria dignità – finisce per dare vita a una logica del possesso, che si proietta (e non può che proiettarsi) anche nel rapporto con il figlio, con il rischio di non rispettarne l’autonomia decisionale, e dunque di limitarne la libertà.
 
e la legge Cirinnà?
Non si può, infine, eludere un’ultima domanda. Il «no» alla legalizzazione della maternità surrogata implica automaticamente – come alcuni hanno ventilato – il rifiuto della proposta di legge Cirinnà? Non lo riteniamo. Intanto perché non esiste nel nostro ordinamento giuridico alcun presupposto che possa far pensare a una eventuale legalizzazione della maternità surrogata. Ma poi soprattutto perché la stepchild adoption si limita a prendere atto di una situazione già esistente – la presenza di una creatura venuta al mondo tramite la fecondazione artificiale o l’utero in affitto – e a regolamentarla, tenendo in considerazione l’interesse preminente del bambino, al quale vengono assegnati due genitori, anziché uno, garantendogli in tal modo una condizione di maggiore sicurezza.
Il fatto che la richiesta venga talora da chi è ricorso a una discutibile pratica, scavalcando la legislazione del proprio paese per andare a comprare un figlio attraverso lc sfruttamento di una donna indigente mettendolo, fin dall’inizio, in una condizione di difficoltà, non depone di per sé a favore della concessione. Ma non si può (e non si deve), in ogni caso, dimenticare -come si è più volte sottolineato – che i diritti del bambino godono di un’assoluta priorità, e vanno per questo tutelati e promossi senza alcuna limitazione.
in “Rocca” n. 2 del 15 gennaio 2016
 
 
«La legge è ineludibile, ma sulle adozioni serve ulteriore riflessione»
intervista a Pierluigi Castagnetti a cura di Mario Lavia
Certo che la legge sulle unioni civili va fatta e che il ddl Cirinnà va bene per tanti aspetti. E però c’è un che di «sbrigativo», nel testo, che ha reso il delicato passaggio sulle adozioni ancora insufficiente: per cui «occorre che il Senato nei prossimi giorni ci lavori» perché le conseguenze persino sul piano antropologico potrebbero essere molto serie. Un allarme, dunque: per la sensibilità della persona che lo lancia, Pierluigi Castagnetti, va senz’altro meditato.
Intervista
Presidente Castagnetti, il problema è l’articolo 5, come è noto. Secondo lei la soluzione della stepchild adoption non è abbastanza forte, abbastanza chiara? E in che misura influisce sul giudizio complessivo del testo Cirinnà?
«Io sono colpito dal fatto che la tradizione culturale della sinistra e persino quella femminista abbiano lasciato soli i cattolici a porre questioni di principio, non confessionali. Intendiamoci: è chiaro che una legge è ineludibile perché quello delle unioni civili è diventato un fenomeno sociale così rilevante che non può essere ignorato dall’ordinamento, e vi è stato un ritardo nel comprenderlo da parte della Chiesa. Se si fossero approvati i Dico oggi non ci muoveremmo sotto la spinta dell’urgenza, che non è mai una buona consigliera… Ai tempi dei Dico nemmeno Vendola poneva la questione delle adozioni perché anche lui si rendeva conto che è un problema molto difficile».
Ma sono passati quasi dieci anni: più che urgenza, non c’è un ritardo?
«Secondo me la questione delle adozioni andava affrontata a parte. Perché parlo di una certa sbrigatività? Io non ero parlamentare ma ricordo quando si legiferò sul diritto di famiglia, c’erano Nilde Jotti, la Tedesco, Maria Eletta Martini, Rosa Iervolino, fecero un lavoro di scavo con un coinvolgimento di altissimo livello dell’intelligenza del Paese: questa volta non mi pare che il Senato abbia fatto uno sforzo analogo, non so se ci sia stato un vero coinvolgimento della cultura giuridica specialistica. Eppure noi dobbiamo sempre ricordarci di essere la patria del diritto. Pensi che sono stato in Spagna qualche giorno fa a un dibattito con popolari e socialisti: loro stanno aspettando la nostra legge perché sono molto attenti alla qualità del nostro prodotto legislativo su materie così delicate».
La sento critico, onorevole Castagnetti. La legge va in aula oggi, ma ci sono molti giorni per intervenire sul testo. Che fare?
«Nel dibattito del gruppo dei senatori del Pd ho visto che già si intravede una via d’uscita. C’è necessità di ripulire la prima parte del ddl Cirinnà facendo attenzione a rispettare le sentenze della Consulta riferendosi più organicamente all’articolo 2 della Costituzione e non all’articolo 29, per cui diventa chiaro che il riconoscimento delle unioni civili non attiene alla sfera dei diritti individuali ma è il riconoscimento di formazioni sociali».
Ma il punto dolente è l’articolo 5, giusto?
«Personalmente penso che occorra un no chiaro alla pratica dell’utero in affitto per le coppie etero e omosessuali. Se non fosse chiaro il divieto alla maternità surrogata le possibili implicazioni sarebbero davvero inquietanti».
E’ un tema che la sinistra italiana non affronta a fondo?
«Guardi, oggi l’Assemblea nazionale francese per iniziativa di Sylviane Agacinski, una donna di sinistra, ospita un grande forum il cui obiettivo è dichiarare la pratica dell’utero in affitto un reato a livello internazionale. Ma su questo il femminismo italiano è abbastanza silenzioso. Ho visto un bell’articolo sull’Unità di Livia Turco ma non ho letto molte altre cose. La cultura della sinistra non può voltarsi dall’altra parte».
Ma l’utero in affitto è un reato per la legge italiana.
«Sì, ma se passasse questa formulazione dell’articolo 5 potrebbe favorire il ricorso dell’utero in affitto all’estero. E’ una questione molto seria. Ci potrebbero essere in prospettiva conseguenze di carattere antropologico in grado di mettere in discussione persino i fondamenti della psicologia ortodossa di Freud che non a caso distingue la figura paterna da quella materna».
Non è detto che cento anni dopo Freud non si possa ridiscuterne…
«Però secondo me il principio culturale per cui non c’è un diritto della coppia ad avere figli ma c’è il diritto dei figli ad avere genitori va ribadito. Meglio, il diritto dei bambini già all’interno della coppia ad avere un’assunzione di parentela da parte dell’altro partner..»
Come si può rendere questo concetto nella legge?
«Ponendo vincoli precisi e non aggirabili per non consentire la maternità surrogata all’estero. Deve essere chiaro che non c’è stata la pratica della maternità surrogata».
Ci saranno diversi voti segreti. Lei che ha una lunga esperienza parlamentare cosa prevede?
«E’ auspicabile che non ci siano sorprese. Ma non ci saranno solo se il nodo di cui abbiamo parlato verrà affrontato».
L’ultima domanda sul Family day: non le è sembrato un po’ troppo “vandeano”, quindi stridente con la nuova Chiesa di Francesco?
«A me ha colpito l’enorme partecipazione, anche se si è capito che erano 300mila e non due milioni… C’erano toni di un certo tipo ma anche altri, più sobri: io sinceramente non ho visto grandi contraddizioni con il magistero straordinario di papa Francesco, né mi hanno colpito certe frasi contro il governo Renzi. E’ stata una manifestazione di rilievo, da non sottovalutare».
in “l’Unità” del 2 febbraio 2016
 
 
Unioni civili, diritti, Chiese
di Andrea Bigalli
No. Non ci pare proprio. Per quanto sia tesi sostenuta da personaggi importanti, se è indubbio che ci siano molti problemi drammaticamente urgenti, il tema della legge sulle unioni civili non ci pare secondario, tuttaltro.
In primis perché i numeri non sono da poco. Se si sta alla stima – forse al ribasso – che indica un 5% della popolazione italiana composta da persone omosessuali, stiamo parlando già di tre milioni di soggetti che sono potenzialmente coinvolti in questa dimensione. Se poi aggiungiamo i loro figli (per le Famiglie arcobaleno 100mila minori coinvolti), i loro familiari, le cerchie degli amici, i numeri divengono consistenti. Per mie convinzioni da tanto radicate, fosse necessità introdotta anche soltanto da una persona, meriterebbe attenzione.
Siamo inoltre di fronte ad un’argomentazione (contrapposta) che ci fa riflettere su una prospettiva da tempo importante nella società contemporanea: se circostanze nuove introducono la possibilità di realizzare realtà fino ad allora irrealizzabili, si originano nuovi diritti per chi può pensare di utilizzarle. Se le scienze medico biologiche mettono di fronte alla possibilità di generare al di fuori dell’ambito meramente naturale del rapporto uomo\donna, si aprono le porte a nuovi orizzonti del procreare stesso.
Nell’incandescente dibattito odierno questo fattore è determinante: parliamo di famiglie fino ad adesso per lo più impossibili. Il card. Bagnasco ha affermato in sede Cei: avere figli non è un diritto. In questa posizione possiamo riscontrare quanto la dottrina cattolica afferma da sempre: lo stato di natura non si può cambiare.
Partendo da questa posizione si potrà arrivare ad una legge che riconosca diritti a persone legate da vincoli affettivi, ma non ci si può illudere sulla possibilità che tale legge, da parte cattolica, possa includere regolamentazioni e norme che riguardino i loro figli qualora esse siano dello stesso sesso. Se l’umano si tesse nel rapporto tra natura e cultura, possiamo riflettere su quanto giochi il secondo elemento in questa contemporaneità. Si può discutere, come avviene nel dibattito filosofico, cosa resta davvero dello stato di natura dopo millenni di evoluzione culminata in una fase di incremento di cambiamenti di parametro grazie all’agire dell’Homo sapiens sapiens, ma non è la sede per questa diatriba.
Nella vicenda irrompe un fattore, da parte ecclesiale, non indifferente: quello pastorale. In virtù di tale prospettiva subentra l’esigenza di valutare, non di giudicare; di accogliere, non di decretare; di accompagnare, non di escludere, anche se tutto ciò non vuol dire necessariamente sposare tutte le tesi introdotte. Personalmente ritengo che non si può pretendere di dialogare quando non si presentano che diktat assolutisti, in un ambito così delicato come quello dei sentimenti. E che tutto ciò è inaccettabile quando alcune posizioni si definiscono a partire da chi, chiaramente, non si è mai confrontato con le posizioni altrui incontrando, ascoltando, vivendo le problematiche in una esauriente attività pastorale.
Quando si arriverà a confrontarsi su questi temi con quella emotiva lucidità che nasce dall’essere coinvolti nelle vicende umane di chi ama, vuol generare, dovrà educare? Quando si ascolterà chi introduce tali necessità, anche se non con i toni pacati che vorremmo (e che neanche buona parte del proscenio cattolico usa, soprattutto la componente clericofascista; e questa ultima, diciamolo francamente, cosa c’entra davvero con il cristianesimo?)? Non conta niente l’opinione di chi, da tempo, segue pastoralmente queste situazioni e può mediare o meglio, contribuire ad introdurre? Nasce tutto da una volontà distorta o sbagliata?
Il nostro compito di cristiani è esprimere chiusura e disprezzo o bisogna comunque farsi ammonire da Paolo di Tarso, che nella seconda lettera ai Corinzi dichiara: «Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede, siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi»? Chi sinceramente ama – in che modo si può negare che queste persone non lo facciano? – non ha un suo comunicare, grazie al Cristo, con quel Dio che è agape?
Andrea Bigalli è parroco a Sant’Andrea in Percussina (Fi) e referente di Libera per la Toscana
in “www.adista.it” del 28 gennaio 2016
 

 
Nel testo attuale c’è la sintesi migliore per dare i diritti a tutte le coppie
intervista a Giuseppe Lumia a cura di Claudia Fusani
«Con molti colleghi stiamo lavorando per far prevalare il dialogo e la condivisione intorno al testo Cirinnà. L’ultimo miglio sarà il più difficile. Ma sono convinto che la soluzione è in quei 23 articoli». Giuseppe Lumia è il senatore del Pd di area cattolica che in queste settimane ha assunto il ruolo delicato e difficile di cercare la migliore sintesi per portare il testo Cirinnà al traguardo.
La piazza del family Day può cambiare qualcosa nel programma del Parlamento?
«Per noi è prioritario approvare la legge mantenendone inalterato l’impianto. Abbiamo sempre tenuto un atteggiamento aperto al dialogo. La proposta Cirinnà è una sintesi che ha raccolto tutte le istanze arrivate sul tavolo in due anni di dibattito. All’interno di questo impianto abbiamo avanzato ulteriori correzioni e miglioramenti. Ora siamo pronti ad andare in aula. Sempre aperti al dialogo e al confronto».
Lei è un cattolico. Cosa ne pensa del cartello che ha campeggiato nell’arena del Circo Massimo «Renzi, siamo due milioni, ci ricorderemo se non ci ascolti»?
«Quel cartello è sbagliato. Tradisce un atteggiamento contro che non dà nobiltà a molti che stavano in quella piazza con idee e proposte positive. Nella proposta Cirinnà traspare in modo evidente un atteggiamento pro famiglia. Come cattolico accolgo positivamente questo cambiamento culturale rispetto a proposte del passato. Ecco perchè certi atteggiamenti contro sono sbagliati e impediscono la crescita sociale e culturale della società. La politica deve avere il coraggio di guardare oltre e decidere per il bene del nostro paese che va tolto dall’isolamento rispetto agli altri».
Molti dicono che i diritti civili non sono la priorità.
«Invece lo sono. È stato un caposaldo delle primarie e Renzi ha avuto il coraggio di mantenere questo impegno tenendo il governo fuori dalla discussione. Il Pd fa bene a portare avanti l’idea che i diritti civili sono una risorsa e non una pietra d’inciampo per modernizzare l’Italia. Basta dare un’occhiata al resto del mondo. Rajoy, in Spagna, ha governato 5 anni senza mettere in discussione il matrimonio egualitario voluto da Zapatero. Il conservatore Cameron lo ha introdotto in Gran Bretagna. L’esponente della destra democratica Sarkozy ha annunciato che non modificherà la legge qualora dovesse vincere. Insomma, giovani e vecchie generazioni danno per scontata l’idea delle unioni civili».
Ma non dell’adozione del figlio della coppia omosessuale. L’articolo 5, sulla stepchild adoption, può essere messo in discussione?
«Nel testo Cirinnà sta prevalendo un’impostazione che può ritrovare il paese unito anche su una questione delicata come quella delle adozioni. Il punto richiamato da tutte le piazze, arcobaleno e non, è quello della responsabilità genitoriale. È chiaro che la scelta di adottare è quella che culturalmente responsabilizza di più i genitori. Voglio dire che se si guarda al testo Cirinnà senza pregiudizi, alla fine si capirà che la soluzione indicata è quella che meglio risponde ad un paese che vuole tutelare di più i bambini e farli crescere in un contesto familiare sereno dove sono curati, accuditi e amati. Negare l’adozione smentisce chi dice che i bambini devono essere al centro della proposta legislativa».
Il ministro Alfano ha incontrato il portavoce del Family Day Massimo Gandolfini. Le è sembrato opportuno?
«Il governo è stato lasciato libero. A volte è utile recuperare l’antica saggezza del parlamento italiano. Quando si approvò la legge sul divorzio, la Dc lasciò che il primato fosse del Parlamento e grazie a questo l’Italia fece un balzo in avanti storico».
Andiamo in aula. Il capogruppo Zanda dice che «il Pd è pronto a fare modifiche». Quali?
«Prima di tutto abbiamo corretto il testo per rispettare a pieno il dettato della sentenza 138 della Corte costituzionale. Significa che abbiamo reso essenziali i richiami agli articoli del codice civile che regolano il matrimonio. Adesso è ancora più evidente che non esiste accavallamento con l’istituto del matrimonio pur nella massima tutela dei diritti così come chiede quella sentenza».
In cosa consiste la mediazione a sua firma sull’adozione?
«Esplicita in modo chiaro che è una facoltà dei soggetti interessati e che non c’è alcun automatismo, c’è un tribunale che decide e un giudice che valuta. È un emendamento che chiarisce bene che la stepchild è una scelta che viene valutata, che responsabilizza e dà doveri ai genitori e più diritti ai bambini».
C’è l’ipotesi di maggioranze variabili a seconda degli articoli. Un’allenza con M5S e Sel potrebbe destabilizzare la maggioranza?
«No perchè il Parlamento è chiamato a guardarsi dentro e a fare una scelta. Sarà un voto in coscienza e non per calcolo politico».
Teme il voto segreto?
«Il Pd non lo chiederà. E la trasparenza è la migliore risorsa per evitare trucchetti e strumentalizzazioni. Mi auguro che tutti abbiano il coraggio di rinunciare al voto segreto. In ogni caso niente paura: i travagli interni sono trasversali e per questo alla fine sento che prevarrà la scelta favorevole alle unioni civili».
L’articolo sulla stepchild adoption
È l’articolo della discordia. Quello che i cattolici di ogni schieramento vorrebbero togliere di mezzo perchè, nel caso di coppie di uomini, presuppone il ricorso all’utero prestato da una donna e perchè più in generale avere figli non è un diritto civile. Imprescindibile, invece, secondo la maggior parte dei senatori Pd, Sel e Cinque Stelle perchè al centro di tutto ci sono sempre i diritti dei bambini delle coppie omosessuali. La mediazione del Pd, emendamenti Lumia e Marcucci, lima il testo spiegando meglio come nell’adozione non ci sia nulla di automatico. Il ddl Cirinnà conta 23 articoli. È stato in Commissione circa due anni.
in “l’Unità” del 1 febbraio 2016La sfida sui diritti
 
 
Ma se lo scontro resta ideologico perderanno tutti
di Franco Cardini
Chi c’era ieri al Circo Massimo? Lasciamo perdere la solita scontatissima lotta sui numeri e sulle percentuali. Parliamo della qualità dei presenti.
Tantissimi, certo; e tuttavia magari meno di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, è vero anche questo. In tempi di “società dello spettacolo” e, d’altra parte, di demobilitazione politica e morale (la gente preferisce dir la sua, magari con violenza mantenendo però l’anonimato, sui blog), sembrano contare solo i temi più forti: lo “scontro di civiltà”, i migranti, la salvaguardia della famiglia tradizionale o la sua disgregazione in quanto disadatta ai nostri tempi e da essi superata. L’immediata posta in palio, ovviamente, è il contrapposto tentativo da parte di due parti almeno a prima vista ben definibili e fieramente schierate l’una contro l’altra (ma che non sappiamo quale percentuale della società civile rappresentino messe insieme) di far sentire al “paese legale” – il governo e il parlamento – quale sia l’umore del “paese reale”. In tempi di democrazia in qualche misura effettivamente partecipata, l’opinione pubblica faceva sentire i diversi toni della sua voce attraverso la mediazione tutto sommato autorevole e affidabile dei partiti; oggi, in tempi di democrazia “virtuale”, le folle (quando sono tali) scendono in piazza rispondendo più o meno “spontaneamente” al richiamo di una pluralità di gruppi, di centri, di associazioni. E la problematica attorno al quale esse si aggregano è ridotta al minimo, all’essenziale, all’elementare.
In altri termini, c’è da chiedersi quante delle decine di migliaia di persone riunite ieri al Circo Massimo, o delle altre decine di migliaia che già sono scese e in futuro scenderanno in piazza per difendere le ragioni opposte alle loro, abbiano chiara la ragione immediata del contendere, vale a dire il contenuto del ddl Cirinnà. In realtà, quella alla quale stiamo assistendo il tutto il Paese è una grande kermesse sul tipo del derby calcistico: ci sono quelli che “stanno” per la famiglia tradizionale, spesso senza domandarsi trappe cose su che cosa ciò significhi al giorno d’oggi e tantomeno su quanto la loro personale situazione privata ad essa si adegui, e quelli che insistono invece sull’illimitata libertà individuale nelle questioni affettive e sessuali pretendendo che la società civile prenda passivamente atto di qualunque scelta individuale e magari arbitraria e la traduca in termini di tutela giuridica e istituzionale. Se si vuole, siamo daccapo – dopo tante discussioni al riguardo – al confronto tra due posizioni entrambe di destra e di sinistra “classiche”: da una parte la difesa di una tradizione che tutti sappiamo ancora tutto sommato forte in Italia (conformismo, finzione e menzogne a parte) ma rispetto alla quale sono ormai evidenti le eccezioni e le controindicazioni che non possono essere negate e tantomeno represse; dall’altra la pretesa della tutela di una libertà che pretende di estendere a tutti qualunque forma di diritto ma che non perde poi tempo ad analizzare i possibili risultati dell’ipotetica realizzazione di quanto chiede. Quali conseguenze scatenerebbe, quali costi sociali e anche etici comporterebbe, un’indiscriminata accettazione ad esempio del principio della liberà di adozione di figli da parte di coppie omosessuali. E allora, mentre il voto in senato sulle unioni civili slitta almeno di una decina di giorni rispetto al limite di fine gennaio ch’era stato annunziato, il quadro sociopolitico effettivo si rivela evidente per quello che è. Piaccia o no (e a me personalmente, come cattolico, non piace), oggi i cittadini italiani decidono di trascorrere insieme una parte della loro esistenza sulla base di molte possibili scelte: matrimonio religioso o laico entrambi contratti su una base naturale (la possibilità di avere figli) ed entrambi riconosciuti dallo Stato, coppie di fatto eterosessuali tra partner uno o entrambi i quali possono o no essersi già impegnati in matrimoni legittimi, coppie di fatto omosessuali; alcune di queste formule comportano che la coppia possa procreare figli, altre – non avendo tale possibilità sul piano naturale – aprono il problema che essa possa averne, se non di naturali, di adottati. È comprensibile che la Chiesa cattolica, attraverso ad esempio la Cei, si schieri contro l’eventualità che un figlio possa avere due padri o due madri sul piano giuridico, anziché un padre e una madre. Ma è poi vero che questa sia una «mutazione culturale dell’Occidente?».
Accettando con la fondazione della Modernità, dai secoli XVI-XVIII, il primato dell’individualismo e delle libertà individuali come criterio fondante della cultura appunto occidentale, il nostro Occidente non si era forse già implicitamente esposto a esiti di questo genere? E il fatto che oggi nelle scuole si dibatta anche in toni accesi a proposito del possibile disagio dei figli di genitori gay ma non si sia in grado di esprimere una chiara e seria risposta scientifica alla domanda relativa al carattere di quel disagio, non comporta forse come necessaria conseguenza che ad esempio i cattolici possano soltanto restar fedeli alla loro visione del mondo ma accettare che, in una società laica e caratterizzata quindi da una molteplicità di valori, il problema non è che alcuni di essi prevalgano sugli altri ma che tutti trovano il modo di convivere ordinatamente?
Impostare l’ordinata convivenza è appunto compito delle leggi: che in un sistema democratico- parlamentare vengono formulate dal parlamento. Se l’oggetto di esse è particolarmente intenso sul piano civico ed etico, ordinariamente si ricorre allo strumento del referendum. Poiché è molto probabile che dal dibattito parlamentare sul ddl Cirinnà emerga un contraddittorio papocchio del tipo che scaturì dai “Dico” e dalla discussione sulla procreazione assistita di prodiana memoria, si potrebbe anche arrivare al referendum come minaccia l’Ncd di Angelino Alfano. Il fatto è che Alfano ha agitato la prospettiva del referendum per ottenere più spazio al suo partito nella compagine governativa, mentre francamente tanto zelo per la famiglia cattolica tradizionale da parte di Brunetta o dei parlamentari verdiniani costituisce francamente un’amena sorpresa.
La verità su tutta la faccenda, a dire il vero, emerge chiara già dal modo in cui l’ha impostata, con la consueta concretezza di realpolitiker, Matteo Renzi lasciando piena libertà di coscienza ai membri del Pd. Il premier difende il ddl Cirinnà considerando tranquillamente l’ipotesi che esso, in sede di discussione parlamentare, possa uscite tanto edulcorato da trasformare la cosiddetta stepchild adotion in una sorta di affido un po’ più garantito. L’importante, per Renzi, è che la maggioranza parlamentare rimanga nelle sue mani, per quanto costruita da ingredienti anche eterogenei e instabili: dopodiché, egli è ben deciso a far propria e a tutelare, guidandola egemonicamente, qualunque scelta maggioritaria. La cosa fondamentale è che si esprima un voto di maggioranza politicamente gestibile: i contenuti di esso sono del tutto secondari.
Chi dice che Renzi non ha un programma chiaro non ha ancora capito che esso è viceversa chiarissimo e costituito di un solo articolo: restare in sella al governo, durare il più a lungo possibile. L’insorgere di una parte del paese reale e il tentativo del centrodestra di egemonizzare l’insorgenza nel nome della famiglia “naturale” e “tradizionale” è un bastone che le forze di minoranza cercano di metter fra le ruote del governo. E il cattolico Renzi, capo di un partito di coalizione laico-cattolica, non può che appoggiare la crociata laica, libertaria e progressista dei diritti delle coppie omosessuale impavidamente condotta dalla senatrice Cirinnà suggerendo poi ai cattolici del suo partito di affondarla votando “secondo coscienza”. I tempi frattanto si allungano, i problemi si accatastano gli uni sugli altri, le apparizioni in Tv e le lotte a colpi di twitter faranno il resto. Faticosa ma consueta routine della vita democratica virtuale. E la vita continua: e il governo anche.
Tutto bene. Ma teniamo a mente, qualunque sia il modello familiare cui ci rifacciamo, che la sua difesa sta nella nostra testimonianza quotidiana, nel nostro modo di agire. I Family Day sono, come i Gay Pride Day, mascherate spettacolaristiche: che i loro modelli siano desunti da Lourdes o da Rio de Janeiro è del tutto irrilevante.
in “Il Messaggero” del 31 gennaio 2016
 

Di |2016-02-04T21:31:17+01:00Febbraio 4th, 2016|Approfondimenti|Commenti disabilitati su Dopo il Family Day: opinioni a confronto

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