Scoprire cosa veramente voglio è essenziale per scoprire chi veramente sono. Dove traete l’energia per camminare in equilibrio sulla fune della vita? La cosa più importante in questa vita è non perdere la propria anima.«Perché vivete? Quale scopo date al vostro essere qui? Cosa volete da voi stessi?».In questo nuovo libro Vito Mancuso ingaggia un dialogo serrato con i suoi lettori per risalire alle sorgenti di un bisogno primordiale dell’uomo, di una speciale capacità che ci caratterizza in modo peculiare distinguendoci da tutti gli altri esseri viventi: il nostro bisogno di pensare. È da questa urgenza interiore, strettamente legata al desiderio e al sogno di una vita diversa e migliore, che Vito Mancuso ci sprona a tornare a «pensare con il cuore», senza barriere, preconcetti o tabù, e senza altro dogma che la ricerca costante del Bene. Così, nel movimento ora logico ora caotico delle nostre esistenze, questo libro diventa una guida capace di orientarci in quei momenti in cui siamo chiamati a scegliere se resistere strenuamente oppure arrenderci al flusso della vita. E, nei tempi sempre più indecifrabili che ci troviamo ad affrontare, ci sprona a prestare attenzione al valore infinito di ogni istante, per raggiungere quella desiderata pace interiore, quell’equilibrio tanto atteso di chi ha finalmente trovato un senso al suo essere al mondo.
Descrizione
Titolo: Il bisogno di pensare
Autore: Vito Mancuso
Casa Editrice: Garzanti
Prezzo: 16,00 Euro
Data: ottobre 2017
Pagine: 192
ISBN 9788811675693
 
 
L’Io e l’Ego, il Bene e il Male, la cooperazione tra gli uomini e l’odio;
un brano del nuovo saggio del teologo Vito Mancuso. 
Analizzando più da vicino il pensiero in quanto vertice del processo cognitivo, occorre dire che vi sono due disposizioni fondamentali del pensare: quella volta alla costruzione, la cosiddetta pars construens, e quella volta alla distruzione, la cosiddetta pars destruens. (…) La dimensione costruttiva del pensiero è rappresentata dal logos che vuole logica e che produce saggezza e sapienza. Il pensiero come logos-logica si esercita mediante verbi quali osservare, ponderare, considerare, riconsiderare, analizzare, riflettere, meditare. A volte il pensiero come logos diviene sorgivo, come ispirato, e in questi rari momenti riproduce la logica della creazione, genera creatività; i verbi che in questo caso lo rappresentano sono intuire, ideare, scoprire, creare. La dimensione distruttiva del pensiero è rappresentata dal caos che vuole scompaginare la logica e che in questo saggio, evocando Erasmo da Rotterdam, io denomino follia, ma che più propriamente si dovrebbe denominare critica. Tale forma di pensiero si esplica mediante verbi quali criticare, disapprovare, investigare, attaccare, contestare, stigmatizzare, stroncare, demolire.
Esiste la possibilità di orientare il desiderio dell’Io senza identificarlo con la voracità dell’Ego? È possibile desiderare senza bramare? Esiste la possibilità di non obbedire a nulla di esteriore e al contempo però di essere in grado di dire di sì alle esigenze della giustizia anche quando ci risultano scomode, per non dire sconvenienti? (…) Nel cercare di camminare lungo il sottile crinale a cui rimandano le domande appena poste, intravedo una dimensione della vita della mente, e conseguentemente dell’esistere, di cui la tradizione parla in termini di idea e che io intendo presentare mediante l’immagine simbolica dell’amore celeste.
Ci sono gli amori terreni e di questi non c’è bisogno che dica nulla, ma ci sono anche gli amori celesti ed è di questi che desidero parlare. Chiarisco anzitutto che con questa strana espressione intendo le idee (o gli ideali) nella loro capacità di esercitare forza. Per amori celesti intendo le idee in quanto forze non materiali che producono in noi un’intensa attrazione, non priva peraltro di sfumature erotiche perché non di rado eccita, inebria, conquista, seduce. Come la chiamate voi la vostra interiorità, quella specie di territorio misterioso che vi fa essere quello che siete al di là dell’aspetto e dell’agire esteriore e che costituisce la vostra vera personalità? La chiamate psiche? Mente? Io? Ego? Sé? Ipseità? Identità? Coscienza? Anima? Spirito? Ognuno la chiami come vuole o meglio come gli consente la sua formazione, io vi dico solo che mediante il simbolo dell’amore celeste intendo rimandare a una forza reale, non materiale, dotata di grande attrazione, esterna alla mente ordinaria, che richiama, scalda, indirizza l’interiorità umana, e che costruisce propriamente il pensiero perché dispone secondo un certo ordine architettonico i concetti che provengono dalla elaborazione dei dati sensibili. L’idea-guida è paragonabile al direttore d’orchestra che sa armonizzare i diversi musicisti; la sua assenza produce quella confusione mentale e comportamentale descritta così bene da Federico Fellini nel film Prova d’orchestra.
E parlo di amore, perché l’amore è la forza più potente che c’è. Immagino che molti non siano d’accordo con questa mia affermazione e non faccio fatica a comprenderne il motivo, vista la presenza devastante del male. Tuttavia io sono convinto che, nonostante la loro grande forza, il male e l’odio siano meno forti del bene e dell’amore, perché solo il bene e l’amore sono capaci di costruire, di dare energia positiva, di infondere vita e di durare. Non sottovaluto la forza dell’odio, ma sostengo che si tratta di una forza seconda, che può solo distruggere, mai costruire e che per esistere ha bisogno di indirizzarsi contro la forza primigenia e fondamentale dell’amore, l’unica che sappia costruire ed edificare. L’odio c’è, agisce, a volte vince, ma è comunque sempre secondario, parassitario, si regge sul lavoro altrui in quanto intende negarlo; l’amore invece è primario, creativo, non ha bisogno di nulla per esserci, nasce da sé. La differenza tra la forza dell’amore e quella dell’odio è analoga a quella tra un bambino che costruisce castelli di sabbia e un bambino invidioso che glieli sa solo distruggere: il primo esiste e lavora per sé, il secondo ha senso in funzione dell’altro.
A proposito di lavoro, è noto che secondo la fisica la materia non è altro che energia solidificata, quindi tutto quello che vediamo e tocchiamo è risolvibile nell’energia. Energia viene dal greco energheia, termine formato dalla preposizione en, che significa «in», e dal sostantivo ergon, che significa «atto, opera, lavoro»: quindi energia etimologicamente significa «in atto», «all’opera», «al lavoro». E se tutto è energia, tutto lavora.
Ora però si faccia attenzione a quanto afferma Marco Aurelio: gegonamen pros synergian, espressione di solito tradotta con «Siamo nati per la collaborazione», ma che in questo contesto è più incisiva nel suo senso letterale: «Siamo nati per la sinergia». Il senso della vita umana in quanto umana non è semplicemente lavorare e produrre en-ergia, ma nella sua peculiarità consiste nel suscitare una più raffinata energia capace di legami reciproci fino al vertice dell’amore, e che per questo si chiama sin-ergia. Il cristianesimo non dice una cosa diversa parlando di «amore del prossimo». Tale logica sinergica è così radicata in noi che quando la possiamo vivere in pienezza nell’amore concretamente corrisposto la vita fiorisce e sorride, e non c’è nulla di più compiuto e di più gioioso.
Vito Mancuso, la Repubblica 11 ottobre 2017
 
 
La fede è pensare dicendo sì, un amen che battezza tutti i giorni. 
La recensione di Enzo Bianchi
Se pensate che la filosofia non serva a nulla per la vita quotidiana… se pensate di non aver bisogno di ponderare, discernere, connettere, ringraziare… se pensate di aver sempre ragione senza mai ragionare… O anche più semplicemente, se pensate e basta, allora l’ultimo libro di Vito Mancuso vi sarà utilissimo.
Nel suo recente Il bisogno di pensare, il teologo e filosofo, collaboratore de «La Repubblica», prende per mano il lettore e gli fa usare la testa senza mai separarla dal cuore. Dedicate alla filosofia, queste pagine sono in realtà rivolte a chiunque si lasci interpellare sul senso della vita e sul posto che ciascuno di noi occupa – per minuscolo che sia – nella storia dell’umanità. Del resto non è forse vero che ci paiono degne di fede solo le parole di chi «dice quello che pensa e pensa quello che dice»?

Mancuso usa con grande maestria la sua conoscenza della storia del pensiero umano e la affianca alla passione con cui riflettere su ciò che sta dentro e fuori ogni essere umano: ragione, desideri, sentimenti, emozioni, logiche, dubbi, paure, bisogni si intrecciano con l’evidenza dei fatti con il quotidiano confronto con gli altri e con gli eventi, attesi e inattesi. Da Norberto Bobbio, uno dei suoi pensatori di riferimento, Mancuso riprende un adagio che a sua volta il cardinal Martini – altro grande maestro – aveva rielaborato: «La differenza rilevante non passa tra credenti non credenti, ma tra pensanti non pensanti».
Certo, nel libro si trovano anche pagine specificatamente dedicate al «Pensare con fiducia: la fede e la vita eterna», ma le riflessioni sull’immortalità dell’anima e la vita futura sono accompagnate da una comprensione sapiente dalla fede come «pensare dicendo sì», pronunciando quell’amen alla vita che tutti ci sostiene.
Se un lettore teme che il linguaggio filosofico non gli si addice, faccia un’incursione nell’ultimo capitolo, «verso un pensiero che si fa vita»: vi troverà alcune idee semplici e fondamentali, mai banali, dette con garbo e precisione: una sorta di vademecum per «diventare ciò che si pensa», un insieme di consigli di grande profondità presentati agilmente come una «lista della spesa».
Allora gli verrà voglia non solo di leggere l’appendice sui «molti modi» in cui le varie lingue declinano la parola «pensare», ma di riprendere la lettura dall’inizio, di ripercorrere l’affascinante vicenda del pensiero umano nel corso dei millenni, di esaminare se stesso, di riconsiderare le proprie convinzioni, di interrogare i propri dubbi, di discernere tra i mille pensieri che si affollano ogni giorno nella mente, di distinguere tra ciò che definisce un individuo e ciò che lo rende persona, fino a trovare l’energia per «camminare in equilibrio sulla fune della vita». Un libro che è davvero una bella pensata!
Enzo Bianchi, La Stampa 28 ottobre 2017