«Si laurea in Teologia con una tesi su Ligabue». Così titolava nel marzo 2017 il quotidiano la Repubblica, seguito da decine di segnalazioni sulla stampa cartacea e on line e sui social network. Così l’autore della tesi, uno stupito Lorenzo Galliani, si è trovato al centro di un acceso dibattito pubblico sull’accostamento, per molti irriverente, fra il rocker emiliano e la religione. Eppure Ligabue appare costantemente in dialogo con il cielo e con un Dio dal volto umano, anche quando critica con parole dure la Chiesa: a testimoniarlo decine di citazioni dal suo canzoniere e dalle interviste rilasciate in trentanni di carriera. Prefazione di Matteo Zuppi.
 
Descrizione
Titolo: “Hai un momento, Dio?”: Ligabue tra rock e cielo
Autore: Lorenzo Galliani
Editrice: Ancora
Prezzo: 14 euro
Data:17/04/2018
Pagine: 100
Isbn o codice id 9788851419790
 
 
Da Guccini a Dalla fino a Ligabue il desiderio divino
di Matteo M. Zuppi
Ci sono persone che hanno conosciuto l’orrore della Shoah ascoltando una canzone, prima di studiarla sui libri. Tanti, come me, della mia generazione, che prima di capire i campi di concentramento lo hanno provato con quel «fumo lento» e quel «bambino morto con altri cento». Potere visitare quel luogo sacro perché abitato da milioni di persone cui sono state tolte la dignità, l’umanità e la vita intera, e farlo assieme allo stesso Guccini e ad alcuni ragazzi di una scuola media dell’appennino bolognese, è stata un’esperienza intensa, una lezione umanissima alle radici dell’Europa che viviamo con ancora troppa poca consapevolezza.
Si ripropone in maniera incessante, di fronte alle tragedie che osserviamo troppo a distanza e alla «guerra mondiale a pezzi» alla quale non possiamo mai abituarci, sempre la stessa domanda: «Io chiedo quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare».
La ricerca della risposta ci deve unire tutti, credenti e non.
Il vangelo aiuta tutti: «Avevo fame, mi hai dato da mangiare».
Occorre iniziare da noi, dal nostro quotidiano, anche quando i problemi del mondo ci sembrano troppo grandi. Nel nostro piccolo tutti possiamo costruire l’unico antidoto al male, che ci portiamo, mistero di iniquità, nel cuore. Non siamo del tutto lupi, ma nemmeno angeli. Dobbiamo aiutarci a combattere il male che diventa sistema.
Le canzoni insomma spesso raccontano le nostre storie, l’amore e l’orrore, la spensieratezza degli anni più belli e la pesantezza della vecchiaia. Come quel pensionato descritto dallo stesso Guccini, in un brano molto amaro: ha «tanto tempo libero ed anche il lusso di sprecarlo» nei suoi giorni sempre uguali. Ma, prosegue la canzone, «non posso, non so dir per niente se peggiore sia, a conti fatti, la sua solitudine o la mia». Questo passaggio mi ha sempre colpito.
Qui a Bologna ho incontrato una terra di grandi cantautori, come Lucio Dalla. Ha dato molto a questa città, la sua Piazza Grande ci fa pensare ai tanti che sono ancora sulle panchine delle Piazze Grandi e che hanno bisogno di carezze. E non le carezze qualsiasi, ma «a modo mio». Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che sappia trovare il modo giusto, quello «mio». È questa la misericordia e la tenerezza di cui parla con insistenza papa Francesco: non un amore impersonale, burocratico, ma quello che viene solo dal riconoscere l’altro e il suo bisogno originale di amore. E forse proprio tutti abbiamo bisogno «di pregare Dio».
Carezze, quindi, e apertura al mondo. La teologia dialoga con l’arte, la letteratura, il cinema: mondi dai quali, non di rado, emergono profonde domande spirituali. Bisogna mettersi in ascolto, costruire ponti. Il cristiano (prete compreso, ovviamente) non può starsene seduto ad aspettare, riducendo la comunità a un salotto. La Chiesa è, deve essere, apostolica, stare sulla strada con servizio e umiltà. Deve essere quel «suono della campana» di cui parlava Paolo VI, che arriva a tutti. E se il suono di una campana arriva a tutti, figuriamoci cosa può fare una canzone.
Per questo dobbiamo ringraziare Lorenzo Galliani che con intelligenza e sapienza evangelica ha saputo penetrare i testi di Ligabue e svelare in essi la presenza di quella domanda intima dell’uomo che sant’Agostino chiama «desiderio» e riconoscere in essa la presenza di Dio. In ogni uomo c’è il desiderio, cioè la domanda delle stelle, del cielo. Si esprime in tanti modi. Ligabue con la sua profondità ci aiuta a comprenderlo in maniera così personale, a cantarlo con parole che sentiamo istintivamente vicine. Sì, perché nel profondo di ogni uomo è posta la “nostalgia” di Dio. Lorenzo e Ligabue ci aiutano a capirla, a cantarla. E poi in cielo “canteremo” la gloria.
in “Avvenire” del 14 aprile 2018