Globalizzazione, intercultura ed esclusione, nell’ottica del dialogo e dell’opzione per i poveri. È il tema che vede riuniti a Boston studiosi di lingua spagnola del Nord e del Sudamerica. Sullo sfondo l’idea pastorale di Bergoglio, la visione di mondo della “Laudato si’” e, per singolare coincidenza, i “muri” di Trump.
Sarà uno scherzo del caso (o, come diceva Chesterton, di «Dio quando vuole travestirsi sotto abiti anonimi»), ma di certo i promotori del primo convegno di teologia ibericoamericana negli Stati Uniti (apertosi ieri a Boston) non avevano previsto che tale consesso si sarebbe tenuto in un momento in cui alla Casa Bianca ci sarebbe stato un presidente che non ama particolarmente l’ex ‘cortile di casa’, come l’amministrazione Reagan chiamava il Sud e il Centroamerica.
Epperò si preannuncia densa di provocazioni e di contenuti questa assise alla quale parteciperanno oltre 40 teologi e teologhe di lingua ispanica provenienti dall’America Latina, dalla Spagna e dagli Usa. Si sono riuniti (coincidenza?) nella città dei Kennedy per affrontare tre tematiche decisive nel mondo di oggi: globalizzazione, intercultura ed esclusione. Il tutto, dentro il quadro di un pontificato sudamericano che ha rimesso al centro della teologia e del ministero della Chiesa (il convegno ruota attorno appunto a questi due termini) l’opzione preferenziale per i poveri.
A dare lustro (gli organizzatori scomodano addirittura l’aggettivo ‘storico’ per segnalare il significato di questo incontro, che si chiude venerdì) al convegno promosso dal Boston College è decisamente la qualità e la rinomanza degli oratori, il quid della teologia sudamericana: ci saranno Gustavo Gutiérrez, fondatore della teologia della liberazione grazie al suo omonimo, fondamentale testo, pubblicato in italiano da Queriniana negli anni Settanta; Juan Carlos Scannone, insegnante del giovane Bergoglio, considerato l’iniziatore della ‘filosofia del popolo’, la branca filosofica dell’omonimo pensiero teologico, di cui papa Francesco è considerato l’erede; Jon Sobrino, il pensatore amico di Oscar A. Romero, colui che era il bersaglio della strage all’Università Centroamericana di San Salvador nel 1989 per mano degli squadroni della morte; Carlos Maria Galli, argentino, ritenuto tra i più vicini pensatori a papa Francesco. E ancora: Maria Clara Lucchetti Bingemer, teologo brasiliana, Gilles Routhier, dal Canada, Harvey Cox, pensatore di matrice protestante, che di recente ha presentato a Francesco il suo libro dedicato all’idolo- mercato… Insomma, un raduno di noti teologi il cui obiettivo sarà quello di «riflettere e offrire il contributo della teologia latinoamericana alle riforme di papa Francesco», come spiega Rafael Luciani, docente di teologia al Boston College, ‘anima’ dell’organizzazione dell’assise. «Bergoglio osserva che la Chiesa, sia a livello pastorale che teologico, deve essere in mezzo ai poveri, deve servire i poveri e coinvolgersi nelle loro lotte e nelle loro speranze: questa è una teologia molto latinoamericana. Ma questa prospettiva ha incontrato resistenze in Europa e anche negli Usa» afferma Luciani, che ha di recente pubblicato un libro in spagnolo proprio sul rapporto tra papa Francesco e la teologia del popolo.
Che questo convegno di Boston sia una tappa particolarmente importante lo evidenzia anche un fatto reso noto dagli organizzatori: oltre al cardinale Sean O’Malley, saranno presenti due delegati del papa, il cardinale Baltazar Enrique Porras Cardozo, arcivescovo di Mérida, e monsignor Raul Biord Castillo, presule di La Guaira, entrambi dal Venezuela, i quali presenteranno a Francesco il frutto delle giornate nella città del Massachusetts.
«Papa Francesco critica la globalizzazione che si è realizzata secondo l’ideologia neoliberale – spiega ad ‘Avvenire’ Juan Carlos Scannone, che a Boston affronterà il tema della ‘collaborazione teologica con la pastorale di papa Francesco’ –. Un’ideologia che assolutizza il mercato, invece di considerarlo come uno strumento efficace, e che a causa del feticismo del denaro e del consumismo sta formando un sistema ‘che uccide’ e che provoca l’esclusione della maggioranza dell’umanità, popoli interi di milioni di persone, acutizzando la separazione tra i più ricchi e i più poveri». Secondo Scannone, però, papa Francesco non si limita a denunciare le storture del «paradigma tecnocratico attuale», ma propone «un nuovo paradigma, come quelanzitutto lo che egli descrive nell’enciclica Laudato si. Si tratta di instaurare un’ecologia integrale, che sia al contempo sociale e ambientale».
Da parte sua il superiore generale della Compagnia di Gesù, padre Arturo Sosa Abascal, nel messaggio fatto pervenire al congresso di Boston, ha evidenziato come «decine di migliaia di persone in America latina siano costrette a lasciare le proprie case per cercare condizioni di vita migliore». Sosa ha ricordato anche come «l’America latina sia una delle maggiori riserve ecologiche del pianeta, ad esempio l’Amazzonia, per la quale dobbiamo avere particolare cura». Oggi la teologia «è chiamata in America latina ad accompagnare la fede in dialogo con le altre culture e le fedi» per superare queste condizioni di vita non confacenti alla dignità della persona umana.
E proprio su questo chiosa Scannone: «Uno dei principali apporti della Chiesa e della teologia latinoamericana alla Chiesa e alla teologia del mondo è l’opzione preferenziale per i poveri, essenziale nel Vangelo e nella vita di Gesù, e nella sua realizzazione concreta oggi».
Teologi Per il popolo e per Francesco, di Lorenzo Fazzini, in “Avvenire” del 7 febbraio 2017
 
 
La chiesa alla prova di Trump, tra muri e difesa della libertà religiosa
di Matteo Matzuzzi
“Non sono sicuro che le iniziative di Donald Trump riguardo la libertà religiosa potranno cambiare le cose più di tanto. Sapevamo bene che questo campo è uno di quelli in cui la nuova Amministrazione sarebbe stata più in sintonia con la chiesa rispetto alla Casa Bianca guidata da Obama”. John Allen, vaticanista americano, opinionista per la Cnn e direttore del sito d’informazione Crux, non vede grandi possibilità per una “svolta”, un ammorbidimento del giudizio delle gerarchie episcopali e della stampa cattolica americana o più generalmente occidentale nei confronti dell’attuale presidente americano. E questo nonostante la nomina di Neil Gorsuch alla Corte suprema e le prime mosse riguardo la libertà religiosa. “Finché Trump continuerà a perseguire le politiche che stiamo vedendo in materia di immigrazione e rifugiati – dice Allen al Foglio – mi aspetto che i vescovi (sia negli Stati Uniti sia altrove, soprattutto in Messico, naturalmente) continueranno a essere molto critici”. Insomma, c’è sì la partecipazione del vicepresidente Mike Pence alla Marcia per la vita, ma ci sono anche i muri rinforzati lungo il confine meridionale. Migranti, frontiere, ultimi: i punti cardine dell’agenda di Francesco, ben più marcati rispetto alle battaglie sui valori cosiddetti non negoziabili. “A ogni modo, forse tutto quello che sta accadendo farà cambiare la percezione che gli americani hanno dei vescovi. Per molto tempo, questi sono stati caricaturizzati, visti come una sorta di cappellani della destra religiosa e, di fatto, alleati dei Repubblicani. Adesso questa immagine è più difficile da sostenere”, nota Allen, che aggiunge: “Mi piacerebbe pensare che vi sia la possibilità di andare oltre l’isteria e iniziare a studiare i problemi politici per quello che sono, non basandoci sulle reazioni emotive o di pancia che Trump tende a generare”.
Di esempi ne abbondano, basta sceglierne uno: “Uno degli elementi dell’ordine esecutivo sui rifugiati consiste nel dare una speciale preferenza alle minoranze che sono vittime del genocidio dell’Isis, come i cristiani, gli yazidi e in qualche caso i musulmani sciiti”. Ebbene, “si può argomentare che riconoscere le incredibili sofferenze di quei gruppi sia una politica saggia e umana, ma dire ciò pubblicamente quasi automaticamente verrà visto come voler ‘difendere’ Trump, e quindi come un endorsement di tutto quello che la gente crede lui rappresenti. Mi piacerebbe pensare – chiosa il direttore di Crux – che la stampa cattolica potrebbe giocare un ruolo nel distinguere meglio le cose, resistendo alla tentazione di consentire che l’emozione prenda il sopravvento sul buon giudizio”.
Il ruolo dei gruppi religiosi
Robert Royal, direttore di The Catholic Thing, è sicuro che nulla potrà imbarazzare la stampa cattolica, neanche se di ordini esecutivi sulla libertà religiosa ne arrivassero due al giorno. “Prima di tutto, va detto che quest’ordine esecutivo di cui si parla non è garantito. Negli Stati Uniti si dice che sua figlia Ivanka e il genero Jared Kushner, entrambi sostenitori del matrimonio gay, avrebbero convinto il presidente a non firmare la bozza. Ci sarà, forse, un ordine esecutivo più generale. A ogni modo – dice Royal – l’Amministrazione Trump non può inimicarsi i gruppi religiosi. I vescovi? A loro una norma sulla libertà religiosa piacerebbe assai, ma non mi pare che su immigrati, rifugiati e muro con il Messico da parte dell’episcopato ci sia un’opposizione minore”. Le due cose, dunque, non vanno di pari passo. Non sarà certo né Gorsuch alla Corte Suprema né un ordine esecutivo sulla religious freedom a mutare il parere critico riguardo Trump. Dalla stampa, poi, non c’è da attendersi troppo: “La stampa cattolica di sinistra è granitica contro il presidente. A destra ci sono divisioni, da chi lo scusa su tutto e chi sottolinea come sia un uomo che non sa nulla né del cristianesimo né della Costituzione”.
Il discorso andrebbe un po’ allargato, secondo Domenico Delle Foglie, fino a qualche settimana fa direttore del Servizio d’informazione religiosa della Conferenza episcopale italiana: “Donald Trump è l’ennesimo protagonista, al pari di Barack Obama e Hillary Clinton, del bipolarismo etico che ha indebolito e mortificato la presenza dei credenti (e in particolare dei cattolici) sulla scena pubblica. So bene – aggiunge – che questa affermazione, pronunciata da un giornalista cattolico può far sobbalzare qualcuno, ma a nessuna coscienza credente e adulta può essere chiesto di rinunciare al discernimento. Il che vuol dire, innanzitutto non cadere nella trappola del bipolarismo etico, frequentemente utilizzata dall’una e dall’altra parte politica per screditare l’avversario di turno”. In sostanza, osserva Delle Foglie, “se Trump si dichiara favorevole all’ampliamento degli spazi della libertà religiosa, alla salvaguardia della libertà di coscienza mediante l’obiezione, alla limitazione dell’aborto, cosa potremo mai dire in contrario? Così come, se il presidente manterrà la promessa elettorale di alzare muri, ci si aspetta dai credenti che applaudano? Piuttosto, ai credenti spetta il compito di vigilare perché siano salvaguardati, sugli opposti versanti, il metodo democratico e la legittimità costituzionale”. Naturalmente, ed è il punto essenziale, “con un occhio speciale alle conseguenze delle singole scelte di governo sui più deboli e sui più indifesi (la lezione di Francesco). Proprio partendo da queste considerazioni etico-politiche, come giornalisti cattolici corriamo alcuni rischi: di essere arruolati di qua o di là, di cadere nella trappola del terzismo deresponsabilizzante”. Quindi, che fare? “Verrebbe voglia di difendersi con uno slogan: né partigiani né indifferenti. Oppure ancora: né corretti (per quieto vivere) né scorretti (per improvvisa convenienza). Discernimento gente, discernimento. Anche quando la cronaca e la storia ci danno torto. Anzi, soprattutto in quel caso”.
Il fatto è che siamo tutti spiazzati, dice al Foglio il sociologo Massimo Introvigne, sociologo e direttore del Cesnur (Centro studi sulle nuove religioni): “Sempre più, non solo in America, siamo di fronte a politici etichettati come ‘populisti’ ma di fatto difficili da classificare nelle categorie consuete. Le politiche e gli atteggiamenti di Trump potrebbero essere etichettate per qualche verso come ‘di destra’ ma per altro come ‘di sinistra’, nel senso che attaccare le grandi lobby e i poteri forti in nome del ‘popolo’ appartiene al patrimonio storico di una certa sinistra americana. Lo stesso vale, per esempio, per Grillo e i Cinque stelle in Italia. Questo – sottolinea Introvigne – spiazza anche i cattolici e i vescovi, che hanno bisogno di uno sforzo di fantasia e forse di un supplemento di analisi per uscire dagli schemi. Personalmente, credo che Papa Francesco – che conosce bene i populismi, come argentino che ha vissuto, non solo da spettatore, l’esperienza peronista – sul punto sia un passo avanti rispetto a molti vescovi. Nella famosa e ingiustamente contestata intervista al País del mese scorso ha detto due cose. La prima è l’evocazione di Hitler, che vinse senza brogli le elezioni del 1932, per sostenere che non tutto quanto è legittimato dal voto popolare è democratico e buono. L’affermazione ha offeso qualche seguace di Trump, ma a leggerla bene non si riferiva specificamente a Trump ma genericamente a un rischio che corrono tutti i populismi, compresi quelli per cui il Papa ha notoriamente simpatizzato in America latina: l’eletto dal popolo si considera l’unto del Signore che può fare quello che vuole. La seconda cosa importante che ha detto il Papa, questa sì a proposito di Trump, è che bisogna aspettare e vedere che cosa fa. Lo tradurrei nel senso che – proprio perché è un politico atipico e imprevedibile – il consiglio del Papa ai vescovi americani è quello di valutare i suoi provvedimenti uno per uno e caso per caso. A me – dice il sociologo – sembra che non esista il ‘trumpismo’, che potrebbe essere valutato tutto insieme come se fosse un’ideologia da pesare e criticare alla luce della dottrina sociale della chiesa. Esistono tanti provvedimenti di Trump”. Uno su tutti, la nomina di Neil Gorsuch alla Corte suprema, “un provvedimento che i vescovi cattolici non possono che valutare positivamente. Lo stesso vale per la libertà religiosa, anche se a proposito di Trump abbiamo già imparato che le bozze di provvedimenti e i provvedimenti spesso sono diversi: quindi aspettiamo e leggiamo, ma le intenzioni sembrano buone”.
C’è anche l’altro verso della medaglia, però: “I vescovi hanno ragioni da vendere quando criticano l’ordine esecutivo sull’immigrazione. Non solo ha conseguenze crudeli e ingiuste su persone e famiglie che non hanno nulla a che fare con il terrorismo – per esempio nelle università americane ci sono undicimila docenti e studenti iraniani, che in grandissima maggioranza non hanno nessuna simpatia per il regime del loro paese – ma non serve a nulla per combattere il terrorismo”. “Studio il terrorismo islamico da qualche anno”, dice Introvigne, “e so bene che se stiliamo una lista delle persone che hanno commesso attentati o sono state arrestate come esponenti di organizzazioni terroristiche negli Stati Uniti i primi cinque passaporti che avevano in tasca sono nell’ordine quelli di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Libano e Kuwait. Nessuno di questi paesi è nella lista nera di Trump, che poi è una lista nera di Obama, già sbagliata ai tempi di Obama”. Lo stesso, nota il direttore del Cesnur, vale per il muro con il Messico, “che era il muro di Clinton e di Obama, c’era già ma se ne faceva meno propaganda”. A ogni modo, chiosa, “la funzione dei vescovi, come quella degli intellettuali e degli accademici e con le ovvie differenze fra i primi e i secondi, non è quella di schierarsi in una delle opposte tifoserie. Queste tifoserie sono rumorose e incattivite come non mai, negli Stati Uniti e fuori, e non vanno alimentate ma disinnescate. A rischio di essere criticati da tutte e due le tifoserie, i vescovi devono aiutare i fedeli a pensare, alla luce della dottrina sociale della chiesa e senza pregiudizi ideologici, esaminando quello che fa Trump caso per caso e legge per legge, indicando come alcuni provvedimenti di Trump sono sbagliati e inaccettabili e altri meritano una valutazione positiva. Un po’ più di equilibrio e un po’ meno ideologia: è questo che il popolo di Dio ha bisogno di ricevere dai pastori, anche in America”.
in “Il Foglio” del 7 febbraio 2017