Gli ultimi uscì nel 1963, ispirato dalla memoria autobiografica di padre David Maria Turoldo: lui fanciullo a Coderno di Sedegliano. Memoria trasferita su pellicola dallo stesso Turoldo e da Vito Pandolfi, regista e uomo di teatro, ma naturalmente all’epoca il film non trovò grande comprensione. Di recente la Cineteca di Gemona, Cinemazero di Pordenone e Centro Espressioni Cinematografiche di Udine, hanno restaurato e ripubblicato “Gli Ultimi”, quasi per soddisfare uno degli ultimi desideri espressi da Turoldo .
La vicenda ambientata negli anni ’30 è quella di una famiglia contadina del medio Friuli che, nonostante la miseria, sceglie di continuare a lavorare la poca terra, a “spigolare” le pannocchie, a tagliare l’erba per le capre ai bordi dei fossati, piuttosto che emigrare come minatori in Belgio, dove perderà anche un giovane figlio. La vita è scandita dai gesti quotidiani di dignità con nessun cedimento alla rassegnazione da parte di Zuan, il capofamiglia, che ogni sera, dopo aver fatto il segno di Croce sulla polenta, ne distribuisce una fetta ai figli e alla moglie. Una seconda fetta rappresenta il formaggio, quando questo non c’è, come accade di solito. La vita e la morte si colgono soprattutto con gli occhi di Checo, bambino assetato di amicizia e di affetto, e nutrito di timidezza e paura. Soprattutto di essere un “nulla”, alla pari dello spaventapasseri, solitaria e familiare figura che si staglia nell’uguale continuità dei campi.
Rivedere il film oggi è un’altra cosa, quando sono ormai lontani i tempi in cui qualsiasi immagine neorealista che fotografasse la realtà di miseria, di nuda sopravvivenza ma di orgogliosa dignità dalle quali eravamo appena usciti negli anni ’50 , veniva rifiutata da generazioni ormai proiettate verso la costruzione e la ricerca dei nuovi “consumi”.
Rivederlo oggi, dunque ha un altro sapore. Finalmente ci siamo saziati di tutto ciò che abbiamo acquistato col denaro, della facilità di comunicare con tutti e in un solo istante, tanto sazi che le immagini di Checo, fanciullezza inconsciamente sacrificata alla quotidianità miserevole eppure sacrale di una povera famiglia contadina, ci appaiono non semplice datato neorealismo, ma nostalgia e bellezza pura.
Questo film non dovrebbe mancare di essere rivisto oggi e di occupare un posto prezioso nello scaffale di chi ha a cuore l’anima del Friuli.
Il progetto di recupero, restauro e conservazione degli Ultimi trova il suo ideale inizio nella mostra delle fotografie di Elio Ciol dal set organizzata da Cinemazero nel 1990. Due anni più tardi, Sabrina Baracetti conclude le sue ricerche sul film e recupera una serie di materiali inediti dall’archivio Pandolfi. Grazie anche all’intervento di Piero Colussi e Livio Jacob si inizia a costituire il fondo Gli ultimi che nel 1998 si arricchisce di un importante lascito. Carlo Feruglio, liquidatore delle Grazie Film, la casa di produzione creata da Turoldo per la realizzazione degli Ultimi, consegna alla Cineteca del Friuli tutti i materiali di produzione e di distribuzione, cinematografici e cartacei della società. Nel 2002, in occasione del restauro della versione del film distribuito nel 1963 e della sua edizione in vhs, parte dei materiali consegnati da Feruglio viene proiettata durante la serata inaugurale al Giovanni da Udine: provini, tagli, trailer, interviste.
Oggi, a distanza di dieci anni, in occasione della pubblicazione della versione dvd è possibile pubblicare per la prima volta tutti i materiali di produzione inclusa anche la versione inedita presentata alla Mostra del cinema di Venezia nel 1962. Una selezione dei materiali cartacei più significativi della produzione del film trova spazio invece in queste pagine dove la documentazione viene organizzata e messa a disposizione degli appassionati e degli studiosi. In particolare si possono trovare le varie versioni della sceneggiatura a partire dai primi soggetti e trattamenti.
L’originario progetto di Turoldo consisteva in una trilogia in cui alle vicende degli Ultimi seguiva la storia di Checo migrante in Canada e in seguito il suo rientro in Friuli. I secondi due episodi non sono mai stati realizzati forse anche a causa della controversa accoglienza riservata agli Ultimi. A distanza di 50 anni, ci piace credere che questi successivi interventi di restauro e conservazione possano proseguire idealmente l’opera di Turoldo, consegnandone integro il valore storico ed etico alle nuove generazioni e riproponendo la domanda che conclude il film: “Al tempo di questi episodi, Checo aveva 10 anni. Oggi è un uomo, ma dov’è? Se tornassimo nel suo Friuli, lo troveremmo ancora?”.

 

 
Il film “Gli ultimi” di Turoldo, passato che non tramonta
di Goffredo Fofi
La Cineteca del Friuli ha restaurato e presentato al pubblico a Udine un vecchio film del 1962/63, Gli ultimi, scritto e diretto da padre David M. Turoldo e da Vito Pandolfi, che venivano da tutt’altre esperienze che quelle cinematografiche. Il primo era un padre servita che era stato partigiano insieme al confratello Camillo De Piaz, con lui animatore della Corsia dei Servi milanese, e fu peraltro gran predicatore e fu poeta di qualità, pubblicato nello Specchio mondadoriano a fianco delle raccolte di Montale e Saba, di Ungaretti e Sereni, di Giudici e Zanzotto. Pandolfi fu invece critico e organizzatore teatrale (fondò tra l’altro, in sintonia con quel che facevano a Parigi Barthes e Dort, una rivista di ‘Teatro popolare’) e, in concomitanza con quel che facevano a metà degli anni cinquanta Calvino con la raccolta delle fiabe popolari e Pasolini con quelle della poesia dialettale e della poesia popolare, stabilì una affascinante raccolta di Copioni da tre soldi, una panoramica di quel che di autonomo e creativo produceva lo spettacolo popolare ancora negli anni cinquanta e dal nord al sud: dalla sceneggiata al circo, dai ciarlatani e giocolieri di fiera ai canta e contastorie, dall’avanspettacolo alla canzonetta. Gli ultimi nasceva dalle memorie d’infanzia di padre Turoldo, e dalla sua infantile ossessione per un ‘doppio’ dapprima vissuto come nemico e poi come amico, uno spaventapasseri che troneggiava nei campi che il padre lavorava.
Erano gli anni del fascismo, dell’emigrazione verso le miniere del Belgio, della Grande Crisi americana i cui effetti giungevano pesantemente anche da noi. Gli anni di un mondo contadino povero o poverissimo, di braccianti del feudo, al Sud, e di piccoli proprietari o affittuari o braccianti al Nord, dal Piemonte al Veneto alla Romagna. Film austero, povero, ma di un’intima e fortissima luce, Gli ultimi evoca un’infanzia nel contesto di una famiglia e di un ambiente sociale e naturale aspri e difficili. (Ha due limiti: un commento musicale di Rustichelli desunto dalla musica classica, invadente ed eccessivo al contrario di quel che accadeva nei film di Pasolini, dove la scelta dei brani era dovuta alla competenza e acutezza di Elsa Morante, ché Pasolini come Turoldo di grande musica sapeva solo l’essenziale; e il doppiaggio in perfetto e freddo italiano). Non ebbe successo, Gli ultimi, negli anni più gloriosi del cinema italiano, quando, vicino ai grandi Fellini Antonioni, Monicelli debuttavano esordienti come Pasolini e Olmi, Petri e i Taviani e tanti altri. Gli accadde come a un altro piccolo grande film, Banditi a Orgosolo di De Seta, di scontare la sua austerità e il suo rigore, una diversità rivendicata. Si spera che la nuova versione possa circolare in dvd e che tanti possano vederlo, non solo i ‘furlani’, per ricordarci da dove veniamo, il nostro passato di contadini e migranti.
in “Avvenire” del 3 febbraio 2017