Patriarca: gratis la vita è più bella (e più produttiva)
intervista a Edoardo Patriarca
«L’esperienza del dono rende la vita più felice perché fa capire come l’altro non è una minaccia ma un’occasione: non è buonismo, è vita vissuta». Così Edoardo Patriarca, presidente dell’Istituto italiano per la donazione e deputato, sintetizza il messaggio delle tante iniziative organizzate per il «Giro dell’Italia che dona» e per la celebrazione del
Perché la cultura del dono fatica a emergere nella nostra società?
Spesso si parla di un’Italia accartocciata su se stessa, a rischio di perdere la bussola. Invece dalla grande risposta che abbiamo avuto emerge una parte probabilmente maggioritaria del Paese che vive quotidianamente la dimensione del dono e attende solo un’occasione per poterlo raccontare. Se ci pensiamo, gran parte della nostra vita si muove al di fuori della logica del contratto. Anche in azienda: bilanci, efficienza, competitività contano, ma il vero capitale sono le persone. E vivendo la cultura del dono nel fare impresa, si scopre che le cose funzionano meglio. Rispetto alla narrazione degli ultimi decenni, secondo cui bastano i rapporti di mercato a risolvere ogni cosa, questa è una rivoluzione culturale.
Ci sono elementi che ritornano nelle storie narrate nel «Giro dell’Italia che dona»?
Ci sono la grande maturità e sensibilità su questi temi dimostrata dai giovani, che smentisce la convinzione diffusa che siano rassegnati all’individualismo: i loro sono racconti di gioia e voglia di fare, di sogno. Non attendono l’aiuto di qualcuno, ma si attivano sulla base di una spontanea assunzione di responsabilità, mettendoci la faccia e a volte anche le risorse. E scegliendo la via di una sussidiarietà praticabile in concreto. Il bene si fa e non si racconta, ci hanno insegnato: è vero solo in parte, perché è giusto raccontare che fare il bene rende felici. Questa è una perla da non tenere nascosta, ma da condividere.
La riforma del Terzo settore può aiutare a sviluppare questa nuova narrazione?
La riforma, migliorabile quanto si vuole, esprime una visione. Ha creato cioè le condizioni, penso ad esempio al riconoscimento del Terzo settore come soggetto pubblico, all’inserimento del dono come suo tratto distintivo, alla fiscalità agevolata o al 5 per mille revisionato, affinché la cultura dell’impegno e della cittadinanza siano ancora più diffuse e praticate. È una grande occasione per il Paese e forse per la stessa Europa. Però questa visione ora va animata, vissuta sui territori. Perché una legge da sola non può nulla.
a cura di Andrea Di Turi, in “Avvenire” del 1° ottobre 2017
 
 
Italia, una Repubblica fondata (anche) sul dono
di Andrea Di Turi
Una piccola legge dal grande significato. Si può dire così per spiegare la portata della Legge 110 del 14 luglio 2015, primo firmatario l’ex Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che ha istituito il Giorno del Dono che si celebra in tutt’Italia mercoledì 4 ottobre. Poche righe, tre articoli soltanto, che mettono però in connessione le «attività donative» con la «crescita della società» e con i «valori primari della libertà e della solidarietà affermati dalla Costituzione» (art. 1). In sintesi, una legge che afferma che il nostro convivere si fonda anche sulla cultura del dono. Ma sarebbe più corretto dire «soprattutto», perché è esperienza quotidiana di ognuno di noi che senza quel di più, non scritto nei contratti, nelle leggi, insomma non formalizzato e formalizzabile ma assolutamente essenziale, tante cose non funzionerebbero o lo farebbero con molta maggiore fatica e a costi assai più elevati. Il dono, insomma, è un lubrificante indispensabile per rendere le nostre vite quello che sono, nella sfera personale e nella sfera sociale, di conseguenza anche in ambito economico- produttivo. Nel quale però per troppo tempo si è pensato che le cose potessero funzionare bene anche solo grazie e regole e logiche di mercato.
Nonostante il valore del dono si possa considerare di rango costituzionale, poiché è difficile immaginare come i «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» (art. 2 della Costituzione Italiana) si potrebbero adempiere senza la quotidiana alimentazione del dono, il racconto della cultura del dono non è semplice. Spesso è oscurato, relegato ai margini, o recuperato solo in circostanze emergenziali (terremoti, disastri naturali). Per questo assume straordinaria rilevanza l’insieme delle iniziative attivate dall’Istituto italiano della Donazione, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca e l’Anci (Associazione nazionale Comuni italiani), con la seconda edizione del Giro dell’Italia che Dona, che avrà il suo culmine nelle celebrazioni del 4 ottobre e nell’udienza privata con Papa Francesco dei vincitori del concorso #DonareMiDona (vedere articolo in pagina). Dal 23 settembre all’8 ottobre la manifestazione accende infatti i riflettori su quella larga parte del Paese che vive la dimensione del dono con la giusta consapevolezza. Ed è significativo anche il fatto che le centinaia di adesioni al Giro siano arrivate da soggetti diversi: oltre ai singoli cittadini, le associazioni non profit, i Comuni, le scuole, le stesse imprese (l’elenco delle iniziative su www.giornodeldono.org).
Il racconto della cultura del dono passa anche da quello dell’economia del dono, con specifico riferimento alle donazioni degli italiani a sostegno del non profit. Secondo i dati diffusi da Iid (130 le organizzazioni non profit intervistate), si tratta di un’economia ragionevolmente in salute: nel 2016 le onp che hanno aumentato la propria raccolta fondi (43%) sono quasi il doppio rispetto a quelle che l’hanno vista diminuire (22%). Per quanto riguarda il 2017, la larga maggioranza (oltre l’80%) stima di confermare o anche migliorare i risultati dell’anno precedente. E molto davanti rispetto ad aziende e fondazioni, la fonte principale (più generosa) da cui derivano le entrate del non profit si confermano i privati cittadini. Se le donazioni restano fondamentali, costituendo una fonte insostituibile di supporto per il mondo dell’economia sociale, ancora più fondamentale è però tenere viva l’attenzione e accrescere la consapevolezza della rilevanza della cultura del dono. Che è l’obiettivo della campagna legata al Giorno del Dono. A San Valentino gli innamorati usano dire che ogni giorno dovrebbe essere una celebrazione del loro amore: per il Giorno del Dono vale la stessa cosa.
in “Avvenire” del 1° ottobre 2017