Continua l’inchiesta di Italia-24news sul tema della teoria gender. Per fare maggiore chiarezza sull’argomento abbiano intervistato il “Comitato Articolo 26“, composto da genitori e docenti e che segue da vicino l’impatto della teoria del gender sulla scuola italiana e di Roma in particolare.
Teoria gender e scuola, è poco dire che la confusione regna sovrana. Cosa sta succedendo?
Moltissimi genitori e docenti e finalmente politici, si sono accorti dell’introduzione nelle scuole di progetti educativi a sfondo omosessualista, introdotti soprattutto ad opera di associazioni LGBT e femministe, che utilizzano in maniera strumentale la nobile causa della lotta alle discriminazioni. Dopo la manifestazione del 20 Giugno si è scatenata una reazione negazionista che accusa di travisare il complesso insieme degli studi di genere attribuendo a quanti la osteggiano, l’invenzione di una inesistente “ideologia gender”, ad opera di gruppi ultracattolici.
E non è così?
No. La verità è che nelle scuole stanno entrando subdolamente non solo quelle progettazioni che contrastano le ingiuste discriminazioni tra maschi e femmine, fondate sugli studi di genere, ma quelle applicazioni più radicali e sovversive di essi che propugnano un vero e proprio indifferentismo sessuale e l’equiparazione di ogni orientamento sessuale. E’ ovvio che un’ideologia (che per sua natura non ha basi scientifiche) cerchi di usare l’educazione dei giovani per radicarsi di conseguenza nelle masse, è già accaduto in altre epoche storiche. Oggi chi denuncia tutto questo viene silenziato o ancor peggio etichettato come omofobo.
Esistono punti nella riforma della scuola dove si richiama la teoria gender?
Il punto critico è il comma 16 che attraverso la legge 119/2015 introduce il Piano Nazionale Contro la Violenza Sessuale e di Genere. Questo documento – adottato dal governo in Luglio- propone il concetto di identità di genere per educare contro le violenze e le discriminazioni. Allo stato attuale non esiste alcuna definizione normata di questo termine. Quindi chi parla di identità e di genere può intendere qualunque cosa, anche la più radicale. Ad esempio che il modo in cui io mi percepisco (l’identità di genere) è più importante rispetto a come nasco e come sono fatto biologicamente (l’identità sessuale). Il ministro ha ribadito che l’ideologia gender non verrà accettata nella Buona Scuola.
Allora di cosa hanno paura le famiglie?
La preoccupazione delle famiglie è che la legge (al momento non chiara) venga strumentalizzata per far entrare ancora di più dall’esterno tutti quegli approcci ideologici che abbiamo visto in troppi progetti dis-educativi e che queste poi si propaghino gradualmente ma inesorabilmente. Per capire che queste paure sono fondate basta andare a vedere quali associazioni si sono riunite a Roma il 19/20 Settembre scorsi per parlare di come “Educare alle differenze” nelle scuole, nell’omonimo convegno patrocinato dal Comune di Roma. Per la maggior parte erano associazioni legate al movimento gay e al femminismo radicale.
Quali sono al momento i progetti presentati sul tema?
Nelle scuole sono stati presentati progetti come “W L’Amore”, che affronta senza rispetto per ragazzi e genitori argomenti quali masturbazione, aborto, pornografia ed equiparazione di ogni orientamento sessuale. Progetto finanziato e diffuso nelle scuole dell’Emilia Romagna dal Sistema Sanitario Regionale e dalla Regione, istituzioni delle quali i genitori credevano di potersi fidare e che inoltre finanziano insieme a tutti gli altri cittadini.
Come comitato formato da genitori e docenti, quali sono i timori che avete raccolto?
Raccogliamo tantissime segnalazioni e testimonianze da genitori ma anche da docenti. I timori principali dei genitori sono che venga fatto del male ai bambini e ai ragazzi, confondendo la loro identità maschile e femminile, minando nel profondo le loro sicurezze e di conseguenza la loro serenità. Temono inoltre che venga scavalcata la propria responsabilità educativa e che si ingannino i loro figli – soprattutto i più piccoli – instillando il dubbio che la famiglia non sia più quella fatta da una mamma e da un papà; anzi i genitori che sostengono questo sarebbero dipinti come ormai “obsoleti” e, ancor peggio, omofobi. La paura dei docenti è che nella scuola pubblica si faccia entrare un’ideologia pericolosa, e che, inconsapevolmente ne diventino complici, con la conseguenza ultima che la famiglia non si fidi più di loro e naturalmente della scuola.
Secondo voi la scuola può farsi carico dell’educazione degli studenti su temi quali le pari opportunità, l’omofobia, le discriminazioni?
La scuola e quella italiana in particolare si contraddistingue per la sua grande inclusività. Questo fattore ha portato l’Italia nel 2003 (Anno internazionale della disabilità) ad essere un modello per tutta Europa per quanto concerne l’inclusione dei disabili, dove noi – a differenza di altri paesi europei – eravamo portatori di un modello di integrazione totale. Lo stesso se pensiamo alla presenza di alunni stranieri che ha portato ad una seria riflessione su pratiche inclusive e di conoscenza e accoglienza dell’alterità con lo sviluppo di una disciplina universitaria che va sotto il nome di pedagogia interculturale. Quindi non si vede come la scuola non debba aprirsi a temi di cui nei fatti già si parla nella scuola, ma le pratiche dell’accoglienza del rispetto, il rifiuto di un linguaggio offensivo e atteggiamenti discriminatori sono valide per il cosiddetto bullismo omofobico come per le altre forme di bullismo di cui sinceramente ad oggi sembriamo esserci dimenticati, mentre molti tra bambini e ragazzi continuano a soffrire a causa delle vessazioni di alcuni violenti.
Per quanto riguarda l’educazione sessuale e all’affettività, come dovrebbe muoversi la scuola? È una sfera che le compete?
A tutt’oggi assistiamo all’introduzione nella scuola di molti progetti diciamo così gay friendly che in taluni casi puntano a posticipare quella che una volta si chiamava la ‘scelta sessuale’, scelta che comunque rimaneva a carico dell’inconscio. Oggi si parla di posticipare una scelta che risulterebbe consapevole e già questo crea dei problemi: parliamo di qualcosa di consapevole o no? Inoltre c’è tutta una corrente di pensiero che parla, invece, di un tratto presente fin dalla nascita o instauratosi nell’infanzia anche non a seguito di episodi violenti o di determinate caratteristiche famigliari, rispetto al quale risulterebbe impossibile intervenire (si nasce così…). Dunque allo stato attuale, bisognerebbe preliminarmente trovare un accordo sulla possibile genesi della omosessualità affinché la scuola dia informazioni corrette in merito.
Partendo dal presupposto che manca una chiarezza sulla questione, dove si crea l’intoppo?
Questa mancanza di chiarezza ha portato e porta ad una serie di esperienze didattiche fantasiose quando non bizzarre che hanno fatto sollevare giustamente le famiglie che desiderano tutelare i propri figli dall’esposizione a stimoli inadeguati per lo sviluppo emotivo del bambino. Si sta cercando, di portare avanti degli interessi che superano di gran lunga l’interesse autentico nei confronti dei bambini in quanto tali, a favore dell’interesse di gruppi di adulti: in questo senso possiamo parlare di diritti del bambino (alla protezione da stimoli nocivi, al rispetto dei valori del nucleo famigliare da cui proviene) che vengono violati.
Scuola e famiglia non possono andare nella stessa direzione?
La scuola presenta una antropologia debole come dice un grande pedagogista come Norberto Galli, volta appunto all’accoglienza, mentre in famiglia si crea un’antropologia forte che ruota intorno a valori precisi, quali essi siano. A noi sembra che al momento attuale stanti le difficoltà legate ad una garanzia di pluralismo all’interno della scuola con la presenza esclusiva di progetti di parte, stanti le difficoltà nel definire con certezza la genesi dell’omosessualità e la necessità di garantire il rispetto dei diritti dell’infanzia, sia necessario che l’educazione emotivo affettiva, rimanga appannaggio della famiglia soprattutto su determinati temi. Ciò naturalmente non significa che a scuola i bambini non debbano imparare a rispettarsi, a volersi bene, a giocare insieme, a fare la pace, parliamo nello specifico di quella parte dell’educazione emotivo affettiva che fa da anticamera alla cosiddetta educazione alla sessualità. D’altro canto a nostro parere le famiglie devono rinunciare alla delega in bianco nei confronti della scuola e riprendere in mano le proprie responsabilità educative, con quella sensibilità e facilità nel rapporto che viene loro dalla vita in famiglia dove si gioca , si discute, si parla anche di cose grandi e serie. I genitori hanno una naturale predisposizione in questo senso e come nel dopoguerra hanno affermato psicoanalisti del calibro di Donald W. Winnicott che parlava di ‘normale buona famiglia’ e di ‘madre sufficientemente buona’ come capace di presentare il mondo al bambino, e come risulta sostenuto anche dalla Chiesa cattolica. Questo è il compito dei genitori. Attualmente non viviamo in un clima sereno su questi temi dunque i bambini, specialmente i più piccoli, vanno preservati.
Cosa proponete?
E’ necessario quanto meno che i progetti che entrano nella scuola siano portati avanti anche da altre sensibilità e che i genitori possano scegliere cosa pensano sia adeguato per i loro figli tramite una offerta formativa variegata che riguardi le attività extracurricolari. Ricordiamo ancora, per finire, come proprio a garanzia della pluralità nell’offerta formativa, si introdusse nella scuola superiore la disciplina alternativa all’insegnamento della religione cattolica. Insomma ci sembra che abbiamo in mano tante soluzioni già rodate. Sorprende sinceramente tutto il polverone che si sta facendo su questioni che anche a livello ministeriale, possono risolversi pacificamente.
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Gender e scuola, “si faccia come per l’ora di religione”, Intervista al Comitato Articolo 26
di Vittoria Dolci e Federica Sterza – 12 ottobre 2015