L’epicurea assenza di turbamenti. L’agostiniana conferma di merito e virtù. Il benthamiano appagamento del Sé nel soddisfacimento del bisogno dell’Altro. Fino ad arrivare al riconoscimento civile e politico di un diritto dell’uomo, che, la modernità, non di rado, ha trasformato in privilegio. La felicità è concetto – forse utopia – senza tempo, ma di fatto, per sua stessa natura, fortemente legato all’epoca dei cui valori e delle cui aspirazioni si fa immagine e metro. E così, in un momento storico di crisi è proprio al confronto tra ideale di felicità e sentimento di infelicità che guardano filosofia e sociologia per indagare la contemporaneità. Non è un caso che la felicità sia uno dei temi di ricerca di Zygmunt Bauman, padre della cosiddetta società liquida, ora tra gli ospiti del festival internazionale di letteratura Leggendo Metropolitano, in corso fino al 5 giugno a Cagliari.
 
L’intervista
Professor Bauman, cosa significa oggi felicità?
«La dichiarazione d’indipendenza americana ha proclamato tra i diritti inviolabili dell’uomo il suo perseguimento: una pietra miliare per la civiltà occidentale. Le idee di felicità sono tante, ma riconducibili in due categorie. La visione più popolare è quella di una vita piena di momenti piacevoli, senza problemi e sfide. L’altra ce l’ha mostrata Goethe. Ormai anziano, gli fu chiesto se la sua vita fosse stata felice. Rispose di sì, ma che non ricordava una singola settimana in cui lo fosse stata. Ciò implica che essere felici non vuol dire non avere difficoltà, ma superarle».
L’attualità ha alterato queste visioni?
«Definire cosa significhi essere felici è molto complesso. L’idea stessa di felicità sembra contenere in sé il presupposto della sua inesistenza nel mondo. La felicità va conquistata, ma nel nostro sistema di consumatori si vendono promesse su promesse di qualcosa che ci farà stare meglio. Il mercato, in teoria, dovrebbe aspirare a gratificare tutti i bisogni».
In pratica, però
«Soddisfare i consumatori, in realtà, è l’incubo del mercato: comporterebbe non avere più nulla da vendere. Gli esperti, dunque, sanno mantenerci continuamente insoddisfatti. La pubblicità ci promette che saremo felici con il nuovo cellulare, ad esempio, ma lo aveva fatto pure per il modello precedente e lo rifarà per il successivo. Eppure milioni di persone si precipitano ad acquistare».
Il capitalismo è condannato, dunque, all’infelicità?
«L’attitudine del sistema incoraggia l’idea che ci sia qualcosa che possa risolvere tutti i problemi e alimenta costantemente tale convinzione. Ciò rende i momenti di felicità molto corti. Il problema è che siamo costretti a spendere soldi che non abbiamo ancora guadagnato per acquistare cose delle quali non abbiamo bisogno per fare impressione su persone delle quali non ci importa granché. Questa è la via per allungare i momenti di infelicità».
Bisogna ripensare il nostro modo di immaginarci soddisfatti?
«Bisogna riscoprire il piacere di comunicare. Non mi riferisco ai tweet, ma a vere conversazioni. C’è grande differenza tra incontri virtuali e tradizionali. Per tornare agli appuntamenti vecchio stile, ognuno dovrebbe abbassare le proprie richieste, ma il mercato cerca di rilanciare le aspettative e lo fa costringendoci a pensare, fin da bambini, che ogni momento di felicità debba essere migliore del precedente. Ogni attimo sprecato è una chance di felicità perduta».
La società liquida è ancora capace di essere felice?
«L’idea della società liquida è che nulla permanga a lungo. Viviamo in un mondo di costanti novità, in cui si invecchia più velocemente di prima. Siamo in uno spazio vuoto. Gramsci definì questa situazione come un interregno in cui le vecchie regole sono scomparse e le nuove non sono state inventate. Ciò ingenera ansia».
E l’ansia verso quali scenari ci conduce?
«Quando ero studente, gli insegnanti dicevano che imparare ci rende più ricchi. Credo che la cultura contemporanea non sia più fondata sulla capacità di imparare ma di dimenticare. Per apprendere altri concetti, devi eliminare i vecchi. La più grande qualità sarebbe, perciò, l’abilità di scordare. In Italia e Spagna si vede meno, in Francia, Germania, Inghilterra la questione è evidente ed è una reazione al timore».
La cronaca ci rivela che molti vorrebbero risposte più dure dalla politica: la paura sta creando spazio per il ritorno di regimi forti?
«Stiamo tornando indietro di 200 anni nelle lotte per democrazia e libertà. Adesso si desiderano più regole. Sicurezza e libertà sono valori fondamentali per la dignità dell’uomo. La sicurezza senza libertà è schiavitù. La libertà senza sicurezza è una sorta di disabilità. Gli uomini, per secoli, hanno cercato di bilanciare le cose e non ha funzionato. Ogni passo avanti per la libertà richiede di rinunciare a parte della sicurezza. Ogni passo verso una maggiore sicurezza implica rinunciare a un po’ di libertà. Non c’è una via diretta per avere sempre più dell’una o dell’altra, è un pendolo che oscilla, spingendo al cambiamento».
Oggi si oscilla verso la sicurezza
«Molte persone in diversi posti del mondo sembrano andare nella direzione della rinuncia a più libertà a favore della sicurezza, desiderando una situazione più stabile. È la tendenza attuale. Siamo ancora in una società liquida, in cui però nascono sogni di una società meno liquida».