Ripartire dai territori. L’urgenza da non rimandare
di Camillo Ripamonti*
La situazione politica italiana con l’incarico al nuovo Presidente del Consiglio ha polarizzato l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media. Eppure pochi giorni fa si è concluso in Vaticano il Summit organizzato dal Pontificia Accademia delle Scienze dal titolo “Europa: i rifugiati sono nostri fratelli” e che ha visto per due giorni riflettere e discutere 80 Sindaci europei, di cui 20 italiani.
Un avvenimento passato pressoché sotto silenzio, eppure negli ultimi anni la politica europea ha dovuto fare i conti con il fenomeno migratorio, che in non poche situazioni è stato l’ago della bilancia che ha condizionato successi e sconfitte elettorali di diverso tipo.
Uno dei principali risultati raggiunti nell’incontro è stata una consapevolezza sempre maggiore che occorre partire dalle amministrazioni locali di tutta Europa per affrontare la sfida delle migrazione, in particolare quella dei rifugiati. Occorre costruire una rete europea di Comuni che abbia al centro l’incontro umano e sia animata da una visione interculturale.
Occorre costruire ponti per sanare i nostri fratelli rifugiati, le nostre sorelle rifugiate e i nostri bambini rifugiati e così sanare anche la nostra comune umanità. Anche i Sindaci italiani hanno firmato un loro manifesto sull’accoglienza che parte da una consapevolezza centrale: l’Italia sa cosa significa dover lasciare la propria terra per un futuro incerto.
24 milioni di italiani tra il XIX e il XX secolo sono emigrati in terra straniera e oggi sono oltre 5 milioni i nostri connazionali all’estero. Occorre riconoscere, come è ben sottolineato nel documento, nel ruolo dei Sindaci la grande responsabilità di trasformare le parole e gli atti della politica in gesti quotidiani e in scelte amministrative concrete, e di saperle raccontare e condividere con la cittadinanza, diventando così operatori di pace.
Il coinvolgimento attivo di tutti gli 8.000 Sindaci italiani (oggi appena 2.600 ospitano rifugiati sul proprio territorio) aiuterebbe a far crescere non solo la capacità, ma anche la qualità del sistema di accoglienza: proprio in questa direzione va il nuovo Piano nazionale di accoglienza, siglato tra Anci e Ministero dell’Interno, che sta partendo in questi giorni.
Accompagnare i territori e la cittadinanza in questa grande sfida per il futuro di tutti è un’urgenza che non può più essere rimandata.
*gesuita, presidente del Centro Astalli, in “l’Huffington Post” del 14 dicembre 2016
 
 
Papa, la “lega” di Bergoglio: per fermare le destre populiste Francesco raduna i sindaci progressisti e “trasgressivi” d’Europa. Rinasce mille anni dopo l’alleanza tra Comuni e Chiesa
di Pietro Schiavazzi
Mentre i riflettori erano puntati sul Quirinale per le “consultazioni”, sul colle del Vaticano andava in scena un “consulto”, trascurato dai media ma destinato a lasciare un’impronta ben più incisiva nel futuro d’Europa: un’assemblea di 80 sindaci dalla A alla Z, da Amsterdam a Zurigo, che ha tolto il sonno per due giorni ai rispettivi ambasciatori, offrendo al mondo una immagine inedita, eversiva dei giardini papali, quale incantevole zona franca, dove tra le fronde si agita, e si organizza, la fronda nei confronti dell’Unione.
Motivo che deve avere consigliato a Bergoglio – “forse qualcosa gli ha complicato la vita”, nelle parole del vescovo Sánchez Sorondo, regista dell’iniziativa – di non intervenire personalmente al raduno, che a tutti gli effetti configurava un parterre di voci libere sì ma pur sempre istituzionali, quindi autorevoli e alternative alle determinazioni dei governi centrali: quello che tecnicamente si chiama, senza se e senza ma, un incidente diplomatico.
Ma ormai la frittata era fatta, e voluta, essendo stato il Pontefice a convocarli. Del resto l’Europa nasce così, dalle città e dalle cattedrali che si coalizzano in contrapposizione all’impero. Dall’alleanza tra Chiesa e Comuni, che dieci secoli fa la fece uscire dal Medioevo e oggi cerca di scongiurarne il ritorno. “Le città che rappresentiamo esistevano prima degli stati”, esordisce il testo del Final Statement, mirando al sodo, con l’apertura di corridoi umanitari, sicuri, per coloro che fuggono dall’inferno dei vivi, e la chiusura dei paradisi fiscali, subito, per quanti si sottraggono al dovere di cittadini.
Davanti allo tsunami migratorio e all’onda elettorale che si alza, di rimbalzo, a sommergere il paesaggio politico, il pescatore di uomini ha gettato la rete, in sordina, e tirato a riva un embrione di classe dirigente, nella incubatrice cinquecentesca della Casina Pio IV, sede del summit, ospitato da Francesco tra specchi e stucchi, rinfreschi e affreschi, ninfei e fontane. Rifugio dorato e ultima spiaggia dell’umanesimo europeo, mentre il Mar Rosso dei sondaggi minaccia di chiudersi, una volta per tutte, sui governanti dell’Unione che fu.
“Al giorno d’oggi mancano leader. L’Europa ha bisogno di leader, leader che vadano avanti…”, aveva detto il Papa in una intervista della vigilia, lanciando la campagna di reclutamento. Così, nel recinto delle mura leonine, si sono materializzati all’istante i volti, stravolti, del socialismo e del liberalismo, segnati, scavati dall’Annus Horribilis 2016 e dal semestre, peggiore ancora, che va dal ritiro del Regno Unito dalla UE alla ritirata di Hollande dall’Eliseo, dal trionfo miliardario di Trump al tonfo referendario di Renzi.
Al fine di arrestare il processo di decomposizione del fronte progressista e l’avanzata irrefrenabile dei movimenti populisti, che si stagliano vincenti all’orizzonte, la “lega” o “accozzaglia” di Bergoglio – per dirla con un recente neologismo – ha pescato in tutte le anime, moderne e antiche, del riformismo, declinandone i nomi al femminile e coniugandone i verbi, anche se irregolari. O trasgressivi. Come nel caso delle tre principali agit-prop del meeting, le sindache di Barcellona, Madrid e Parigi: la no-global anti-sfratti e anti-mutui Ada Colau, la giudice comunista, sostenuta da Podemos, Manuela Carmena e l’atea inveterata, volteriana, ispettrice del lavoro Anne Hidalgo. Ad esse si aggiungono, tra le altre, la banchiera liberal Hanna Beata Gronkeiwicz-Walz, da Varsavia, spina nel fianco dell’episcopato polacco per la sua linea dura nei confronti dei medici obiettori, e la cantante rock Corine Mauch, da Zurigo, prima donna gay a governare un grande città d’Europa.
Una task-force di “pasionarie” che a breve potrebbe ritrovarsi, paradossalmente quanto inopinatamente, a testimoniare l’esistenza, e la resistenza, dei valori cristiani nelle istituzioni del continente: l’opposizione di Sua Santità, in luogo di quella di Sua Maestà.
Una sequenza di ritratti che, venendo alla sezione italiana della gallery, ha offerto un quadro altrettanto variegato della “sinistra”: quella nordica, espositiva e tecnocratica di Giuseppe Sala e quella orobica, televisiva e aristocratica di Giorgio Gori; quella rivoluzionaria, vesuviana, in focosa eruzione di Antonio De Magistris e quella universitaria, palermitana, in pensosa meditazione di Leoluca Orlando. Quella fiorentina, già finita, di Dario Nardella e quella capitolina, indefinita, di Virginia Raggi. Quella isolata, alla parmigiana di Federico Pizzarotti e quella isolana, lampedusana di Giusi Nicolini.
Un cast di personaggi in cerca di autore, dal momento che il vecchio copione europeista del federalismo non tiene più e ha cessato da tempo di appassionare il pubblico, anzi lo spaventa non meno del finale di un film horror, al solo pensiero di una integrazione ancora più stretta.
Per questo Bergoglio ha mollato gli ormeggi e varato una nuova proposta, operando uno strappo storico rispetto ai padri fondatori, da De Gasperi a Schuman, e agli stessi pontefici suoi predecessori, Wojtyla e Ratzinger, che avevano fatto dell’unità politica dell’Europa un dogma, una meta obbligata e un precetto accessorio del magistero. “Sana disunione” è la parola d’ordine, pronunciata in volo e al volo, conversando sull’aereo con i giornalisti e slacciando le cinture, all’indomani del referendum d’oltremanica. E ufficializzata, solennizzata nel convegno dei sindaci da Monsignor Sánchez Sorondo: “Non bisogna sanzionare la Gran Bretagna per la sua uscita dall’Unione Europea…Ciò significa pensare a una forma di Unione più creativa e feconda, finanche a una sana disunione”.
Agli occhi di Bergoglio, la Brexit ha segnato una svolta irreversibile. Il monito a non penalizzare Londra, rivolto perentorio a Bruxelles, non costituisce solo un riconoscimento dei motivi congiunturali che hanno indotto gli inglesi a votare “Leave”, bensì scaturisce da un esame di coscienza strutturale: dalla necessità cioè di non ripetere uno storico, tragico errore, del quale i successori di Pietro fecero esperienza in prima persona, cinquecento anni fa, con esiti devastanti e tuttora insoluti.
Una prospettiva che a Francesco deve avere ricordato lo scisma di Enrico VIII. Un contenzioso disciplinare sull’autorità sfuggito di mano e degenerato in eresia dottrinale sulla verità. Quello che potrebbe accadere adesso, rimettendo in discussione il movente comunitario e precipitando il continente indietro nel tempo, ai nazionalismi d’inizio Novecento: il modo peggiore per un Papa di celebrare il sessantesimo dei Trattati di Roma, il prossimo 25 marzo, in coincidenza con la festa dell’Annunciazione, benedicendo l’Unione mentre i popoli la maledicono.
Di fronte al rischio di un divorzio, Bergoglio ammette dunque la nullità del primo matrimonio federalista, per vizio di forma e di consenso. Optando per l’Europa delle patrie al posto degli Stati Uniti d’Europa. Evidenziando i tratti nazionali anziché attenuandoli. E passando, sul piano del disegno costituzionale, al modello confederativo, più somigliante al Sud che al Nord America, come già scrivemmo in giugno.
Al manifesto unionista di “Ventotene”, di Altiero Spinelli, subentra quello “confederato” e sudista di Lampedusa, quale frutto del connubio tra il Vaticano e le sindache. “Europa, i rifugiati sono nostri fratelli”: uno slogan che di questi tempi voterebbe al suicidio elettorale ogni forza politica se contestualmente non fosse accompagnato dalla constatazione che la UE, da sola, non può farcela e di conseguenza non indicasse: a) la valvola di sicurezza di corridoi umanitari verso nazioni più capienti (l’Argentina, l’Australia, il Canada); b) un piano Marshall a sostegno delle popolazioni allo stremo, d’Africa, Centroamerica e Medio Oriente, quale unica via d’uscita da una situazione insostenibile. “Innalzare altri muri non fermerà i milioni di migranti in fuga…Solo la cooperazione internazionale per il raggiungimento della giustizia sociale può essere la soluzione.”
Urbi et Orbi: dalle città direttamente al mondo. Dall’incidente diplomatico al network politico. Senza la mediazione degli stati, di cui Francesco in fondo diffida, considerandoli autoreferenziali, malati di burocrazia, distanti dai problemi della gente. In tale cornice il summit dei sindaci costituisce una sorta di Pontida del XXI secolo, dove Bergoglio, sulla scia di Alessandro III, ha provato a riappropriarsi del “leghismo”, convertendolo da localista in glocal, da fenomeno di egoismo sociale a sinonimo di solidarismo universale. Una lega delle città che nasce in Vaticano e che nella liaison con le Giovanne d’Arco, laicissime, di Parigi, Madrid e Barcellona non rinnova, sicuramente, il suo credo cattolico, ma ritrova, verosimilmente, il vessillo e sigillo papista.
in “l’Huffington Post” del 12 dicembre 2016
 
 
Sindaci europei in Vaticano: i rifugiati sono nostri fratelli e sorelle
“Basta guerre, basta razzismo, basta morte”, lo ha detto con forza Ada Colau, sindaco di Barcellona e promotrice del Summit “Europa: i rifugiati sono nostri fratelli e sorelle”. L’incontro, oggi e domani nella Casina Pio IV, in Vaticano, è stato organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze. In un clima da veri “costruttori di pace”, i circa 80 sindaci invitati stanno scambiandosi esperienze e proposte sul tema dei flussi migratori. E per domani è prevista anche un’udienza papale. Il servizio di Eugenio Murrali:
Uno scambio costruttivo, ma anche un momento di forte denuncia per il dolore che i sindaci, specialmente quelli in prima linea, incontrano nello sguardo dei richiedenti asilo. Prima a intervenire Virginia Raggi, che innanzitutto ha ringraziato Papa Francesco “per questa iniziativa, che è un’ulteriore conferma, se mai ce ne fosse bisogno, del grande ruolo di stimolo e di persuasione morale del suo pontificato sui temi di carattere sociale e umanitario”. Quindi, ha ricordato come Roma sia una città votata all’accoglienza, ma che deve fare di più, specialmente per evitare lo scontro tra poveri. Intense le parole di Ada Colau, sindaco di Barcellona. Per lei è imperdonabile un’Europa che non accoglie:
“Le persone rifugiate non solo non sono un peso, ma sono venute a salvare noi, sono la nostra speranza di fronte a un’Europa i cui valori fondativi sono entrati profondamente in crisi, di fronte al populismo xenofobo e al nazionalismo egoista. Loro, continua la Adau, sono l’opportunità di costruire un’Europa più forte, autentico referente internazionale dei diritti umani”.
Duro il sindaco di Lisbona, Fernando Medina, che si è scagliato contro l’assenza di volontà politica e ha ricordato come in passato alcuni Stati europei abbiano accolto grandi numeri di rifugiati. Spyros Galinos, sindaco di Lesbo, che insieme a Giusi Nicolini di Lampedusa è uno dei più impegnati nelle emergenze e nel primo soccorso di chi arriva sulle coste europee, ha detto che il nostro continente o è l’Europa dell’accoglienza e della democrazia o semplicemente non è Europa. Tante le testimonianze pratiche dell’accoglienza che le città offrono ai richiedenti asilo, ne hanno parlato, tra gli altri, il sindaco di Ginevra, di Berlino, di Dresda, di Valencia, di Madrid. Si è puntato il dito contro le guerre e i cambiamenti climatici, cause principali della sofferenza di chi fugge da violenza e povertà.
Incisivo il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, che ha affermato:”A Palermo non abbiamo migranti, perché, per una decisione del sindaco, chiunque arriva a Palermo diventa palermitano”.
E non ha esitato a utilizzare il termine “genocidio” di fronte alla morte di tanti civili, nel nostro mare, nell’indifferenza di molti, e per colpa di un sistema che costringe chi fugge ad affidarsi alle mani criminali di chi spesso li consegna alla morte, certamente al dolore.
radiovaticana/news/ 12/ 2016