Ancora oggi, in gran parte del mondo musulmano, sopravvive una ricchissima tradizione speculativa – il Sufismo – che interpreta gli insegnamenti del Corano senza fermarsi al loro significato esteriore e più comunemente accettato. Per quanto considerata talvolta una semplice mistica, questa dottrina esoterica propone in realtà una metafisica articolata e rigorosa. Attingendo ampiamente ai testi dei più importanti maestri sufi, Alberto Ventura offre una sintesi accessibile di tale complesso pensiero, ne analizza i concetti essenziali, ne scioglie le formulazioni paradossali e le solo apparenti contraddizioni. E attraverso continui raffronti con altre dottrine – il Vedānta, il Taoismo, il patrimonio spirituale del Medioevo cristiano – porta alla luce la sostanziale unità di un pensiero che, dinanzi a verità universali, si esprime ovunque in un linguaggio quasi identico – collocandosi così nel solco tracciato da René Guénon, secondo il quale tutte le tradizioni poggiano in ultima analisi su un’unica, antichissima Tradizione primordiale.
 
Descrizione
Autore: Alberto Ventura
Titolo: L’esoterismo islamico
Editrice: Piccola Biblioteca Adelphi
Anno: 2017
Pagine: pp. 212
Isbn: 9788845931451
Prezzo: € 14,00
 
 
Nell’universo incantato dei sufi Dio si nasconde dietro ogni cosa
di Claudio Gallo
Se anche raffinatissimi intellettuali considerano oggi il terrorismo jihadista una specie di onnipotente Spectre e non un ambiguo arcipelago permeato dalle più contrastanti influenze, c’è da disperare di poter parlare della ricchezza e della diversità delle tradizioni islamiche senza essere scambiati per apologeti o utili idioti al servizio della barbarie anti-occidentale. Il fresco libro di Alberto Ventura, uno dei migliori islamisti italiani, ci aiuta per un attimo a dimenticare il sanguinario Califfato guidandoci nell’impervio universo dell’Esoterismo islamico (Adelphi, € 14, pp. 212).
La stessa definizione che dà il titolo al libro vuole disporre diverse varianti dottrinarie nell’orizzonte concettuale del pensiero tradizionalista di René Guenon, cosa che farà storcere il naso a qualche studioso meno aperto alle contaminazioni culturali. Guenon, filosofo e matematico francese, morto nel 1951 al Cairo con il nome di Abd al-Wahid Yahyá, cercò per tutta la vita la radice di una «philosophia perennis» nell’occultismo, nella massoneria, nel cristianesimo, per convincersi poi di averla trovata nella dottrina dei sufi.
Per semplificare, il pensiero sufi è per certi aspetti l’esatto opposto della teologia dell’Isis (di fatto, la stessa a cui si rifà lo Stato saudita) ed è il motivo per cui mistici e musicisti sono perseguitati in molti paesi musulmani: la differenza è tra la lettura letterale del Corano e la sua interpretazione all’interno di una scuola. La celebre professione di fede musulmana – «Non vi è divinità all’infuori di Dio» (la ’ilaha illa Allah) – è letta esotericamente «Non vi è nulla che esista all’infuori di Dio». Se qualcosa potesse ergersi di fronte a Dio, Dio non sarebbe più Dio. Da questo discende che, in un certo senso, il nostro mondo e la sua molteplicità sono illusori.
«Tutti i gradi dell’esistenza – spiega Ventura – non rappresentano altro che determinazioni successive e sempre più condizionate del Principio supremo, che è il solo veramente incondizionato». Ciò non significa che la realtà sia un miraggio evanescente ma che la sua consistenza è relativa: «Illusione non è sinonimo di irrealtà». Viene in mente la concezione buddhista della «interdipendenza», per cui la realtà è la relazione di elementi che di per sé non esistono.
Rifacendosi a Guenon, Ventura squaderna i paragoni con la metafisica hindu e taoista, ma il paradigma esplicativo richiama ovviamente il neoplatonismo, sebbene l’autore abbia cura di distinguere le posizioni di un Ibn Arabi da quelle di un certo neoplatonismo medievale arabo e latino, per cui «dall’uno non può derivare che uno». Invece, secondo i maestri sufi, dall’uno deriva immediatamente ogni cosa, pur restando il Principio inalterato nella sua perfetta unità. Al di là delle estreme sottigliezze filosofiche che rischiano di confondere un lettore non troppo ferrato, c’è il fatto che l’esoterismo islamico, come tutte le dottrine tradizionali, si fonda su quell’intuizione intellettuale, la percezione diretta della realtà spirituale, che Kant ha definitivamente dichiarato impossibile per l’uomo occidentale, ormai votato alla conoscenza scientifica. Nelle sue Rivelazioni della Mecca, Ibn Arabi scrive: «Sappi, oh fratello che la conoscenza degli amici di Dio viene dall’intuizione diretta (kashf). La sua forma è quella della fede stessa».
La vera conoscenza, ottenibile da tutti gli esseri e non soltanto dall’uomo, proprio perché ognuno consiste solo nella sua relazione con il Principio, è in realtà una non-azione. L’illuminazione accade, si trova, s’incontra, mai sarà il coronamento di uno sforzo. «La vera conoscenza – scrive Ventura – è in realtà una auto-conoscenza, una intuizione immediata nella quale non vi sono soggetto e oggetto, ma soltanto una immediata consapevolezza di sé». L’essere, che nella sua indicibilità si identifica col nulla, è dunque libertà e non necessità, lo sosterrà anche Heidegger molti secoli dopo.
Se non come via di salvezza, la stupefacente metafisica dell’esoterismo islamico potrebbe essere apprezzata, almeno da un punto di vista estetico, anche da chi radicato nel mondo della tecnica, disdegna la prospettiva religiosa o da chi ritiene i miti soltanto un linguaggio della psiche prodotto dal cervello. Che Dio abbia creato l’uomo a sua somiglianza o viceversa, è comunque la madre di tutte le storie.
in “La Stampa” del 19 febbraio 2017